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Steve Jobs, al di lą della leggenda
Di Giuliano Guzzo - 21/10/2011 - Attualitą - 1190 visite - 0 commenti

È stata la santificazione più rapida della storia, e proprio per questo una delle più affrettate. Stiamo parlando delle celebrazioni seguite alla morte di Steve Jobs, il fondatore di Apple defunto lo scorso 5 ottobre a causa di una rara forma di tumore maligno al pancreas. Per giorni non si è parlato d’altro e non c’è capo di Stato o personaggio famoso che non abbia sentito il bisogno di spendere parole di cordoglio per questa morte prematura. Il discorso tenuto da Jobs ai laureandi di Stanford nel 2005, poi, è diventato un must del web: riproposto ovunque, è ormai considerato una «nuova dichiarazione d’indipendenza globale», per dirla con Jovanotti. Ora, senza nulla togliere al genio creativo di Jobs e al suo intervento a Stanford, che effettivamente esprime bei contenuti e incoraggiamenti positivi, forse si sta esagerando. Perché il fondatore di Apple ha certamente avuto grandi intuizioni imprenditoriali, ma aveva anche limiti umani non indifferenti.

Basti dire che riteneva che l’assunzione di Lsd «una delle due o tre cose più importanti» fatte nella vita, che vendette il suo primo computer, l’Apple1, a 666,66 dollari – cifra, ahinoi, fin troppo simbolica – e che aveva un carattere al quanto problematico. Qualche esempio al riguardo potrà rendere l’idea. Quando si recava alla sede principale della Apple a Cupertino era solito parcheggiare la sua Mercedes «dove più gli faceva comodo: anche nei posti per i portatori di handicap» e, secondo Alan Deutschman, aveva instaurato in azienda un autentico «regno del terrore», come dimostrerebbero «l’epurazione dei manager traditori» e «il licenziamento per ogni minimo errore» (“Repubblica”, 8 ottobre 2011, p. 20). Anche altre fonti confermano che, all’interno dell’azienda, Jobs adottava «una politica autoritaria e spesso scorretta, senza disdegnare il ricorso a piccoli ricatti e veri colpi bassi pur di orientare l’evoluzione dei progetti nella direzione da lui desiderata» (J. Giakomix, Steve Jobs. Giù le mani dal guru, Bevivino editore 2009, p. 23). Insomma, Jobs non è stato un santo. Ciò non toglie che la sua storia presenti anche aspetti positivi che purtroppo sono spesso trascurati.

I più, infatti, tendono a soffermarsi esclusivamente sul coraggio e sulla determinazione con la quale ha tentato, fino all’ultimo, di superare l’ostacolo della malattia. Che non è poco, ovviamente. Ma c’è dell’altro. Infatti, nella vita di Jobs c’è un’altra storia che parla di determinazione, e forse ancora più esemplare. È quella di Joanne Carole Schieble, sua madre. Una donna che, persuasa dell’impossibilità di tenere il figlio, dopo aver partorito lo diede subito in adozione. Scelta discutibile, obbietterà qualcuno. Eppure è proprio grazie a quella scelta che oggi centinaia di milioni di persone possono gioire delle meraviglie tecnologiche targate Apple. Senza considerare che se solo Joanne Carole Schieble, seguendo l’esempio di molte coetanee, avesse deciso di abortire il figlio che teneva in grembo, nessuno avrebbe potuto beneficiare delle invenzioni di Steve Jobs, né ascoltare il suo toccante discorso di Stanford. C’è un aborto evitato, dunque, alla base di Apple. Peccato che se ne parli poco, perché rappresenta pur sempre una scelta d’amore. Indubbiamente la più importante per la vita Jobs.

(pubblicato su www.corrispondenzaromana.it)

 
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