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Un dopo referendum critico. Molto critico.
Di Rassegna Stampa - 20/06/2011 - Attualitą - 1412 visite - 0 commenti

di Francesco Mario Agnoli

I quattro referendum del 12-13 giugno sono stati nell'immediato (in futuro si vedrà) una grande operazione politica per i partiti che li hanno promossi e sostenuti e una stangata (altroché sberla) per i partiti di governo, che, oltre tutto, si sono autoflagellati, presentandosi allo sbando, senza avere nemmeno il coraggio di posizioni precise pro o contro. Tuttavia una volta di più i veri sconfitti (quel che è peggio con le proprie mani) sono i cittadini, che, non avendo ancora imparato (chi lo avrebbe creduto?) che non ci si deve fidare di nessuno (e dei politici tanto meno), sono andati a votare con l'entusiasmo di chi, più che adempiere ad un (inesistente) dovere civico, è persuaso di operare per il bene della patria e dell'umanità. Se per il nucleare la mancanza di riflessione (sul futuro dell'energia e sugli orrori ambientali e alimentari dell'eolico e del fotovoltaico) può giustificarsi coi recenti casi delle centrali giapponesi, risulta inspiegabile l'attacco di follia che ha determinato il successo a percentuali bulgare del cosiddetto referendum sull'acqua.

I relativi quesiti (in particolare il più importante, il primo) brillavano per un'assoluta incomprensibilità, che ha consentito ai promotori e sostenitori dell'abrogazione di spacciare lucciole per lanterne a cominciare dalla (voluta) confusione fra proprietà pubblica dell'acqua, che, al contrario di quanto hanno proclamato (speriamo in buona fede) anche i sostenitori cattolici e tonsurati del referendum, pronti a tirare in ballo anche San Francesco e “sora nostra acqua”, non era in discussione, e la sua gestione, privatistica (anzi - e anche su questo si è taciuto - la gestione “dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”). Solo di gestione, difatti, si occupava l'ora abrogato art. 23-bis, stabilendo che questa “in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi” potesse essere affidata ad “operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale”(cosi il testo che ben pochi hanno letto prima di votare).

L'esito del referendum sull'acqua non solo non farà guadagnare nulla ai cittadini (un eventuale, e del tutto improbabile calo delle bollette, verrebbe immediatamente compensato dall'inevitabile aumento della tassazione locale, perché le resuscitate “municipalizzate” i soldi da qualche parte dovranno pure tirarli fuori come insegna un triste passato), ma apre le porte ad un periodo di turbolenze a livello comunale, regionale, nazionale ed europeo, destinato a concludersi con il ritorno a situazioni più o meno equivalenti a quella appena cancellata dalla volontà popolare Già, perché l'Italia fa parte (personalmente, al contrario di molti promotori e sostenitori del referendum, sono incline a pensare “purtroppo”, ma così è) dell'Ue, e la legislazione europea (alla quale siamo tenuti a prestare obbedienza) impone che la gestione dell'acqua e di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica sia regolata in ottemperanza ai “principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione”.

In altri termini, alla fine del conflitto Europa-Italia e dopo che quest'ultima sarà stata condannata al pagamento di rilevanti sanzioni per mancato adeguamento, la gestione di questi servizi (“nostra sora acqua” in testa) dovrà essere assegnata mediante pubblici appalti ai quali potranno concorrere privatissime imprese di tutta Europa (qualcuno prevede fin d'ora che si tratterà di multinazionali, che pretenderanno di acquisire la proprietà delle reti idriche, approfittando del referendum che ha tolto di mezzo anche la disposizione che ne garantiva la natura pubblica).

Volendo si può trovare motivo di consolazione (fin che si vuole amara) nell'immaginare cosa escogiterà il prossimo-venturo governo di centro-sinistra per giustificare ai cittadini il ritorno al berlusconismo acquatico. Anzi qui in Emilia-Romagna (e altrove) lo spettacolo è già cominciato con le ambasce degli amministratori del Pd, che dopo avere festeggiato in piazza, si dibattono alla ricerca di un escamotage che consenta di lasciare l'acqua (e affini) a Hera e Iren (quest'ultima coinvolge, oltre all'Emilia Occidentale, Torino e Genova) che da tempo la gestiscono, ma che, pur partecipate da capitale pubblico, sono solo capitalistiche e privatistiche società per azioni.  (Fonte: La Voce di Romagna)

 
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