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BRUNETTA: IO MINISTRO, MA VENDEVO GONDOLETTE
Di Rassegna Stampa - 16/06/2008 - Politica - 1282 visite - 0 commenti

Intervista-ritratto del giocatore piu' scatenato della squadra Berlusconi. «Sono orgoglioso di essere figlio di gente povera». «Il declino non esiste. Non esiste la recessione, né in Italia né nel mondo».

 L’ufficio del ministro per la Funzione pubblica è la Sala Carlo V di palazzo Vidoni, dove l’Imperatore ricevette la numerosa nobiltà romana. In fondo in fondo, s’intravede Renato Brunetta, con Tremonti il ministro più popolare del governo, ma anche il più preso di mira: mini- ministro, l’unico più basso di Berlusconi... «Miserie. Provo sincera pena per chi le dice. Radical-chic, sinistra al caviale: mi fanno un baffo. Certo, un tempo ci soffrivo. Poi ho imparato ad accettarmi. Sono orgoglioso di essere figlio di gente povera. Figlio della Venezia popolare. Ha presente Thomas Mann e Visconti? La Venezia letteraria, crepuscolare? Ecco, tutto il contrario.

Da bambino andavo a vedere i siori che mangiavano il gelato a San Marco. Soldi per i gelati io non ne avevo. Andavo a pescare i granchietti e le anguelle, quei pesciolini trasparenti, da fare fritti. E andavo a lavorare con mio padre». Venditore ambulante di protesi, è stato scritto. «Ma quali protesi. Gondoete». Prego? «Gondole di plastica nera. Vetri di Murano. Souvenir.

Avevamo una bancarella in lista di Spagna, accanto alla stazione. E lì, sui marciapiedi di Cannaregio, ho imparato tutto. Il lavoro, il sacrificio. Conoscere la gente, parlarci». «Vivevamo in nove in novanta metri quadri, con i miei due fratelli, mia zia vedova e i suoi tre figli. In affitto tutta la vita. Quando papà finalmente mise da parte un po’ di soldi, comprò una Topolino usata; mamma ci rimase male, ancora adesso mi tormenta il pensiero che con quel denaro avremmo potuto comprare la casa. Da qui la mia passione per le case. Tutti dovrebbero avere, più che un lavoro, una casa».

Vasto programma. «Ma io ho un piano: non serve costruire; basta rendere proprietari gli inquilini delle case ex Iacp, trasformando l’affitto in un mutuo. E comunque in casa mia non c’era un libro. Io ho fatto le magistrali, sono maestro abilitato. Ma, un giorno, una giovane supplente mi disse: "Lei non si rende conto di essere diverso?". "In che senso?", risposi. "Non capisce che la sua mente è diversa?". Quella supplente, che non ho più rivisto, mi cambiò la vita. Tornai a casa, parlai con la mamma. Lei capì».

Il ministro si commuove, pensando alla madre. «Cominciai a studiare il greco la notte, di nascosto. Fino a quando un professore, che aveva intuito, non mi fece tradurre l’epigrafe in greco dei Sepolcri di Foscolo. I compagni compresero. E si schierarono con me: il mio successo era il loro riscatto sociale. Mi amavano, anche perché finivo i compiti in un quarto d’ora e li passavo a tutti. Così ho dato l’esame per passare al Foscarini. Il figlio dell’ambulante, il piccolino, al liceo dei siori. Alla maturità fui il primo della classe».

Nel ’68 Brunetta aveva diciotto anni. «Ed ero contro. Fui cacciato dall’assemblea dei figli di papà che chiedevano il 30 politico. Capii subito l’inganno: "Voi siete ricchi, io povero. Ma io ho la testa; voi no. Così voi chiedete voti uguali per tutti, per restare voi ricchi e io povero. Ma così mi fottete!". Ho sempre votato Psi. Oggi sono un socialista di Forza Italia. Lib-lab: liberalsocialista ».

