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Il governo Zapatero non se la passa bene di questi tempi: l'ascesa economica della Spagna, permessa anche dai governi Aznar (anch'essi pessimi, dal punto di vista dei valori non negoziabili, seppure non paragonabili a quelli di Zapatero), sembra bloccata, sia per le congiunture internazionali, sia per la scarsa abilità di un governo troppo dedito a battaglie ideologiche e poco realista.
La disoccupazione è al 20 % e Zapatero si è appena liberato con un certo cipiglio decisionista dei ministri non allineati, per quanto socialisti come lui, primo tra tutti il suo vicepremier e ministro dell'economia, Pedro Solbes, reo di aver sottolineato le difficoltà economiche che Zapatero invece minimizzava, e il ministro della difesa Josè Bono.
Ma le battaglie ideologiche non si fermano: da una parte la difesa, dopo gli scimpanzè, delle linci, dall'altra la decisione di allargare ancora di più i limiti dell'aborto. La cosa ovviamente non stupisce chi conosce le idee di Peter Singer, favorevole addirittura all'infanticidio, il bioeticista consigliere di Zapatero.
Nella foto il manifesto a difesa dei bambini diffuso dai cattolici spagnoli in questo periodo per bloccare l'iniziativa di Zapatero.
Di seguito riportiamo:
1)Un articolo del Corriere sugli scienziati spagnoli che si sono schierati pro o contro la decisione di Zapatero sull'aborto.
2)Un articolo sulla guerra di Spagna, vera origine dell'attuale situazione. Zapatero infatti ha sempre rivendicato la sua continuità con le forze repubblicane, anarchiche, comuniste, filo russe che furono la vera causa della guerra di Spagna, e che spesso ebbero come primo nemico la Chiesa..
Un manifesto contemporaneo dei repubblicani spagnoli, firmato anche da Andrè Breton, Paul Eluard e Aragon, recitava: "A partire dal 10 maggio 1931 (in Spagna) la folla ha incendiato le chiese, i conventi, le università religiose…Cinquecento edifici distrutti all'inizio non chiuderanno questo bilancio di fuoco…Distruggere con ogni mezzo la religione, cancellare fin le vestigia di quei monumenti di tenebre…Tutto ciò che non sia violenza quando si tratta di religione, di quello spaventapasseri che è Iddio, dei parassiti della preghiera, dei professori della rassegnazione, è paragonabile al patteggiamento con quel verminaio del cristianesimo che deve essere sterminato".
1 Mille pro, duemila contro La guerra degli scienziati
MADRID — Infuria, in piena settimana santa, la prima, spettacolare e quasi totale guerra tra scienziati spagnoli sull’aborto. O meglio, sul ruolo di arbitro inappellabile che la scienza finisce per esercitare nello scontro tra abortisti e anti- abortisti. Da una parte, gli oltre duemila firmatari della Dichiarazione di Madrid, un documento che si oppone, con argomenti scientifici, alla legittimazione dell’aborto fino alla ventiduesima settimana di gestazione, la nuova normativa attualmente allo studio del governo Zapatero.
E di fronte, un altro migliaio abbondante di ricercatori che, in pochi giorni, si sono coalizzati attorno a un manifesto per denunciare «la crescente utilizzazione ideologica e di parte della scienza » in campagne dalle connotazioni troppo opinabili. Inevitabilmente si spulciano i due elenchi di firme, si stilano le graduatorie e le classifiche delle due squadre in campo, se ne misura il prestigio in base ai titoli e ai riconoscimenti conseguiti nel corso delle carriere. Ne risulta che si sono già schierati, di qua o di là, i direttori di venti istituti di ricerca, 138 componenti delle Accademie Reali, centinaia di cattedratici, di vincitori di premi nazionali e del nobel spagnolo, il premio Principe delle Asturie, ex presidenti del centro di ricerche nazionale, il Csic, e i direttori di molti dei suoi dipartimenti. È una mobilitazione di scienziati vertiginosa e senza precedenti, a memoria del quotidiano El País. Un titanico confronto di sapienze e aristocrazie accademiche.
