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Il linguaggio di Dio, di Francis Collins, responsabile del progetto Genoma.
Di Umberto Fasol - 24/07/2007 - Scienza - 2909 visite - 0 commenti

“IL LINGUAGGIO DI DIO”: perché non ascoltarlo? E’ appena uscito un libro molto importante sul dibattito sempre attuale tra scienza e fede, perchè porta la firma di Francis Collins, direttore del Progetto Genoma che ha portato alla lettura completa del DNA umano: si tratta de “Il linguaggio di Dio” edito da Sperling & Kupfer, traduzione italiana dell’originale “The language of God”.

Ho parlato di un libro “importante” sia per i dati e le argomentazioni che riporta che per l’autorevolezza dell’Autore, il genetista di fama internazionale che si è trovato accanto al Presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, quando ha dato a tutto il mondo l’annuncio della decifrazione del codice della vita. Vorrei qui esaminare in dettaglio le argomentazioni che Francis Collins sostiene, da una parte per criticare la teoria del disegno intelligente e dall’altra per rafforzare la teoria darwiniana sia pur presentata all’interno di un contesto teistico (la teoria del Biologos) in grado quindi di soddisfare anche le esigenze di chi, come lui, crede in un Creatore.

E’ vero: le somiglianze nel DNA depongono a favore dell’ipotesi di un antenato comune per i viventi: questo è il “pezzo” forte di Collins a conferma del modello darwiniano sull’origine della vita. Ovunque ritroviamo lo stesso scheletro di desossiribosio e fosfato con la variabile base azotata. Ma è lecita anche, secondo me, un’altra ipotesi, più semplice ancora: la vita è stata fatta solo con questi ingredienti di base; per questo le somiglianze di fondo tra i viventi sono scontate. E’ un po’ come dire che la Renault scenic e la Ford focus hanno la stessa struttura di base: è ovvio, sono entrambe automobili. Non posso però sostenere che un modello derivi dall’altro per evoluzione, a meno che non abbia assistito per davvero al processo di trasformazione dell’uno nell’altro, come si può osservare nella pubblicità televisiva di un’auto che si trasforma lentamente in un robot che cammina. Sono due progetti diversi, ma si tratta sempre di veicoli a quattro ruote e quindi utilizzano ingredienti simili sia per struttura che per funzione. “Quasi tutti i geni presenti nel cromosoma 17 dell’uomo si ritrovano nel cromosoma 11 del topo. Il cromosoma 2 dell’uomo sembra derivare dalla fusione di due piccoli cromosomi dello scimpanzé e questo spiegherebbe come mai la specie umana abbia 46 cromosomi, cioè due in meno della scimmia. Sequenze ARE (ancient ripetitive elements) si ritrovano in posizioni analoghe nei cromosomi di specie diverse.” (pag. 135 - 136)

Sono dati genetici che rivelano un sottofondo comune tra specie che differiscono anche notevolmente tra di loro nella forma e nelle dimensioni (come un topo, una banana, una scimmia e un uomo). Ma, ripeto, la spiegazione più semplice di queste analogie si potrebbe ricercare nella “natura” della vita, che è così diversa dalla terra, dall’acqua, dal fuoco e dall’aria. Del resto, sembra che la decifrazione recente del genoma dell’uomo e di alcuni piccoli esseri viventi ponga nuovi interrogativi, forse ancora più “fondamentali” di quelli che hanno condotto alla loro scoperta. Si dice che un ascaride di 956 cellule (è un verme) possieda lo stesso numero di geni (circa 20.000) che troviamo in un uomo. A questo punto si pongono nuove questioni che non fanno che complicare anziché semplificare, come si vorrebbe.

 Innanzitutto sembrerebbe di poter concludere che non vi sia relazione tra la complessità della specie e la sua quantità di DNA e neppure il suo numero di geni. Ma allora, se si pensava che la causa della complessità anatomica e fisiologica di un organismo fosse da ricercare nel suo DNA e ci si ritrova con una smentita assoluta, che non ammette ricorsi, come non rimanere stupiti e soprattutto come non riconoscere che la causa delle forme debba essere altrove? Se il DNA è sostanzialmente lo stesso nel lievito come nella balena, nell’aquila come nell’uomo… dove sarà mai la causa delle loro differenze così evidenti e nel contempo così costitutive del loro essere? Non è lecito formulare questi nuovi interrogativi piuttosto che rassegnarsi all’idea che tutti gli esseri viventi derivino per trasformazioni sconosciute da antenati comuni (ignoti), senza aver alcun indizio ragionevole sul perché delle loro forme?

