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Relazione alla I marcia per la vita
Di Renzo Puccetti - 08/06/2011 - Movimento Europeo Difesa Vita - 1243 visite - 0 commenti

Mi è stato chiesto di svolgere alcune riflessioni circa quelli che possono essere i programmi del popolo della vita.

Cercherò di farlo tralasciando le questioni teoriche, ma prendendo in considerazione quello che ho imparato dall’esperienza sul campo nel corso del mio servizio in questa battaglia. Credo che la prima cosa sia proprio questa: prendere coscienza che siamo in guerra. Hanno dichiarato guerra all’essere umano. È una guerra vigliacca, è una guerra spietata condotta contro i più deboli, l’essere umano nel grembo della madre e quello fragile, sofferente, impaurito, l’essere umano nella malattia.

Quella mentalità mortifera che si sperava sepolta sotto le macerie fumanti della seconda guerra mondiale, si è dimostrata capace di rigenerarsi assumendo le fattezze di un nuovo totalitarismo, quello relativista, un totalitarismo capace di promuovere quello che acutamente è stato chiamato il terrorismo dal volto umano. Perché è importante capire che siamo in guerra? Perché capirlo porta con sé alcune conseguenze che mi permetto di esporvi brevemente: Siamo tutti chiamati a combattere questa guerra.

Nessuno si illuda di essere al sicuro: certo, l’aborto non può colpire direttamente noi che siamo già nati, ma può piombarci in casa, può entrare nelle nostre famiglie e segnarci per tutta la vita. E a ciascuno di noi, prima o poi, sarà la stessa natura umana a ricordare che siamo solo creature; ci verrà rammentato attraverso la malattia, la dipendenza dall’altro, la perdita di quella capacità di autodeterminazione che sembra essere divenuta l’unica condizione che rende la vita degna di essere vissuta.

Che ci piaccia o no, la vulnerabilità sarà un ospite che busserà alla porta di ciascuno di noi. Come la società ci tratterà in quel momento dipende anche dall’impegno e dall’ardore con cui ci siamo battuti in questi giorni. La seconda buona ragione per comprendere che si tratta di una guerra è che questo ci aiuta a realizzare la necessità di combattere senza lasciare sguarnito alcun fronte: quello filosofico, quello più immediatamente tangibile dell’assistenza alle persone nel bisogno, quello scientifico, il fronte giuridico, comprendendo in quest’ultimo ambito anche quello delle aule di tribunale. Bisogna riconoscere che questa postazione strategica in ampi settori è sotto il controllo del nemico ed ho come l’impressione che sia subentrata una sorta di rassegnazione o di paura.

Spesso ci si limita alla mera difesa. Non dico che non vi sia saggezza nel sapersi trattenere e temporeggiare quando si intuisce che un attacco non avrebbe alcuna speranza di vittoria, ma sto parlando di qualcosa di diverso, sto parlando della rinuncia a qualsiasi strategia volta a mettere in discussione la supremazia dei nemici della vita nelle aule della giustizia civile e penale.

Perché non si ha notizia di alcuna azione legale nei confronti di quei medici che violano quella legge che gli stessi abortisti hanno promosso e dicono ad ogni pie’ sospinto di volere difendere? Non si tratta di numeri esigui: una ricerca condotta su un campione di poco meno di mille donne ha evidenziato che la metà di quelle che abortiscono non hanno ricevuto alcun sostegno. Mi ricordo di avere letto qualche tempo fa di un consultorio che ha rilasciato il documento per abortire con procedura d’urgenza ad una donna che aveva la non secondaria caratteristica di non essere incinta.

Vi prego di fare uno sforzo ed immaginare con quale cura sia stata visitata e con quanta abnegazione le siano state presentate tutte le soluzioni per evitare l’aborto, così come prescritto dalla legge abortista italiana. Allora ci si chiede: che fine ha fatto quel caso? Qual è stata la sua conclusione processuale? E se è vero che casi come questi sono molti, perché non viene organizzata una sistematica struttura legale che denunci tali comportamenti e assista gratuitamente in sede processuale le donne aiutando così anche i loro bambini? Quando i medici e i farmacisti coraggiosi che per coscienza rifiutano di eseguire richieste volte a provocare la morte del concepito verranno difesi da un tale ufficio legale? In una guerra la scelta del campo di battaglia è uno dei punti essenziali.

