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Le ragioni laiche del "no" della Chiesa alla guerra in Iraq
Di Mattia Tanel - 14/06/2007 - Esteri - 1284 visite - 0 commenti
[ecco quanto scriveva Sandro Magister nel 2003 sul suo blog Chiesa online] Iraq. Le ragioni tutte politiche del "no" della Chiesa alla guerra Poco idealismo e molto pragmatismo nelle posizioni antiguerra del cardinale Sodano e dei vescovi italiani, tedeschi, canadesi. Questi ultimi addirittura le sottopongono a un sondaggio di Sandro Magister (2003) ROMA - La Chiesa cattolica continua a dire forte il suo "no" alla guerra all´Iraq. Ma non come fosse un veto religioso, assoluto. Il "no" lo argomenta con ragioni politiche, e quindi per loro natura discutibili, affidate all´intelligenza dei fedeli. È ciò che si ricava da quanto hanno detto negli ultimi giorni il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato, e le conferenze espiscopali dell´Italia, del Canada e della Germania. 1. IL CARDINALE SODANO Il cardinale Sodano è tornato a dire il suo pensiero sull´Iraq il 29 gennaio, a un pool di giornalisti invitati a un pranzo in suo onore. Ecco le sue frasi salienti, riportate il giorno dopo sulla stampa: «Al di fuori qualcuno pensa che gli esponenti della Chiesa siano degli ´idealisti´. E lo siamo, ma siamo anche realisti». «Vale la pena irritare un miliardo di islamici? È la domanda che faccio a qualche amico americano: vi conviene? Non avrete poi per decenni l´ostilità di tutto quel mondo?». «Senza entrare troppo nel problema se la guerra sia morale o no, credo che abbia una sua efficacia la domanda sulla convenienza». «Con le guerre si sa come si comincia ma non come si finisce. Agli americani chiedo: siete sicuri di uscirne bene? L´esperienza del Vietnam non vi invita alla prudenza? Anche in Afghanistan vediamo che non è ancora finita. Le cose non vanno bene per niente. Ma proprio per questo bisogna insistere sulla convenienza o no della guerra». «Noi siamo contro la guerra. Non c´è tanto da discutere sul fatto se sia preventiva o non preventiva: sono termini ambigui. Certo non è difensiva. Ai fini della concordia con il mondo islamico, occorre chiedersi quale sia il mezzo migliore per affrontare la crisi irachena». 2. LA CEI DI BETORI E "AVVENIRE" Per la Cei hanno parlato il segretario generale monsignor Giuseppe Betori e il quotidiano "Avvenire". In una conferenza stampa del 28 gennaio monsignor Betori ha detto che «se una guerra è preventiva non è giusta in ogni caso» perché «la minaccia deve essere attuale e non futura». Ma ha aggiunto: «Perché la guerra sia giustificata occorre che ci sia una aggressione in atto e questo non è stato ancora compiutamente dimostrato. Lo decideranno gli esperti. Non sta a noi giudicare il grado in cui il possesso da parte dell´Iraq di armi di distruzione di massa è tale da poter costituire una minaccia concreta». "Avvenire" - che è di proprietà della Cei - ha invece dedicato il suo editoriale di prima pagina del 30 gennaio proprio alle «parole informali» dette il giorno prima dal cardinale Sodano. Per subito sottolineare che le obiezioni alla guerra espresse dal segretario di Stato «sono di carattere puramente politico». E tra le obiezioni di Sodano alla guerra, l´editoriale ne ha sviluppata in particolare una: quella sui contraccolpi negativi in campo musulmano. L´autore dell´editoriale fa parte del think tank del cardinale Camillo Ruini: è Vittorio E. Parsi, docente di relazioni internazionali all´Università Cattolica di Milano. Ha scritto Parsi: «Una rapida e umiliante vittoria sull´Iraq finirebbe col rendere incolmabile quel fossato di risentimento che per tutto il Novecento si è venuto allargando tra Occidente e mondo islamico (cui afferisce un miliardo circa di persone). La stessa idea di procedere a un'occupazione - temporanea ma prolungata - dell'Iraq, allo scopo di favorirne una transizione democratica, si direbbe una soluzione