 Insomma: perché esistono gli esseri viventi? Questa è la vera domanda che tutti ci poniamo e che rimane ancora senza risposta, soprattutto adesso, dopo la tanto attesa decifrazione del genoma. I geni, in fondo, determinano sequenze lineari di amminoacidi, ovvero ne determinano l’ordine, ma la proteina diventa funzionale solo dopo modifiche post-traduzionali che non dipendono tanto dalla loro struttura primaria. Le proteine di membrana cellulare, per esempio, sono inattive senza la glicosilazione che le stabilizza. E le proteine funzionali non bastano a costruire un organo tridimensionale con specializzazioni anatomiche e metaboliche. Non solo, gli organi sono vitali solo se collegati con il sistema, ovvero con l’organismo intero. Ma chi o che cosa determina tutte queste complessità che sono epigenetiche, ovvero che superano le singole funzioni dei geni? Perché queste domande non sono ritenute più importanti della conclusione affrettata a cui tutto il libro sembra destinato e cioè che l’evoluzione è un fatto e non necessita di ulteriori prove?

Anche in questo libro si vuole scomporre la complessità irriducibile dei fenomeni della vita, come l’occhio, come il metabolismo aerobico, come la fotosintesi clorofilliana, in microscopici passi distribuiti nell’arco di milioni di anni in modo che ogni singolo passo non abbia nulla di orientato e di straordinario. Ma sarebbe come voler negare ogni stupore di fronte all’immensità del mare dicendo che, in fondo, non è altro che l’aggregazione di un numero sterminato di molecole di acqua di cui conosciamo ogni dettaglio chimico e fisico. Con questo stesso criterio si vuole minimizzare l’ordine e la finalità intrinseche nel sistema della coagulazione del sangue dei vertebrati, un fenomeno complesso e necessario, costituito da una sequenza di reazioni a cascata, controllatissime, che conducono alla rete di fibrina, che è il risultato finale.

Si dice che i dati recenti in nostro possesso sembrano confermare l’ipotesi che un gene ancestrale sia stato duplicato in modo da conservare da una parte la sua funzione e dall’altra consentire l’evoluzione di una sua copia per allungare la lista dei fattori di fatto oggi coinvolti in questo mirabile processo (ci sono almeno XIII fattori in elenco, in assenza di alcuni dei quali si ha l’emofilia). In altre parole le proteine del processo sembrano simili tra loro. Ma come è possibile glissare sulla vera posta in gioco? Il problema che ci poniamo non è tanto la somiglianza dei geni e dei loro prodotti, quanto il progetto che sta sotto. Perché mai questi ipotetici duplicati di geni ancestrali (e come ha potuto formarsi il gene originale?) avrebbero dovuto evolvere nella direzione della coagulazione dal momento che non risentono di alcuna pressione ambientale essendo geni e non soma? E come avrebbe dovuto funzionare un processo di coagulazione al 10 o anche al 50%, cioè lungo la fase di evoluzione? Se manca il prodotto finale, ovvero la rete di fibrina, l’animale muore dissanguato, nonostante tutta la sua buona volontà di giungervi attraverso ulteriori duplicazioni geniche!

