Dossier Spagna: dalla crisi alle nuove leggi sull'aborto, alla guerra di Spagna.
Di Libertà e Persona (del 11/04/2009 @ 12:00:29, in Storia contemporanea, linkato 1637 volte)

Il governo Zapatero non se la passa bene di questi tempi: l'ascesa economica della Spagna, permessa anche dai governi Aznar (anch'essi pessimi, dal punto di vista dei valori non negoziabili, seppure non paragonabili a quelli di Zapatero), sembra bloccata, sia per le congiunture internazionali, sia per la scarsa abilità di un governo troppo dedito a battaglie ideologiche e poco realista.

La disoccupazione è al 20 % e Zapatero si è appena liberato con un certo cipiglio decisionista dei ministri non allineati, per quanto socialisti come lui, primo tra tutti il suo vicepremier e ministro dell'economia, Pedro Solbes, reo di aver sottolineato le difficoltà economiche che Zapatero invece minimizzava, e il ministro della difesa Josè Bono.

 Ma le battaglie ideologiche non si fermano: da una parte la difesa, dopo gli scimpanzè, delle linci, dall'altra la decisione di allargare ancora di più i limiti dell'aborto. La cosa ovviamente non stupisce chi conosce le idee di Peter Singer, favorevole addirittura all'infanticidio, il bioeticista consigliere di Zapatero.

Nella foto il manifesto a difesa dei bambini diffuso dai cattolici spagnoli in questo periodo per bloccare l'iniziativa di Zapatero.

Di seguito riportiamo:

1)Un articolo del Corriere sugli scienziati spagnoli che si sono schierati pro o contro la decisione di Zapatero sull'aborto.

2)Un articolo sulla guerra di Spagna, vera origine dell'attuale situazione. Zapatero infatti ha sempre rivendicato la sua continuità con le forze repubblicane, anarchiche, comuniste, filo russe che furono la vera causa della guerra di Spagna, e che spesso ebbero come primo nemico la Chiesa..

Un manifesto contemporaneo dei repubblicani spagnoli, firmato anche da Andrè Breton, Paul Eluard e Aragon, recitava: "A partire dal 10 maggio 1931 (in Spagna) la folla ha incendiato le chiese, i conventi, le università religiose…Cinquecento edifici distrutti all'inizio non chiuderanno questo bilancio di fuoco…Distruggere con ogni mezzo la religione, cancellare fin le vestigia di quei monumenti di tenebre…Tutto ciò che non sia violenza quando si tratta di religione, di quello spaventapasseri che è Iddio, dei parassiti della preghiera, dei professori della rassegnazione, è paragonabile al patteggiamento con quel verminaio del cristianesimo che deve essere sterminato".

 

1 Mille pro, duemila contro La guerra degli scienziati

MADRID — Infuria, in piena settimana santa, la prima, spettacolare e quasi totale guerra tra scienziati spagnoli sull’aborto. O meglio, sul ruo­lo di arbitro inappellabile che la scienza finisce per esercitare nello scontro tra abortisti e an­ti- abortisti. Da una parte, gli oltre duemila firma­tari della Dichiarazione di Madrid, un documen­to che si oppone, con argomenti scientifici, alla legittimazione dell’aborto fino alla ventiduesi­ma settimana di gestazione, la nuova normativa attualmente allo studio del governo Zapatero.

E di fronte, un altro migliaio abbondante di ricer­catori che, in pochi giorni, si sono coalizzati at­torno a un manifesto per denunciare «la crescen­te utilizzazione ideologica e di parte della scien­za » in campagne dalle connotazioni troppo opi­nabili. Inevitabilmente si spulciano i due elenchi di firme, si stilano le graduatorie e le classifiche del­le due squadre in campo, se ne misura il presti­gio in base ai titoli e ai riconoscimenti consegui­ti nel corso delle carriere. Ne risulta che si sono già schierati, di qua o di là, i direttori di venti istituti di ricerca, 138 componenti delle Accade­mie Reali, centinaia di cattedratici, di vincitori di premi nazionali e del nobel spagnolo, il pre­mio Principe delle Asturie, ex presidenti del cen­tro di ricerche nazionale, il Csic, e i direttori di molti dei suoi dipartimenti. È una mobilitazione di scienziati vertiginosa e senza precedenti, a memoria del quotidiano El País. Un titanico con­fronto di sapienze e aristocrazie accademiche.

