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Salvatemi dal Capodanno
Di Giuliano Guzzo - 16/12/2010 - Attualitą - 1433 visite - 0 commenti

In teoria dovrebbe essere una festa, in pratica è quasi una tortura. Come di consueto, ancor prima che arrivi il Natale, è difatti già partito il tormentone: cosa farai a Capodanno? Te lo chiedono gli amici, la fidanzata, i vicini di casa, i genitori, i colleghi di lavoro; anche gente che durante l’anno ti saluta a malapena, nel farti gli auguri natalizi, va subito al dunque con l’ossessivo quesito. Al punto che ti viene seriamente il dubbio che da ciò che uno fa a Capodanno, in qualche modo, dipenda pure la sua reputazione. Di solito, per salvare la faccia, tento di sviare il discorso spiegando che deciderò all’ultimo. Un penoso gioco di parole che però, vi assicuro, funziona. D’altro canto è prassi comune, quella di scegliere il più tardi possibile in quale festa infiltrarsi; se a quella caotica tutta chiasso e musica, oppure a quella domestica, ideale per quanti prediligono un cenone genuino e per coloro che anelano a nuovi amori.

Il punto è che a Capodanno non basta divertirsi, stare in compagnia e festeggiare, no: devi divertirti il più possibile. Di qui l’origine di quell’epifania dell’autodistruzione che per molti, da decenni, è la notte di San Silvestro. Si acquistano abiti griffati, fiumi di alcool e petardi a volontà. Come se quella notte non fosse l’ultima dell’anno, ma l’ultima della vita. Gli esiti di questo delirio collettivo sono noti: frastuoni apocalittici, overdose di massa, eventi bellici nelle piazze. Chi arriva all’alba del primo gennaio tutto intero è un uomo fortunato. Oppure un pirla, dipende dai punti di vista. Perché, dicevamo poc’anzi, la ritualità di Capodanno, per essere valida, deve essere consumata all’insegna degli eccessi. Se non sfiori il coma etilico e l’arresto per molestie, insomma, vuol dire che non ti sei divertito abbastanza.

Il paradosso finale è che da un lato, per onorare San Silvestro, occorre autodistruggersi, mentre, dall’altro, una volta che la vita torna alla normalità, c’è l’obbligo di riferire dettagliatamente ai conoscenti sopravvissuti come si è celebrato il festoso appuntamento. Obblighi contrapposti ai quali, pena l’emarginazione sociale, è difficile sottrarsi. E ovviamente, nella rievocazione dell’evento, vince chi la spara più grossa. La tortura, dunque, continua. Il solo modo per cavarsela, temo, è sperare che passi tutto in fretta. E cercare, radunando gli amici di sempre, di festeggiare in allegria, possibilmente lontano da tentazioni folli ma con la voglia di ripetere ancora una volta la serata. Perché, checché ne dicano gli inviti che vi stanno intasando la posta elettronica e il telefonino, il Capodanno più bello è sempre il prossimo

 
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