Esordio con Gianni De Michelis. «La migliore testa della politica italiana degli ultimi cinquant’anni». Consigliere economico di Craxi — «un freddo, mi apprezzava molto ma non l’ho mai frequentato» — e di Amato: «Gran testa, poca personalità. Gliene voglio: poteva salvare il Psi, e non l’ha fatto». Infine, Berlusconi. «Entrò in un convegno mentre stavo parlando. Gentile com’è, si scusò per avermi interrotto. Risposi che grazie a lui avevo ricominciato da capo trovando un incipit migliore.

Fu amore a prima vista. Approfondito quando, dopo la caduta del suo primo governo, mi chiese una serie di conversazioni, non lezioni, di economia. Mi chiedeva del tasso di crescita, del rapporto deficit-pil, di Maastricht. Io facevo due ore all’università, poi due ore con lui, poi lo lasciavo per tornare a lezione. E Berlusconi: "Sì, ma poi torna?". Mai visto tanta umiltà, tanta sensibilità, tanta voglia di capire. Con quella frase mi ha conquistato per sempre».

Le cronache del ricevimento al Quirinale descrivono Brunetta «mano nella mano con un’alta e giovane donna vestita di trasparenze voiles». «Sì, è la mia fidanzata. Ufficiale. Si chiama Titti ma il cognome non lo dico. È un’arredatrice d’interni. Condivide la mia passione per le case. Ne abbiamo due, a Venezia e a Todi».

Il momento magico lo induce a professioni di ottimismo. «Ma è un fatto, non una mia opinione: il declino non esiste. Non esiste la recessione, né in Italia né nel mondo: recessione è quando per due, tre trimestri di fila il pil diminuisce; invece l’Italia è sempre cresciuta, sia pure poco. Non esiste neppure la crisi dei subprime».

Come non esiste? «Esiste una crisi di crescita. E di governance. Ma i subprime non c’entrano niente. I derivati sono un aspetto virtuoso, positivo, della straordinaria crescita economica americana di questo decennio. La tensione sui subprime incide in minima parte sui bilanci delle banche. Crederà mica che la Northern Rock sia fallita per i subprime? È crollata la fiducia dei risparmiatori. Dobbiamo e possiamo recuperarla». Sì, ma in che modo? «L’economia italiana non è messa male. È in sofferenza per il prezzo del petrolio. Controllo dell’offerta, aumento della domanda: agli arabi conviene tenerlo sotto piuttosto che venderlo».

Quindi non è vero che il petrolio sta finendo. «Ma quando mai! Secondo il club di Roma del molto commemorato Peccei, il petrolio sarebbe dovuto essere finito da cinque anni. Invece ogni cinque anni le riserve raddoppiano, o comunque si rivedono al rialzo. Basterebbe un grande patto europeo per costruire 50 centrali di quarta generazione, in modo da coprire metà del fabbisogno entro il 2020, per far crollare il petrolio e il gas del 30 o del 40%. Allora i produttori avrebbero fretta di vendercelo, per paura che gli resti sul groppone».

Quanto costa costruire 50 centrali di quarta generazione? «Sei, sette miliardi di euro l’una. Moltiplicato per 50, fanno 350 miliardi di euro». Dove li troviamo? «Lanciando gli eurobond. Titoli europei, garantiti con le eccedenze auree e valutarie della Bce. Enorme risparmio, enorme investimento nella ricerca, enormi risorse per la sicurezza e le infrastrutture dal Baltico al Mediterraneo, da far impallidire il tunnel sotto la Manica e il ponte sullo Stretto: l’Europa ripartirà. È l’idea keynesiana che ho in comune con Tremonti e Delors».

Brunetta cita di continuo Tremonti. Eppure la vulgata vuole che il rapporto tra i due sia teso, al limite dell’incompatibilità. «Con Tremonti ci conosciamo da 28 anni, quando lui era un brillante giovane professore a Venezia e io ero un giovane incaricato. Tra noi c’è sempre stata una sfida a vedere chi è più bravo. Tremonti è fantasioso, io sono fantasioso. Giulio ha grandi visioni, io ho grandi visioni. Lui è geniale, io sono geniale. Ecco, il nostro è un rapporto tra due persone geniali. Tutto qui».

Corriere della Sera

 
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