Le ragioni laiche del "no" della Chiesa alla guerra in Iraq
[ecco quanto scriveva Sandro Magister nel 2003 sul suo blog Chiesa online] Iraq. Le ragioni tutte politiche del "no" della Chiesa alla
guerra
Poco idealismo e molto pragmatismo nelle posizioni antiguerra del
cardinale Sodano e dei vescovi italiani, tedeschi, canadesi. Questi
ultimi addirittura le sottopongono a un sondaggio
di Sandro Magister (2003)
ROMA - La Chiesa cattolica continua a dire forte il suo "no"
alla
guerra allŽIraq. Ma non come fosse un veto religioso, assoluto. Il
"no"
lo argomenta con ragioni politiche, e quindi per loro natura
discutibili, affidate allŽintelligenza dei fedeli. È ciò che si ricava
da quanto hanno detto negli ultimi giorni il cardinale Angelo Sodano,
segretario di Stato, e le conferenze espiscopali dellŽItalia, del
Canada e della Germania.
1. IL CARDINALE SODANO
Il cardinale Sodano è tornato a dire il suo pensiero sullŽIraq il 29
gennaio, a un pool di giornalisti invitati a un pranzo in suo onore.
Ecco le sue frasi salienti, riportate il giorno dopo sulla stampa:
«Al di fuori qualcuno pensa che gli esponenti della Chiesa siano degli
ŽidealistiŽ. E lo siamo, ma siamo anche realisti».
«Vale la pena irritare un miliardo di islamici? È la domanda che
faccio a qualche amico americano: vi conviene? Non avrete poi per
decenni lŽostilità di tutto quel mondo?».
«Senza entrare troppo nel problema se la guerra sia morale o no, credo
che abbia una sua efficacia la domanda sulla convenienza».
«Con le guerre si sa come si comincia ma non come si finisce. Agli
americani chiedo: siete sicuri di uscirne bene? LŽesperienza del
Vietnam non vi invita alla prudenza? Anche in Afghanistan vediamo che
non è ancora finita. Le cose non vanno bene per niente. Ma proprio per
questo bisogna insistere sulla convenienza o no della guerra».
«Noi siamo contro la guerra. Non cŽè tanto da discutere sul fatto se
sia preventiva o non preventiva: sono termini ambigui. Certo non è
difensiva. Ai fini della concordia con il mondo islamico, occorre
chiedersi quale sia il mezzo migliore per affrontare la crisi
irachena».
2. LA CEI DI BETORI E "AVVENIRE"
Per la Cei hanno parlato il segretario generale monsignor Giuseppe
Betori e il quotidiano "Avvenire".
In una conferenza stampa del 28 gennaio monsignor Betori ha detto che
«se una guerra è preventiva non è giusta in ogni caso» perché «la
minaccia deve essere attuale e non futura». Ma ha aggiunto:
«Perché la guerra sia giustificata occorre che ci sia una aggressione
in atto e questo non è stato ancora compiutamente dimostrato. Lo
decideranno gli esperti. Non sta a noi giudicare il grado in cui il
possesso da parte dellŽIraq di armi di distruzione di massa è tale da
poter costituire una minaccia concreta».
"Avvenire" - che è di proprietà della Cei - ha invece
dedicato il suo
editoriale di prima pagina del 30 gennaio proprio alle «parole
informali» dette il giorno prima dal cardinale Sodano. Per subito
sottolineare che le obiezioni alla guerra espresse dal segretario di
Stato «sono di carattere puramente politico».
E tra le obiezioni di Sodano alla guerra, lŽeditoriale ne ha
sviluppata in particolare una: quella sui contraccolpi negativi in
campo musulmano.
LŽautore dellŽeditoriale fa parte del think tank del cardinale Camillo
Ruini: è Vittorio E. Parsi, docente di relazioni internazionali
allŽUniversità Cattolica di Milano.
Ha scritto Parsi:
«Una rapida e umiliante vittoria sullŽIraq finirebbe col rendere
incolmabile quel fossato di risentimento che per tutto il Novecento si
è venuto allargando tra Occidente e mondo islamico (cui afferisce un
miliardo circa di persone). La stessa idea di procedere a
un'occupazione - temporanea ma prolungata - dell'Iraq, allo
scopo di
favorirne una transizione democratica, si direbbe una soluzione un
po'
troppo semplicistica e sbrigativa. Se la presenza militare occidentale
nella Penisola Arabica ha prodotto Bin Laden, Al Qayda, e gli attentati
dell'11 settembre, quale infernale reazione potrebbe generare
l'occupazione dell'Iraq?».