 Nella guerra per la vita è fondamentale battersi per un terreno legislativo che sia il più favorevole possibile alla causa della vita. Questo lo si fa difendendo le buone leggi esistenti ed attaccando le cattive leggi che ci sono. È stato detto che le leggi che facciamo oggi saranno la moralità della gente di domani e c’è molto di vero in questo: quello che è legale, è facile pensare che sia anche una cosa buona. Ma la storia ci ha ampiamente dimostrato che le più grandi infamie ed i più terribili abomini sono stati compiuti nel rispetto delle leggi. Allora nella battaglia per la vita una cosa deve rimanere a tutti ben chiara: una legge che consente l’uccisione dell’innocente è una legge ingiusta e basta, non è mai una buona legge, non è mai la migliore nel suo genere.

E non lo dico io, non lo dico io che non sono nessuno, lo dice la Chiesa, madre e maestra, lo dice oggi attraverso l’insegnamento di Benedetto XVI che non si stanca mai d’indicare la vita tra i principi non negoziabili, e lo diceva ieri attraverso la voce di quel Papa che abbiamo desiderato detto Santo e che poche settimane fa è stato proclamato beato, quel Papa che giustamente è stato definito il Papa della vita, per il suo incessante, irremovibile impegno nella promozione e difesa della vita umana.

Allora un movimento pro-life deve battersi come un leone per leggi giuste, non auto-mutilarsi preventivamente, non auto-censurarsi perché il fine ultimo è quello di raggiungere un compromesso. Certo, è vero, viviamo in una società largamente scristianizzata e dipendente dalla mentalità edonistica ed utilitaristica; lo sappiamo, nessuno qui vive su Marte, ma proprio per questo chi ha la responsabilità non soffochi le voci di quanti s’impegnano nella società per promuovere la cultura della verità della vita umana tutta intera; una tale condotta mi pare anche strategicamente perdente: non ho mai visto strappare buoni accordi da chi si siede al tavolo delle trattative con pavida e sfiduciata arrendevolezza.

Siamo in una guerra ed il nemico usa la disinformazione. Fornisce dati fasulli e su quelli comincia a costruire le sue falsità; per questo si devono controllare le fonti. Lo so per esperienza diretta, è un lavoro sfibrante, ma abbiamo prestigiose istituzioni scientifiche, eccellenze accademiche e forse è l’ora che qualcuno, garbatamente, le prenda per un orecchio affinché comincino a fare quello che possono e sanno fare. Si fa un gran parlare di sindrome post-abortiva.

Molte ricerche giungono da oltre-oceano per asserire che la sindrome post-abortiva non esiste; sostengono che le donne che stanno psicologicamente male dopo avere abortito starebbero male comunque, perché il loro malessere non sarebbe dovuto all’aborto, ma alle circostanze della loro vita pre-esistenti l’aborto. Sono ricerche spesso finanziate da organizzazioni abortiste, pubblicate su riviste scientifiche schierate sul fronte abortista, redatte da autori favorevoli all’aborto, talora militanti in associazioni abortiste. Non di meno conosciamo molti psicologi e psichiatri che possono attestare il dolore spirituale ed il malessere psicologico di molte donne direttamente collegati all’aborto volontario.

 Moltissime di queste stesse donne sono state consolate ed assistite a vario livello da persone legate al mondo pro-life. Sappiamo che la sindrome post-abortiva esiste, ci si è presentata davanti agli occhi in carne ed ossa. Perché allora non è mai stato finanziato e supportato uno studio per verificare in modo certo queste dinamiche, perché non si è fatto alcunché di tangibile per affrancarsi da una produzione scientifica per larghissima parte posizionata su un’ostinata e preconcetta opposizione al diritto alla vita del concepito?

Perché non si conduce ad esempio uno studio che dimostri una realtà che ben tutti conosciamo: contrariamente a quanto attestato nel documento per abortire rilasciato dai medici, le donne che rinunciano all’aborto non hanno alcun serio pericolo per la loro salute psichica. Nessuna di loro è impazzita, nessuna di loro ha mai recato alcuna offesa alla propria creatura, nessuna di loro si è suicidata.

Dopo un tale studio, come si potrebbe negare il finanziamento ai centri di assistenza alla vita? Immagino che sarebbe alquanto imbarazzante per gli amministratori della mia regione, dove si erogano col finanziamento pubblico le visite omeopatiche, continuare a tenere fuori i volontari per la vita dai consultori e dagli ospedali dove si eseguono gli aborti.