Ma la vera contraddizione di tutto il pensiero sviluppato dal prestigioso Autore si manifesta quando, verso la fine del libro, a pag. 210, è costretto ad ammettere un Progetto nella misura in cui si sforza di negarlo. “Se l’evoluzione è casuale, come può Dio dirigere veramente il processo ed essere certo che il suo esito preveda la presenza di creature intelligenti? A dire il vero, la soluzione è a portata di mano. Se Dio è al di fuori della natura, è anche al di fuori dello spazio e del tempo. In tale contesto, al momento della creazione, Dio avrebbe potuto conoscere il futuro nei minimi particolari, a partire dalla formazione delle stelle… e così pure tutti gli eventi chimici, fisici, geologici e biologici che hanno determinato la nascita della vita sulla Terra e l’evoluzione degli esseri umani. In un simile contesto, anche se l’evoluzione potrebbe sembrare diretta dal caso, dalla prospettiva di Dio il suo esito sarebbe interamente prestabilito.” In sostanza, quello che sembra casuale per la nostra limitata prospettiva, è in realtà qualcosa di prestabilito da Dio. In questo ragionamento sottile ed elegante si manifesta tuttavia una visione di un rapporto tra Dio e il mondo che è assolutamente da dimostrare. In questa visione, il mondo appare totalmente indipendente da Dio, capace di nascere e di svilupparsi in assoluta autonomia. In altre parole, si attribuisce al mondo la possibilità di generare spontaneamente la vita e le sue forme. Ma è proprio quello che la teoria darwiniana, secondo me, non riesce a dimostrare in termini scientifici. Qui l’Autore ci chiede di accettare che Dio abbia creato semplicemente le condizioni iniziali perché poi una trasformazione, casuale per noi ma razionale per Lui, potesse creare, di fatto, tutta la bellezza e l’armonia della vita sulla Terra. Di fatto noi non riusciamo a vedere tutti questi passaggi spontanei che avrebbero dovuto determinare l’ordine e l’armonia della complessità, a partire da leggi prestabilite da Dio, cioè da una Mente razionale. Il ragionamento di Collins potrebbe funzionare se avessimo dimostrato che la vita è nata dalla materia inorganica, che la simmetria bilaterale si è formata per magìa, che la colonna vertebrale è frutto di graduali calcificazioni dorsali, che l’occhio si è costruito nel tempo con tutti gli “attacchi” necessari al cervello, il quale contemporaneamente ha sviluppato il meccanismo della visione… ecc. ecc.

Si tratta evidentemente di un trucco che Collins utilizza per tacitare la coscienza che vede ovunque intorno a sé un mistero infinito che postula un Disegno bello e intelligente ma che nessun darwinista riesce ad accogliere, ingabbiato nella sua ideologia. Ascoltiamo ancora il nostro Autore, nel paragrafo dedicato proprio alle obiezioni al disegno intelligente: “Così, a livello scientifico, il disegno intelligente non regge, perché non offre né un’opportunità di ratifica sperimentale, né una base solida per la sua affermazione principale, quella della complessità irriducibile. Oltre a questo, in ogni caso, il disegno intelligente si rivela fallimentare anche sotto un aspetto che dovrebbe preoccupare più il credente che lo scienziato. La teoria del disegno intelligente, infatti, non è altro che una riproposizione del “Dio delle lacune”, dal momento che introduce l’ipotetica necessità di un intervento sovrannaturale in casi che, a giudizio dei suoi promotori, la scienza non è in grado di spiegare.” (p. 198). Non si può non rimanere stupiti nel constatare la determinazione con cui l’Autore vuole assolutamente escludere ogni ipotesi di disegno intelligente, formulando critiche che si possono applicare in modo ancora più calzante alla teoria evoluzionistica (“mancanza di ratifica sperimentale”: per Boncinelli non c’è e non ci sarà mai; “mancanza di basi solide”: ci si affida alla mutazione imprevedibile; “ricorre ad un intervento sovrannaturale”: la selezione naturale ha, di fatto, attributi divini). Non solo, alla fine del ragionamento, Collins propone la sua teoria: l’evoluzionismo teistico: “le caratteristiche dell’universo sono state elaborate apposta per consentire la vita”, ovvero una riformulazione personale di un disegno intelligente. Insomma, si vuole negare la teoria del disegno intelligente, ma non si vuole negare un disegno intelligente. Si giustifica un disegno intelligente proponendo -come fanno tanti credenti- una teoria, quella evoluzionistica, che non solo nega, ma esclude costitutivamente ogni possibile anche lontano o sfumato riferimento a qualche cosa di diverso dal caso. La teoria evoluzionistica si fonda su due pilastri, assolutamente governati dalla casualità: la mutazione e la selezione (“il nostro numero è uscito al lotto”: F. Monod).

Siamo in aperta contraddizione: in realtà si deve sciegliere: o la teoria dell’evoluzione o un disegno intelligente! Dalla parte della creazione della vita depone tutta l’autorevole evidenza che deriva dall’osservazione e dallo studio e, nel contempo, tutta la dimostrata inadeguatezza delle ipotesi “gradualistiche”. Sono i due temi che ho sviluppato nel mio libro, mi si permetta il riferimento, a cui rimando il lettore che voglia approfondire (“La creazione della vita” Fede & Cultura, 2007).

 
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