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150 anni dell'Italia unita...dagli erotomani
Di Giuliano Guzzo - 24/01/2011 - Storia del Risorgimento - 1498 visite - 0 commenti

Nelle celebrazioni della ricorrenza unitaria, si sa, per la storia non c’è posto: per la retorica ufficiale e soporifera sì, ma per la memoria degli eventi e dei protagonisti no. Ed è un vero peccato, soprattutto alla luce del caso Ruby, lo scandalo di questi giorni e – Dio non voglia – anche dei prossimi mesi. Una rivisitazione storica anche sommaria, infatti, svelerebbe interessanti paralleli tra le ormai conclamate debolezze del Cavaliere per il gentil sesso e le imprese di Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Cavour, rispettivamente l’Eroe dei due Mondi e i primi Re e Premier dell’Italia Unita. E tutti e tre, per la cronaca, assatanati di sesso o sciupafemmine che dir si voglia. Cominciamo con Garibaldi, l’italiano più popolare del globo.

Tutti conoscono lo sbarco dei Mille a Marsala, antipasto di quelle battaglie che furono la rovina del Regno delle Due Sicilie. Ebbene, mille fu un numero caro a Garibaldi anche per un’altra ragione: il conteggio totale delle amanti. Non è uno scherzo: lo racconta Luca Goldoni in L' amante dei Due Mondi (Bur - Rizzoli), biografia erotico-sentimentale del Generale in camicia rossa dove si spiega come, oltre alle tre mogli e agli otto figli, costui fece strage continua di cuori. Anche di donne sposate s’intende: la contessa Maria Martini della Torre abbandonò il marito e gli si offrì come compagna «indivisibile nella gloria e nella sventura», mentre la moglie di Lord Byron, pure lei ipnotizzata dal fascino garibaldino, usò la propria influenza nei salotti londinesi per procurare all’amato finanze per la spedizione dei Mille. Oltre a loro, baronesse, contadine, scrittrici, lavandaie, nobili e popolane. l’Eroe dei due Mondi, insomma, vantava un palmarès di tutto rispetto; da pornodivo, diremmo oggi.

Ancora più incredibili, se possibile, furon le imprese di Vittorio Emanuele II, chiamato “padre della patria” non solo in quanto, come ricordavamo poc’anzi, primo sovrano dell’Italia unita, ma anche perché disseminò lo Stivale di figli legittimi e soprattutto illegittimi. Tanto per dare un’idea dell’uomo, possiamo ricordare quanto scrisse Carlo Dossi: «Il suo budget segnava nella rubrica donne circa un milione e mezzo all’anno. A volte di notte, svegliavasi di soprasalto, chiamava l’ajutante di servizio, gridando “una fumna, una fumna!”, e l’ajutante doveva girare i casini della città finché ne avesse una trovata, fresca abbastanza per essere presentata a S.M». Una volta convocate a corte, le fanciulle erano preda della passione del baffuto monarca, che «si divertiva a contemplarle, mentre gli ballavano intorno. Ma a un tratto lo piglia l’estro venereo e le sfondava tutte». E quando i fuochi d’artificio finivano, continua Dossi, «il suo dottore di corte aveva una gran da fare per riccomodare uteri spostati».

L’aria nobile e distinta con cui viene spesso ritratto non tragga in inganno: anche Camillo Benso di Cavour fu uno spietato dongiovanni. E, come ogni talento che si rispetti, cominciò la carriera presto, quand’era cadetto della Regia Accademia militare. Pare avesse un debole per le signore maritate, particolare che irritò non poco la madre Adele che arrivò più volte ad ammonirlo: «Camillo, vai sempre sulle terre degli altri! Smettila una volta per tutte!». Il primo grande amore del futuro Premier fu la marchesa Anna Schiaffino Giustiniani. Fu una storia tormentata dall’epilogo tragico, giacché, quando il conte di Cavour decise di lasciare nobildonna, questa, falliti i tentati di riavvicinamento all’amato, si suicidò. Tutto questo tuttavia non arrestò né la carriera politica, né, tantomeno, quella di donnaiolo di Camillo. E quando qualcuno gli chiedeva perché non si facesse una famiglia, furbescamente rispondeva: «Non posso farmi una famiglia perché devo fare prima l’Italia. E poi sposarmi significherebbe avere una costrizione».

La tirannia dello spazio ci impedisce, purtroppo, ulteriori divagazioni rosa sugli autori dell’Italia unita e sulle loro conquiste. Ma una cosa appare certa: fossero stati invitati ai festini di Arcore che tanto scandalo stanno procurando, tutti e tre avrebbero accettato volentieri. Eccome, se avrebbero accettato. E sarebbero certamente finiti - possiamo scommetterci – nel mirino del puritanesimo inquirente. Meno male che nel 1861 i magistrati s’occupavano d’altro , altrimenti avremmo avuto assai più indiziati e magari pure qualche condannato, ma forse non avremmo avuto l’Italia. Un Paese che, piaccia o meno, è stata unito da tre sciupafemmine incalliti. I quali, però, vengono celebrati  da intellettuali e rappresentanti delle istituzioni mentre altri, rei d'avere la loro stessa mania, passano per pervertiti. E la par condicio?

 
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