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Il caso Galilei: controstoria. I puntata.
Di Francesco Agnoli - 05/07/2007 - Scienza - 1342 visite - 0 commenti
Dopo il processo a Gesù, quello a Galilei è il più conosciuto e dibattuto nella storia. Conosciuto, in realtà, molto male, se è vero che per tantissime persone esso segna un contrasto insanabile tra fede e scienza, tra Chiesa e rivoluzione scientifica. Cercherò di dimostrare, analizzando la vita e il pensiero del grande Galilei, che i luoghi comuni, ribaditi con tenacia dai calunniatori, e ben digeriti dall'abbondanza dei ri-masticatori di frasi fatte e di pensieri già pensati, hanno avuto la capacità, nell'immaginario collettivo, di ribaltare sostanzialmente i termini del discorso. Che, in breve, sono questi: anzitutto Galilei fu sempre un cristiano, non per comodità, ma per convinzione personale; in secondo luogo il suo straordinario magistero è dovuto al suo appartenere ad una cultura, quella italiana, profondamente cattolica, che dopo oltre mille e cinquecento anni stava ancora affrancandosi, pian piano, dalle favole politeiste ereditate dal paganesimo; infine Galilei divenne il "divin uomo", lo scienziato famoso e ben pagato che fu, in buona parte grazie proprio alla Chiesa, che accolse e consacrò tutte le sue scoperte più importanti, nessuna esclusa, e che entrò in conflitto con lui, nelle persone di Roberto Bellarmino e Urbano VIII, soprattutto per questioni personali e di metodo, più che scientifiche, non senza qualche torto, e qualche ragione. Ma andiamo con ordine. E' bene anzitutto partire dal quadro storico in cui Galilei va inserito. L'Italia, sede del papato, è anche la patria delle università, dei comuni, del rinascimento, dell'arte, della rinascita della medicina; è il luogo di formazione del canonico Copernico, e di scienziati come Vesalius ed Harvey…. La scienza moderna dunque non nasce già calzata e vestita, d'improvviso, come un fiore nel deserto, come Atena dalla testa di Zeus, bensì affonda le radici nel pensiero cristiano, così espresso da Agostino: "Lontano da noi il pensiero che Dio abbia in odio la facoltà della ragione…Lontano da noi il credere che la fede ci impedisca di trovare o cercare la spiegazione razionale di quanto crediamo, dal momento che non potremmo neppure credere se non avessimo un'anima razionale". Galilei nasce Pisa, nel 1564. Nel 1589, grazie all'appoggio del cardinal Francesco Del Monte, viene nominato lettore di matematica nella sua città; poi si sposta a Padova. Subito rivela doti straordinarie, insieme ad un carattere difficile, che lo mette in contrasto molto spesso con i colleghi universitari. Nel 1609, perfezionando uno strumento di invenzione altrui, costruisce il suo primo telescopio. Inizia così l'avventura intellettuale del grande pisano. Galilei, qui sta la novità, punta il cannocchiale al cielo, e con la pubblicazione del Sidereus nuncius rende note le sue scoperte: il carattere scabro ed irregolare della superficie lunare, costellata di rilievi e avvallamenti; un immenso numero di stelle oltre a quelle conosciute; quattro satelliti intorno a Giove. Cosa c'è di anti-cristiano in queste scoperte? Nulla. Di anti-pagano? Tutto. Infatti la cosmologia dell'epoca è ancora quella aristotelico-tolemaica: i cristiani, soprattutto i commentatori del Genesi, la avevano spesso criticata, ma senza proporre nessuna alternativa generale. Per questo, nel XVI secolo, molti dotti credono ad una Luna e a pianeti cristallini, perfetti, incorruttibili, di quinta essenza e cioè divini. Per costoro, come per Aristotele, esistono due fisiche: quella terrestre, e quella celeste. Anche questa visione dualista era stata già combattuta da cristiani come Ambrogio, Grossatesta, e tanti altri, i quali facevano questo semplice ragionamento: un solo Creatore, un solo legislatore universale, dunque una sola fisica. Nel suo Esamerone, più di mille anni prima, Ambrogio spiegava che "in principio Iddio Dio creò il cielo e la terra", "simultaneamente", con un "atto fulmineo della sua volontà", non come due entità qualitativamente diverse, ma come creature procedenti dallo stesso Creatore. E accennando ad Aristotele affermava: "Non concludono nulla dunque, coloro che per sostenere l'eternità del cielo hanno ritenuto di dover introdurre un quinto elemento etereo" (la quinta essenza, ndr), perché cielo e terra, avendo iniziato ad esistere nel tempo, sono entrambi "corruttibili". La reazione al Sidereus Nuncius, e cioè all'unificazione di fisica terrestre e fisica celeste, che è la grande e imperitura conquista del pisano, non si fa attendere. Chi si oppone? Gli astrologi, i medici che legano le malattie agli influssi astrali, matematici di Parigi, Bologna, Padova…cattedratici che non vogliono abbandonare la propria visione del mondo, e il proprio prestigio. Nessuna scomunica religiosa, o d'ambito cattolico, di fronte ad una constatazione che mette in crisi l'idea di divinità immanenti, ma che risulta da subito perfettamente concorde con quella di un Dio trascendente. "A Pisa, a Firenze, a Bologna, a Venezia, a Padova, molti, o mio Keplero, hanno visto, ma tutti tacciono ed esitano". Così scrive Galilei a Keplero, mentre l'aristotelico Cesare Cremonini si rifiuta di guardare nel cannocchiale, invocando l'ipse dixit del pagano Aristotele. Al disappunto e all'incredulità dei più, si aggiunge l'invidia, con la nomina di Galilei, da parte di Cosimo II de Medici, a Primario Matematico dello studio di Pisa, con uno stipendio straordinario di 1000 scudi all'anno. Ma chi consacrerà le scoperte e la figura di questo scienziato subito in grande difficoltà e con tanti avversari "laici"? L'ordine dei Gesuiti, come vedremo la prossima volta.
 
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