Dal punto di vista numerico, la Dichiarazione di Madrid è ancora in netto vantaggio: 2.064 professionisti hanno sottoscritto le erudite tesi a sostegno dei diritti della vita fin dalla sua fase embrionale e fetale. Contro quasi 1.162 dissenzienti, che con altrettanta cognizione di causa, non difendono tanto l’aborto, quanto la neutralità della scienza di fronte al dilemma dell’interruzione della gravidanza. Alla base della Dichiarazione di Madrid c’è l’avvertimento ai legislatori che «la vita di un essere umano inizia con la fecondazione, quando si costituisce l’informazione genetica propria di ogni vita umana» e la prima firma in calce è quella di Nicolas Jouve, titolare della cattedra di Genetica dell’Università di Alcalá. Dopo di lui hanno aderito l’ex presidente del Csic, Cesar Nombela, e in ordine sparso 512 medici, tra i quali 76 ginecologi, oltre a 129 membri di Accademie Reali e a una quindicina di ricercatori del centro nazionale.
La lista dei promotori del «contro manifesto», che accusano i colleghi di «confondere la società presentando come conclusioni scientifiche ciò che rientra nell’ambito delle convinzioni personali, ideologiche o religiose» è aperta da Juan Lerma, direttore dell’Istituto di Scienze Neurologiche del Csic. Lo appoggiano 250 colleghi, inclusi i direttori dei principali istituti del centro, dalle Scienze del mare alla Chimica organica generale, passando per la ricerca sull’Intelligenza artificiale e la Tecnologia dei polimeri. Un rosario di specialità ed eccellenze che compensa la penuria di medici, per ora soltanto una ventina, contrari alla partigianeria della scienza in questioni di coscienza. «Non siamo a favore dell’aborto — puntualizza Lerma —, e difatti fra i nostri firmatari ci sono molti cattolici. Ma siamo contro le manipolazioni. È ovvio che la scienza possa stabilire ciò che è vivo e ciò che non lo è. Però non si può usare la scienza per dire quando si è, o no, un essere umano». (si veda quanto è abberrante e falsa una simile dichiarazione: la scienza non saprebbe dire cosa è un essere umano? Lo confonde forse con una pietra, o con un girino, o con un coniglio? Folle...ndr).
Pamplona, 29 marzo 2009.
2 Lo storico Pío Moa Spagna ’36, di chi la vera colpa?
Antifranchista militante, membro negli anni Settanta del Partito comunista clandestino e attivista del gruppo rivoluzionario maoista Grapo, dopo la caduta della dittatura Pío Moa si è buttato a capofitto nello studio della storia dell’ascesa di Franco, della Guerra civile spagnola e della Repubblica del Fronte popolare.
E ne è riemerso con idee radicalmente discoste dai luoghi comuni storiografici che – in Spagna evidentemente come in Italia – tracciano senza esitazione la linea di demarcazione tra i buoni e i cattivi. Moa, che giovedì sarà ospite del Centro culturale di Milano nell’incontro «Liberazione o furia ideologica? Verità e mito della Guerra civil» (Sala Verri, via Zebedia, 2), ricostruisce l’annuncio della conclusione della Guerra civile, dato da Franco il primo aprile di settant’anni fa:
«Fu davvero la fine della guerra – spiega lo storico galiziano, autore nel 2003 di Los mitos de la Guerra Civil che, con centocinquantamila copie vendute, restò al primo posto in classifica per sei mesi consecutivi–. Dopo la Seconda guerra mondiale i comunisti cercarono di riaccendere la guerra civile attraverso la guerriglia, come in Grecia. Però fallirono. In Grecia i guerriglieri furono sconfitti soltanto grazie all’appoggio di Gran Bretagna e Stati Uniti, mentre in Spagna furono annientati senza alcun bisogno di aiuti esterni».
Perché? «Perché non trovarono quasi nessun appoggio tra la popolazione. La gente si ricordava molto bene che cos’erano stati il Fronte popolare e il comunismo, e non voleva più nulla del genere. In Spagna soltanto negli ultimi anni, con Zapatero, è ritornato un certo clima psicologico da guerra civile, imposto dal potere».
L’opposizione antifranchista era davvero democratica, oppure per quelle sinistre il termine era, come negli anni Trenta-Cinquanta in Italia, soltanto un sinonimo di 'antifascista'? «A opporsi a Franco c’era un insieme di comunisti, anarchici, marxisti rivoluzionari del Psoe [Partito socialista operaio spagnolo, oggi guidato da Zapatero, ndr], diversi gruppi golpisti come quello repubblicano di Azaña, nazionalisti catalani; in più c’era il Partito nazionalista basco, di un razzismo non lontano da quello nazista. È ridicolo pretendere che questi partiti fossero democratici. In realtà avevano distrutto ogni legalità nella Repubblica, che almeno in parte era democratica, e così causarono la Guerra civile».
