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Femminismo: una teoria anti-donna
Di Irene Bertoglio - 07/04/2008 - Bioetica - 1226 visite - 0 commenti
Davanti alla sconcertante realtà dell’aborto, il “Centro di Aiuto alla Vita Abbiategrasso-Magenta” ha deciso di interrogarsi sul valore della “donna-persona” e della “donna-madre”. Nasce così la conferenza dal titolo «Liberi di accogliere la vita» dello scorso 5 aprile, alla quale ha partecipato Laura Boccenti, docente di filosofia e collaboratrice del «Timone». Secondo la giornalista, per rispondere a questa originaria domanda di significato è fondamentale analizzare il contesto culturale in cui siamo immersi, il quale «si è distaccato dalla verità su ciò che l’uomo è come persona»: spesso si identifica il senso della vita soltanto con la dimensione fisica e biologica. Questo errore parte da un rifiuto del principio secondo il quale «la verità non è proprietà del pensiero, ma è proprietà dell’essere»: la realtà contiene sempre un residuo di mistero che non è governabile e «questo fatto per l’uomo contemporaneo è insopportabile!». L’idea più diffusa è quindi quella secondo cui solo la ragione scientifica è libera, neutrale e senza una propria visione del mondo e dell’uomo. In realtà oggi una larga frangia di scienziati tenta di assolutizzare la ragione misurante, idealizzandola come unica ragione, unico paradigma che abbia dignità: ma il “dimezzamento” della ragione non è legittimo, in quanto gli stessi intellettuali, «quando educano i figli, li educano a dei valori, dovendo riconoscere a loro malgrado che i valori sono conoscibili». Tuttavia, questa visione della ragione nasce da un’idea di uomo ben precisa: l’uomo è un prodotto casuale di un processo evolutivo della materia, e la ragione serve solo per capire ciò che è utile per affermarci come individui (vedi evoluzionismo, lotta per la sopravvivenza). Il compito della ragione invece dovrebbe essere un altro, quello di «scoprire cosa compie la nostra umanità di uomini»! È a questo livello che si pone una seconda riflessione: se l’uomo non pensa più di dipendere da una causa e diventa dio di se stesso, allora si impone la “libertà assoluta”: «io decido ciò che è bene e ciò che è male per me. Io non ti impongo la mia scelta e tu non mi imponi la tua». Ecco l’origine dell’individualismo e del relativismo: la verità delle cose non è conoscibile, esistono solo opinioni soggettive ed emozioni, che diventano guida per l’autenticità della vita. Se non si può conoscere il bene, le scelte sono inevitabilmente determinate dagli orientamenti soggettivi e dalle circostanze. Questa mentalità trova nel femminismo un forte alleato: «la famiglia comincia ad essere concepita come una forma di schiavitù della donna». La liberazione richiede allora il controllo assoluto dei mezzi per regolare il concepimento e la nascita. Perché oggi un uomo non può incidere sulla scelta dell’aborto? Perché si è affermata questa idea secondo cui la donna deve avere l’assoluto controllo della gravidanza. Da questa convinzione si sviluppa poi anche l’ideologia di genere: «gli essere umani nascono senza orientamento sessuale, che dipende invece dalla cultura. La tua sessualità è libera, te la decidi tu, è polimorfa». Ecco spiegata la richiesta di legittimazioni giuridiche dell’omosessualità, della bisessualità, dell’amore tra le specie e dell’amore intergenerazionale (leggi: pedofilia). Se tutto ciò vi sembra teorico vi basti pensare che questa posizione ideologica è sostenuta a livello accademico da molti centri culturali dominanti che hanno imposto termini e testi scolastici, facendo diventare un problema quella che prima era la tesi di una piccola lobby: vi sono scuole nelle quali gli esperti di educazione sessuale presentano teorie pedagogiche in cui le tipologie di gioco non educano alla differenza, anzi, aiutano nella decostruzione dei ruoli e delle identità. D’altra parte oggi «dire che per natura ci sono uomini e donne è diventato quasi un reato, è considerato discriminazione e omofobia». Gli obiettivi sono così l’uguaglianza a tutti i costi e la cancellazione forzata e innaturale delle diversità della funzione, senza tener conto che essere donne o uomini non significa affatto avere diversa dignità. Concepire l’umanità solo sui diritti civili e sul potere vuol dire invece non avere nessuna stima dell’identità femminile, il cui principale compito è quello di dare la vita: significa che in questo orizzonte culturale in cui è la libertà ha cambiato connotati, la vita non ha valore. Ma la natura ci è data, non la creiamo noi. Accettare questo è, per l’uomo moderno, il primo passo per rispondere al bisogno di felicità che c’è nel suo cuore.
 
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