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Ferrara: «L’aborto? Una pratica disumana in guanti bianchi»
Di Irene Bertoglio - 05/04/2008 - Politica - 1152 visite - 0 commenti
Quando, lo scorso venerdì 4 aprile, Giuliano Ferrara ha parlato di un «popolo sommerso che ama la vita e che deve essere sostenuto», non aveva ancora ascoltato le parole che il Papa ha affermato questa mattina: «il divorzio e l’aborto sono piaghe per la famiglia e per la società e contro chi ne soffre c’è una congiura del silenzio». Invitato dal “Centro di Aiuto alla Vita Abbiategrasso-Magenta”, il direttore del Foglio parla alla platea insistendo sulla de-responsabilizzazione caratterizzante la nostra società, che ha attuato un vero e proprio «tradimento dei princîpi basilari dell’umanesimo», e che si presenta come «inospitale, fredda e distante dall’idea di maternità». Nel presentare le ragioni della sua lista, Ferrara sottolinea in primis come la sua battaglia non nasca «per vanità o per fanatismo» ma per una profonda convinzione, che non si è mai tradotta in una bandiera ideologica. Senza eufemismi, il discorso verte immediatamente sul grave pericolo dei tempi moderni, ossia la selezione eugenetica: «dopo il nazismo che consegnava l’imperfezione fisica ad una logica di abbandono ed eliminava i deformi, si afferma oggi una nuova forma di infanticidio non meno barbarica, quella che si compie attraverso gli strumenti tecnico-scientifici». Si è imposta infatti oggigiorno l’infausta idea che, per il loro bene, i malati andrebbero eliminati: i più deboli, i “malformati” o coloro che hanno problemi fisici, possono essere così cavie dell’aborto selettivo ed eugenetico, considerato come una fiera conquista sociale. Qui si colloca il grande paradosso della cultura moderna, che «non capisce che l’aborto di Stato come politica demografica non è soltanto inumano, ma è anche un tremendo arcaismo: non c’entra niente con la modernità!». Forse questo crimine contro la vita è accettato con più indifferenza da parte della collettività, proprio perché è più subdolo. Ma – si chiede il giornalista - «come si può tornare ad una selezione della razza in guanti bianchi?». Eppure Veronesi («il santone in camice bianco») è convinto che oggi sia finalmente possibile creare l’uomo perfetto, una vita futura che deve necessariamente soddisfare i nostri capricci, poiché questo ci permette di essere più liberi, quando in realtà «l’aborto non è moderno; l’abortificio come cultura della soppressione della vita umana è ancestrale». Bisogna contrastare la convinzione che la scienza, invece di curare i malati, debba sopprimerli; bisogna smetterla di svilire, di svalutare l’individualità, concepita solo come il prodotto di un incontro biologico! Ferrara cita un articolo da lui recentemente letto in cui si definiscono coloro che hanno contrastato la 194 come «pervertiti che godono nel vedere il corpo di una ragazza deformata dalla gravidanza». La gravidanza è diventata così una malformazione. Ecco perché Ferrara si chiede: «come fanno, i ragazzi che sostengono l’aborto, a pensare di essere dalla parte della libertà? Questi ragazzetti di Bologna che si credono marxisti non sanno che l’aborto non è un totem, ma che a volte è una costrizione». Spesso, infatti, la donna in stato di gravidanza, soprattutto se indesiderata, vive in un clima di solitudine: con la pillola Ru 846 poi, tutta la responsabilità stessa grava sulla donna, che la sostiene in perfetta solitudine. Il problema allora è innanzitutto culturale: vi è una «indifferenza morale» da parte della società che lascia alla classe medica la possibilità di erigersi a potere dispotico e allo Stato il compromesso della legalizzazione e della depenalizzazione della pratica abortiva. La responsabilità personale è stata così drammaticamente tradita e si esprime nell’insensibilità collettiva di ognuno di noi di fronte alla strage di questi bambini abortiti, «chiusi in sacchetti di plastica come rifiuti», e vittime di questa nuova forma di selezione demografica. A questa cultura della morte deve contrapporsi un’altra concezione della vita e del mondo: «la nostra assoluta certezza è quella di trasmettere un modo di concepire l’esistenza che vede il bambino non come un clandestino, ma come una vita che va accolta». Per fare ciò, queste sono le domande che Ferrara ci pone: «Dopo aver praticato un miliardo di aborti, cos’è diventato il mondo occidentale? È veramente possibile separarci da una tradizione durata 2000 anni, nella quale si è incarnata l’idea della libertà dell’uomo moderno? È lecito e auspicabile abrogare con un colpo di spugna il cuore della nostra civiltà per indifferenza, per rimozione psicologica? Davvero pensiamo sia possibile una società in cui la vita viene disumanizzata? Vi sembra moderno? Riformista? Umanitario? Degno di una società che si dice per la libertà?». Al lettore, sicuramente obbiettivo, la risposta.
 
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