un po' troppo semplicistica e sbrigativa. Se la presenza militare occidentale nella Penisola Arabica ha prodotto Bin Laden, Al Qayda, e gli attentati dell'11 settembre, quale infernale reazione potrebbe generare l'occupazione dell'Iraq?». Ma interessante è stata anche la conclusione dell´editoriale. Che da un lato ha riconosciuto «in linea di principio agli Stati Uniti e all'Occidente il diritto e il dovere di difendersi, anche con le armi, quando le vite dei suoi cittadini e la sicurezza della democrazia sono sotto attacco». E dall´altro lato ha criticato severamente le posizioni di Francia e Germania, ritenute un ostacolo proprio alla ricerca di un´alternativa alla guerra: «Non molto proficue appaiono certe puntute e rigide prese di posizione, che potrebbero essere interpretate come assunte più in un'ottica di supremazia continentale che non in quella di una genuina sicurezza europea e collettiva. Meglio piuttosto il tentativo di riavvicinare le due sponde dell'Atlantico - che è poi il solo modo di mantenere il bene prezioso dell'unità europea - cercando proposte concrete, realistiche e audaci in grado di scongiurare una guerra che in realtà nessuno, tranne Saddam, vuole». 3. I VESCOVI TEDESCHI La conferenza episcopale tedesca ha emesso una dichiarazione sull´Iraq il 20 gennaio, dopo una riunione a Wurzburg del suo direttivo. Per dire che «la questione centrale non è la guerra preventiva, ma la prevenzione della guerra». Gran parte del documento muove obiezioni alle conseguenze pratiche di una guerra contro l´Iraq e prima ancora alla teoria della guerra preventiva, che «in quanto rappresenta un´aggressione non può essere definita come una giusta guerra d´autodifesa» e quindi «è in contraddizione con l´insegnamento cattolico e le leggi internazionali». Ma in alternativa alla guerra, i vescovi tedeschi non invocano di restare «inattivi». «È necessario che la comunità internazionale continui a esercitare pressioni sul regime del dittatore Saddam Hussein e pratichi una politica di ferma restrizione della sua libertà d´azione militare». Anche, eventualmente, con la minaccia dell´uso della forza: «Nel contesto di una strategia politica finalizzata a prevenire la guerra, l´uso di minacce può essere eticamente giustificato in certi casi». 4. I VESCOVI CANADESI I vescovi canadesi, infine, si sono espressi sull´Iraq il 17 gennaio con un´iniziativa insolita. Hanno rilanciato come proprio documento una sorta di manifesto antiguerra prodotto dalla Commissione per la pace del Consiglio canadese delle Chiese, e offerto alla sottoscrizione di chi desidera. Il manifesto è fortissimamente critico nei confronti della politica presente e passata degli Stati Uniti e dell´Occidente nell´area. La stessa dittatura di Saddam Hussein è giudicata un prodotto di questa politica. E il fatto che il regime di Baghdad si sia dotato di armi distruzione di massa è messo in rapporto con l´analogo armarsi di Israele: fintanto che quest´ultimo non disarma - vi si legge - anche il primo ha i suoi motivi per fare altrettanto. Il documento termina con sette indicazioni operative, in alternativa alla guerra. La più importante è quella che invita ad «accompagnare» l´autonomo cammino del popolo irakeno verso la democrazia. Perché «una volta che gli irakeni saranno liberi di scegliere è improbabile che daranno sostegno a un programma d´armamento nucleare». Un altra indicazione operativa è quella di «esplorare i modi legali e giudiziari» per processare Saddam Hussein per crimini contro l´umanità, «come si è provato contro il generale Augusto Pinochet». Nell´intero documento non una sola riga rimanda a principi etici né tantomeno cristiani. Gli argomenti sono tutti e solo politici. E discutibili in tutta libertà. Al punto che il manifesto è offerto in pubblica sottoscrizione, e quindi vale solo per chi ha deciso o deciderà di firmarlo.
 
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