Dal punto di vista numerico, la Dichiarazione di Madrid è ancora in netto vantaggio: 2.064 pro­fessionisti hanno sottoscritto le erudite tesi a so­stegno dei diritti della vita fin dalla sua fase em­brionale e fetale. Contro quasi 1.162 dissenzien­ti, che con altrettanta cognizione di causa, non difendono tanto l’aborto, quanto la neutralità della scienza di fronte al dilemma dell’interruzio­ne della gravidanza. Alla base della Dichiarazio­ne di Madrid c’è l’avvertimento ai legislatori che «la vita di un essere umano inizia con la fecondazione, quando si costituisce l’informazio­ne genetica propria di ogni vita umana» e la prima firma in calce è quella di Nicolas Jouve, titolare della cattedra di Genetica dell’Uni­versità di Alcalá. Dopo di lui han­no aderito l’ex presidente del Csic, Cesar Nombela, e in ordine sparso 512 medici, tra i quali 76 ginecolo­gi, oltre a 129 membri di Accade­mie Reali e a una quindicina di ri­cercatori del centro nazionale.

 La lista dei promotori del «contro manifesto», che accusano i colleghi di «confondere la società presentando come conclusioni scientifiche ciò che rientra nell’ambito delle convinzioni perso­nali, ideologiche o religiose» è aperta da Juan Lerma, direttore dell’Istituto di Scienze Neurolo­giche del Csic. Lo appoggiano 250 colleghi, inclu­si i direttori dei principali istituti del centro, dal­le Scienze del mare alla Chimica organica genera­le, passando per la ricerca sull’Intelligenza artifi­ciale e la Tecnologia dei polimeri. Un rosario di specialità ed eccellenze che compensa la penuria di medici, per ora soltanto una ventina, contrari alla partigianeria della scienza in questioni di co­scienza. «Non siamo a favore dell’aborto — puntualiz­za Lerma —, e difatti fra i nostri firmatari ci so­no molti cattolici. Ma siamo contro le manipola­zioni. È ovvio che la scienza possa stabilire ciò che è vivo e ciò che non lo è. Però non si può usare la scienza per dire quando si è, o no, un essere umano». (si veda quanto è abberrante e falsa una simile dichiarazione: la scienza non saprebbe dire cosa è un essere umano? Lo confonde forse con una pietra, o con un girino, o con un coniglio? Folle...ndr).

Pamplona, 29 marzo 2009.

2 Lo storico Pío Moa Spagna ’36, di chi la vera colpa?

Antifranchista militante, membro negli anni Settan­ta del Partito comunista clandestino e attivista del gruppo rivoluzionario maoista Grapo, do­po la caduta della dittatura Pío Moa si è buttato a capofitto nello studio della storia dell’ascesa di Franco, della Guerra civile spagno­la e della Repubblica del Fronte popolare.

E ne è riemerso con idee radicalmente discoste dai luoghi comuni storiografici che – in Spa­gna evidentemente come in Italia – tracciano senza esitazione la linea di demarcazione tra i buoni e i cat­tivi. Moa, che giovedì sarà ospite del Centro culturale di Milano nell’incontro «Liberazione o furia i­deologica? Verità e mito della Guer­ra civil» (Sala Verri, via Zebedia, 2), ricostruisce l’annuncio della con­clusione della Guerra civile, dato da Franco il primo aprile di set­tant’anni fa:

«Fu davvero la fine della guerra – spiega lo storico gali­ziano, autore nel 2003 di Los mitos de la Guerra Civil che, con cento­cinquantamila copie vendute, re­stò al primo posto in classifica per sei mesi consecutivi–. Dopo la Se­conda guerra mondiale i comunisti cercarono di riaccendere la guerra civile attraverso la guerriglia, come in Grecia. Però fallirono. In Grecia i guerriglieri furono sconfitti soltan­to grazie all’appoggio di Gran Bre­tagna e Stati Uniti, mentre in Spa­gna furono annientati senza alcun bisogno di aiuti esterni».

Perché? «Perché non trovarono quasi nes­sun appoggio tra la popolazione. La gente si ricordava molto bene che cos’erano stati il Fronte popo­lare e il comunismo, e non voleva più nulla del genere. In Spagna sol­tanto negli ultimi anni, con Zapa­tero, è ritornato un certo clima psi­cologico da guerra civile, imposto dal potere».

L’opposizione antifranchista era davvero democratica, oppure per quelle sinistre il termine era, come negli anni Trenta-Cinquanta in I­talia, soltanto un sinonimo di 'an­tifascista'? «A opporsi a Franco c’era un insie­me di comunisti, anarchici, marxi­sti rivoluzionari del Psoe [Partito socialista operaio spagnolo, oggi guidato da Zapatero, ndr], diversi gruppi golpisti come quello repub­blicano di Azaña, nazionalisti cata­lani; in più c’era il Partito naziona­lista basco, di un razzismo non lontano da quello nazista. È ridico­lo pretendere che questi partiti fos­sero democratici. In realtà avevano distrutto ogni legalità nella Repub­blica, che almeno in parte era de­mocratica, e così causarono la Guerra civile».