Perché attribuisce al Fronte popolare la responsabilità di aver realmente causato la guerra? «Nell’ottobre del 1934 il Psoe e i nazionalisti catalani si sollevarono contro il governo legittimo e democratico di centrodestra. Sconfitti, non mutarono atteggiamento, fino a quando non riuscirono a radunare quasi tutte le sinistre nel Fronte popolare, con il quale si presentarono alle elezioni del febbraio 1936. Fu un voto antidemocratico, pieno di violenze, e il Fronte si proclamò vincitore anche se i dati elettorali non furono mai pubblicati. Immediatamente iniziò un’ondata di omicidi, trecento in cinque mesi. Solo una minima parte fu compiuta dalla Falange, allora un piccolo partito semi-fascista che peraltro iniziò a uccidere soltanto dopo che diversi sui militanti erano stati ammazzati impunemente dalle sinistre. E poi incendi, assalti alle sezioni e ai giornali di destra, fino al sequestro e all’omicidio di Calvo Sotelo, uno dei capi dell’opposizione. Il governo, intanto, organizzò un’illegale revisione dei seggi per sottrarne decine alla destra e destituì, altrettanto illegalmente, il presidente della Repubblica, Alcalá-Zamora; annullò poi ogni indipendenza della magistratura, ponendola sotto la supervisione dei sindacati, e si rifiutò di arrestare l’ondata di violenze. Non rispettava né faceva rispettare la legge, e di fatto proteggeva il processo rivoluzionario: quando un militante di destra veniva assassinato, la polizia perseguiva... la cerchia della vittima. I militari, esitando molto, cercavano di organizzare un complotto; quando però Calvo Sotelo fu ucciso da un gruppo di poliziotti e miliziani socialisti, Franco e gli altri smisero di esitare e si ribellarono. Credo che in pochi altri Paesi i conservatori avrebbero sopportato tante violenze e illegalità prima di sollevarsi».
In questo contesto si inscrivono anche le violenze contro i religiosi. Qual è lo stato attuale della ricerca storica su questo tema? «Furono ammazzati circa settemila religiosi, da vescovi a monache; più ancora furono gli uccisi per il solo fatto di essere cristiani. Furono distrutte migliaia di chiese, incendiati monasteri – alcuni con biblioteche di grande valore –, rubata un’infinità di opere d’arte. L’omicidio dei religiosi mostrò un sadismo difficile da credere. Non fu una persecuzione popolare spontanea, ma organizzata dai principali partiti. Di tutto questo oggi non si può più dubitare».
Perché interpreta la sollevazione franchista come un "atto reazionario"? «Perché, letteralmente, reagiva contro un processo rivoluzionario. Franco non si sollevò contro la Repubblica né contro la democrazia, ma contro la rivoluzione. I franchisti non credevano nella democrazia, poiché ritenevano che ormai fosse diventata impossibile, in Spagna; all’epoca, del resto, in tutta Europa erano in molti a credere che la democrazia liberale apparteneva al passato».
Ma tra franchisti e repubblicani non c’era, negli anni Trenta, nessuna forza democratica? «No. Non esistevano sinistre democratiche. Le più moderate volevano imporre un regime come quello del Partito rivoluzionario istituzionale messicano, e le più estremiste – la maggioranza – anelavano a una rivoluzione in stile sovietico o anarchico. Le destre rispettavano molto di più la legalità repubblicana, e si sollevarono soltanto quando la situazione era compromessa. La maggioranza delle destre non era fascista, ma neanche democratica: erano conservatori, e dopo il Fronte popolare cercarono di organizzare un regime cattolico. che chiamavano 'democrazia organica'. La dittatura di Franco fu autoritaria, non totalitaria, e la differenza è essenziale. Fu molto meno dura di quella sovietica, per capirci».
È difficile, oggi in Spagna, mettere in dubbio i dogmi storiografici sui 'buoni' e i 'cattivi' della Guerra civile? «Lo è stato fino a pochi anni fa, quando l’intera storia della guerra e del franchismo era fatta di miti, però si impone sempre più una versione adeguata dei fatti storici. Perché i fatti sono testardi, nonostante il fatto che siano molti coloro che cercano di occultarli – a partire dall’attuale governo. Ma ormai hanno perso la partita e in pochi anni quei miti spariranno del tutto: cosa necessaria per tutelare la democrazia e arrestare l’involuzione politica attuale». Avvenire 1 aprile 2009