Siamo in una guerra ed il nemico non è un fumo, non viene dall’iperspazio, è il consegnarsi al male, consapevolmente o meno, di molti uomini e donne. La malvagità pensa con un cervello umano, si diffonde con parole di uomini e di donne, fa proseliti attraverso il loro agire. Se siamo combattenti, se siamo in trincea, abbiamo un inalienabile diritto a pretendere che nessuno dei nostri generali faccia entrare il nemico nel nostro accampamento: i buoni pastori danno la vita per il proprio gregge, non fanno entrare i lupi nel recinto, nemmeno quando questi sono vestiti da agnello.

 Non ci è stato chiesto di essere sprovveduti, bensì candidi come colombe e prudenti come serpenti. Se saremo la milizia per la vita, allora dovremo ricordare che vi sono le specializzazioni. Non tutti devono fare tutto, ma tutti possono fare qualcosa e sforzarsi di farla bene. Parli chi ha la competenza per farlo. Così come l’abito non fa il monaco, la bontà d’animo non ti dà automaticamente la capacità di resistere all’argomentare di un barone della scienza o di un astuto conoscitore delle tecniche della comunicazione.

Si combatte quando si è pronti a farlo, dopo essersi addestrati a farlo, si deve essere consapevoli dei propri mezzi, dell’interlocutore che dovremo affrontare, dell’argomento che verrà trattato, del contesto in cui avverrà il confronto; si deve imparare a resistere alla propria vanità, talora solleticata dalla ribalta delle telecamere. Tutto questo costa fatica, lo so bene, ma quando saremo tentati dalla stanchezza, dallo sconforto perché quello che facciamo sembra non produrre il risultato atteso, in quei momenti dobbiamo ricordarci che la battaglia è già stata vinta da Qualcun altro per noi, da quel Qualcuno che ha preso su di Sé tutto il peccato del mondo per donarci la possibilità della vita eterna; dobbiamo ricordarci che non saremo giudicati sul successo immediato di quello che facciamo, ma dalla disponibilità a seguirLo.

Certo, per fede sappiamo che la battaglia è già stata vinta, ma questo non è certo un motivo che potrà giustificare il nostro disinteresse o la nostra defezione. C’è un passaggio in un romanzo di De Whole che mi ha aiutato a comprendere meglio questo aspetto. Al giovane don Juan d’Austria, comandante della flotta cristiana di Lepanto, che confidava nelle grandi strutture sociali della Chiesa del tempo, il padre Juan de Calahorra nel romanzo risponde: “Le porte dell’inferno non prevarranno, lo sappiamo. Ma ciascuno di noi deve vivere come se la promessa di Cristo dipendesse da lui e da lui solo”.

Una guerra ha ben poche possibilità di successo se non è adeguatamente finanziata, se non si ricevono le risorse minimali per combatterla. È bene tenere sempre a mente che il nemico ha mezzi incredibili assicurati dalle stesse strutture dello Stato finanziate con la fiscalità generale e dai potentati economici. Alcuni anni fa una singola cena di finanziamento che vedeva la presenza del vice-presidente americano Al Gore fruttò alla locale sezione della Planned Parenthood, la potente organizzazione abortista, ben 300.000 dollari, probabilmente più di quanto la maggior parte delle nostre realtà pro-life riceveranno nel corso di un intero secolo.

Questo è solo un motivo in più per usare il nostro ingegno per reperire ulteriori fondi ed usarli con oculatezza, per osare chiedere e scomodare, per fare comprendere che il volontariato è sì una bellissima cosa, il dare gratuitamente è testimonianza del cuore che si mette nelle cose, ma esso deve fornire linfa ad uno scheletro stabile, costituito da persone che con serenità possono dedicarsi a tempo pieno a difendere la vita in strutture pro-life capaci di lavorare ponendosi obiettivi, che redigono piani per raggiungerli e che rendono conto dei risultati.

Qui oggi noi abbiamo marciato, da qui, credo, debba partire l’impegno a costruire un collegamento tra tutte le tante, buone, generose realtà associative che difendono la vita.

 Oggi è il giorno di San Germano, se rimarremo fedeli alla retta intenzione, se saremo coraggiosi nella buona battaglia, se saremo umili di cuore, prudenti nelle scelte, disposti al sacrificio personale, se saremo davvero uniti allora quanti oggi non sono qui rimpiangeranno di non avere marciato con noi, perché oggi, il giorno di San Germano noi abbiamo fatto sentire alto e impavido il nostro grido ai nemici della vita: “voi non vincerete mai! Voi non avrete mai il nostro silenzio, fino all’ultimo, fino a che avremo una stilla di vita!”

 
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