Ma interessante è stata anche la conclusione dellŽeditoriale. Che da
un lato ha riconosciuto «in linea di principio agli Stati Uniti e
all'Occidente il diritto e il dovere di difendersi, anche con le
armi,
quando le vite dei suoi cittadini e la sicurezza della democrazia sono
sotto attacco».
E dallŽaltro lato ha criticato severamente le posizioni di Francia e
Germania, ritenute un ostacolo proprio alla ricerca di unŽalternativa
alla guerra:
«Non molto proficue appaiono certe puntute e rigide prese di
posizione, che potrebbero essere interpretate come assunte più in
un'ottica di supremazia continentale che non in quella di una
genuina
sicurezza europea e collettiva. Meglio piuttosto il tentativo di
riavvicinare le due sponde dell'Atlantico - che è poi il solo modo
di
mantenere il bene prezioso dell'unità europea - cercando proposte
concrete, realistiche e audaci in grado di scongiurare una guerra che
in realtà nessuno, tranne Saddam, vuole».
3. I VESCOVI TEDESCHI
La conferenza episcopale tedesca ha emesso una dichiarazione sullŽIraq
il 20 gennaio, dopo una riunione a Wurzburg del suo direttivo. Per dire
che «la questione centrale non è la guerra preventiva, ma la
prevenzione della guerra».
Gran parte del documento muove obiezioni alle conseguenze pratiche di
una guerra contro lŽIraq e prima ancora alla teoria della guerra
preventiva, che «in quanto rappresenta unŽaggressione non può essere
definita come una giusta guerra dŽautodifesa» e quindi «è in
contraddizione con lŽinsegnamento cattolico e le leggi internazionali».
Ma in alternativa alla guerra, i vescovi tedeschi non invocano di
restare «inattivi». «È necessario che la comunità internazionale
continui a esercitare pressioni sul regime del dittatore Saddam Hussein
e pratichi una politica di ferma restrizione della sua libertà dŽazione
militare».
Anche, eventualmente, con la minaccia dellŽuso della forza: «Nel
contesto di una strategia politica finalizzata a prevenire la guerra,
lŽuso di minacce può essere eticamente giustificato in certi casi».
4. I VESCOVI CANADESI
I vescovi canadesi, infine, si sono espressi sullŽIraq il 17 gennaio
con unŽiniziativa insolita. Hanno rilanciato come proprio documento una
sorta di manifesto antiguerra prodotto dalla Commissione per la pace
del Consiglio canadese delle Chiese, e offerto alla sottoscrizione di
chi desidera.
Il manifesto è fortissimamente critico nei confronti della politica
presente e passata degli Stati Uniti e dellŽOccidente nellŽarea. La
stessa dittatura di Saddam Hussein è giudicata un prodotto di questa
politica. E il fatto che il regime di Baghdad si sia dotato di armi
distruzione di massa è messo in rapporto con lŽanalogo armarsi di
Israele: fintanto che questŽultimo non disarma - vi si legge - anche il
primo ha i suoi motivi per fare altrettanto.
Il documento termina con sette indicazioni operative, in alternativa
alla guerra. La più importante è quella che invita ad «accompagnare»
lŽautonomo cammino del popolo irakeno verso la democrazia. Perché «una
volta che gli irakeni saranno liberi di scegliere è improbabile che
daranno sostegno a un programma dŽarmamento nucleare».
Un altra indicazione operativa è quella di «esplorare i modi legali e
giudiziari» per processare Saddam Hussein per crimini contro lŽumanità,
«come si è provato contro il generale Augusto Pinochet».
NellŽintero documento non una sola riga rimanda a principi etici né
tantomeno cristiani. Gli argomenti sono tutti e solo politici.
E discutibili in tutta libertà. Al punto che il manifesto è offerto in
pubblica sottoscrizione, e quindi vale solo per chi ha deciso o
deciderà di firmarlo.
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