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I figli si ribellano: lasciateci giocare! Lo sciopero del calcio dei ragazzi di Ponte a Elsa
Di Umberto Folena - 15/12/2007 - Attualità - 1233 visite - 0 commenti
Fosse per noi, gli affibbieremmo un Daspo. Nota per i non tifosi, beati loro: Daspo sta per “Divieto di accedere alle manifestazioni sportive” ed è una legge la cui prima formulazione risale dal 1989 e in seguito è stata più volte modificata, nel senso di inasprita. Lo affibbieremmo a quei genitori – non tutti ma neanche pochi, a quanto sembra – che a Ponte a Elsa, in Toscana, vanno alle partite dei figli comportandosi da bulli curvaioli. Quei genitori davanti ai quali i figli, ragazzi di 8, 9 e 10 anni, hanno sventolato in faccia cartelli dal tenore inequivocabile: «Non rovinate il divertimento dei vostri figli», «Genitori non litigate, fateci giocare». Un bel Daspo di quelli duri, con obbligo di firma quando i figli sono in campo. Siamo sicuri che alla stazione dei Carabinieri sarebbero d’accordo, specialmente se qualche milite ha il figlio che gioca e non ne può più, al pari dei genitori civili, molti dei quali – le testimonianze in proposito sono fin troppe – finiscono per scoraggiare i figli dal frequentare ancora quel pessimo ambiente. Meglio la pallacanestro o la pallavolo? No, nessuno sport di squadra si salva. E comunque un pingue drappello di genitori deve aver superato il segno, se l’Unione sportiva Ponte a Elsa ha deciso di non far scendere in campo le sue tre squadre domenica. Sciopero, con il benestare della locale Federazione e, pare, l’indifferenza delle altre società, a dimostrazione che per una società seria e responsabile, ce n’è un’altra – ci teniamo stretti – i cui allenatori sono parenti stretti di quei genitori, con cui se la intendono. Il Daspo è una misura repressiva? No, preventiva. Serve a evitare guai peggiori. Serve a far riflettere, nella speranza che i rei ne siano ancora capaci e facciano autocritica, anziché incattivirsi ancora di più. Il Daspo della Val d’Elsa non servirebbe allo spettacolo, alle tv o al carrozzone del calcio, ma ai ragazzi. Molto, moltissimo prima del fragile diritto dei genitori di assistere ad allenamenti e partite, rigurgitando insulti e “consigli”, fino a venire alle mani, c’è il sacrosanto diritto dei ragazzi di poter fare in pace quello che chiedono: giocare. Il problema è tutto lì. I ragazzi hanno il diritto di giocare e certi adulti, anziché garantire loro quel diritto, lo impediscono. Perché? Perché sono maleducati come tutti coloro che vivono ripiegati su stessi, con gli altri a loro uso e consumo. I figli “servono” a gratificare i genitori; il contorno – allenatori, avversari e arbitri – dev’essere compiacente; e se ciò non accade, scoppia la rabbia. A ben vedere, la piccola storia di Ponte a Elsa è emblematica di un clima generale. Il Daspo ai genitori? Vi chiedete se facciamo sul serio? Ce lo domandiamo pure noi. Certo il Daspo sarebbe più equo della decisione traumatica dello sciopero, che comunque impedisce ai ragazzi di giocare. Giocare, non imparare a diventare divi per far soldi. Non assecondare le paranoie dei grandi. Fateli giocare. Se imparano a giocare bene a 10 anni, c’è qualche possibilità che un giorno diventino adulti sul serio, lavoratori onesti, genitori generosi. Persone per bene. (Da Avvenire, 15 dicembre 2007)
 
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