Perché attribuisce al Fronte popo­lare la responsabilità di aver real­mente causato la guerra? «Nell’ottobre del 1934 il Psoe e i na­zionalisti catalani si sollevarono contro il governo legittimo e de­mocratico di centrodestra. Sconfit­ti, non mutarono atteggiamento, fino a quando non riuscirono a ra­dunare quasi tutte le sinistre nel Fronte popolare, con il quale si presentarono alle elezioni del feb­braio 1936. Fu un voto antidemo­cratico, pieno di violenze, e il Fron­te si proclamò vincitore anche se i dati elettorali non furono mai pub­blicati. Immediatamente iniziò un’ondata di omicidi, trecento in cinque mesi. Solo una minima par­te fu compiuta dalla Falange, allora un piccolo partito semi-fascista che peraltro iniziò a uccidere sol­tanto dopo che diversi sui militanti erano stati ammazzati impune­mente dalle sinistre. E poi incendi, assalti alle sezioni e ai giornali di destra, fino al sequestro e all’omi­cidio di Calvo Sotelo, uno dei capi dell’opposizione. Il governo, intan­to, organizzò un’illegale revisione dei seggi per sottrarne decine alla destra e destituì, altrettanto illegal­mente, il presidente della Repub­blica, Alcalá-Zamora; annullò poi ogni indipendenza della magistra­tura, ponendola sotto la supervi­sione dei sindacati, e si rifiutò di arrestare l’ondata di violenze. Non rispettava né faceva rispettare la legge, e di fatto proteggeva il pro­cesso rivoluzionario: quando un militante di destra veniva assassi­nato, la polizia perseguiva... la cer­chia della vittima. I militari, esitan­do molto, cercavano di organizzare un complotto; quando però Calvo Sotelo fu ucciso da un gruppo di poliziotti e miliziani socialisti, Franco e gli altri smisero di esitare e si ribellarono. Credo che in pochi altri Paesi i conservatori avrebbero sopportato tante violenze e illega­lità prima di sollevarsi».

In questo contesto si inscrivono anche le violenze contro i religiosi. Qual è lo stato attuale della ricerca storica su questo tema? «Furono ammazzati circa sette­mila religiosi, da vescovi a mona­che; più ancora furono gli uccisi per il solo fatto di essere cristia­ni. Furono distrutte migliaia di chiese, incendiati monasteri – al­cuni con biblioteche di grande valore –, rubata un’infinità di o­pere d’arte. L’omicidio dei reli­giosi mostrò un sadismo difficile da credere. Non fu una persecu­zione popolare spontanea, ma organizzata dai principali partiti. Di tutto questo oggi non si può più dubitare».

Perché interpreta la sollevazione franchista come un "atto reazio­nario"? «Perché, letteralmente, reagiva contro un processo ri­voluzionario. Franco non si sollevò contro la Repubblica né con­tro la democrazia, ma contro la rivoluzione. I franchisti non crede­vano nella democra­zia, poiché ritenevano che ormai fosse diven­tata impossibile, in Spagna; all’epoca, del resto, in tutta Europa erano in mol­ti a credere che la democrazia libe­rale apparteneva al passato».

Ma tra franchisti e repubblicani non c’era, negli anni Trenta, nes­suna forza democratica? «No. Non esistevano sinistre demo­cratiche. Le più moderate volevano imporre un regime come quello del Partito rivoluzionario istituzio­nale messicano, e le più estremiste – la maggioranza – anela­vano a una rivoluzione in stile sovietico o a­narchico. Le destre ri­spettavano molto di più la legalità repub­blicana, e si sollevaro­no soltanto quando la situazione era com­promessa. La maggio­ranza delle destre non era fascista, ma neanche democratica: erano conservatori, e dopo il Fronte po­polare cercarono di organizzare un regime cattolico. che chiamavano 'democrazia organica'. La dittatu­ra di Franco fu autoritaria, non to­talitaria, e la differenza è essenzia­le. Fu molto meno dura di quella sovietica, per capirci».

È difficile, oggi in Spagna, mettere in dubbio i dogmi storiografici sui 'buoni' e i 'cattivi' della Guerra civile? «Lo è stato fino a pochi anni fa, quando l’intera storia della guerra e del franchismo era fatta di miti, però si impone sempre più una versione adeguata dei fatti storici. Perché i fatti sono testardi, nono­stante il fatto che siano molti coloro che cercano di occultarli – a partire dall’attuale governo. Ma ormai han­no perso la partita e in pochi anni quei miti spariranno del tutto: cosa necessaria per tutelare la democra­zia e arrestare l’involuzione politica attuale». Avvenire 1 aprile 2009