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La coscienza ferita
Di Marco Luscia - 12/03/2007 - Religione - 1097 visite - 0 commenti
L’intervento che Benedetto XVI ha tenuto ai partecipanti all’assemblea generale della Pontificia accademia della vita, ancora una volta rivela il ruolo profetico che questo Papa sta assolvendo rispetto ad un mondo sempre più smarrito e animato da spinte individualistiche, preoccupante indizio dell’avanzare di una cultura della morte. Il sommo Pontefice innanzitutto richiama il ruolo della coscienza cristiana e della necessità di rafforzare la sensibilità di quest’ultima nei confronti del diritto alla vita. Proprio per fare questo il Papa ha richiamato l’importanza di una coscienza ben formata, capace di orientarsi attraverso il lume della ragione naturale, nell’intricata trama dei problemi che le nuove mentalità emergenti ci pongono di fronte. Il quadro generale è ulteriormente aggravato in ragione degli sviluppi sempre più imprevedibili legati alle scoperte in campo biotecnologico e alla nuove tecniche di fecondazione assistita. Osserva il pontefice: “ la coscienza deve essere illuminata per distinguere il bene dal male, anche laddove l’ambiente sociale, il pluralismo culturale e gli interessi sovrapposti non aiutino a ciò.” Purtroppo però, davanti a tali sfide la coscienza dell’uomo comune, sia esso credente o meno, appare impreparata. Perciò il Papa richiama alla nostra memoria la definizione di coscienza così bene espressa al n.1778 del Catechismo della Chiesa Cattolica. Si tratta di una definizione fortemente laica, cioè condivisibile da tutti, eccola: “ La coscienza è un giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo, o ha compiuto. In tutto quello che dice e fa, l’uomo ha il dovere di seguire ciò che sa essere giusto e retto.” Osserva al riguardo il Papa: “ Da questa definizione emerge che la coscienza morale, per essere in grado di guidare rettamente la condotta umana, deve innanzitutto basarsi sul solido fondamento della verità…per riconoscere il vero valore delle azioni. La formazione di una coscienza vera, perché fondata sulla verità, e retta, perché determinata a seguirne i dettami, senza contraddizioni, senza tradimenti e senza compromessi, è oggi un’impresa difficile e delicata, ma imprescindibile.” La difficoltà di un’impresa di questo tipo risiede in primo luogo nel fatto che persino dentro la Chiesa molti pastori hanno rinunciato al faticoso percorso della ricerca del vero, piegandosi alle seduzioni del pensiero dominante. Un pensiero che è tutt’altro che razionalmente fondato. Anzi, l’uomo contemporaneo sembra sempre più essersi allontanato dal gusto della riflessione, e questo perché, in fondo, per molti la verità non esiste, esistono soltanto diverse opzioni culturali più o meno legittime. Nel libro di C.S.Lewis, Le lettere di Berlicche, un apprendista diavolo si dice preoccupato che persone troppo intelligenti leggano gli antichi libri dei sapienti, in tal modo avvicinandosi alla verità. Alla paura del giovane demone, Berlicche, diavolo di rango superiore gli risponde osservando come gli uomini siano interessati solo alla storia e non alla verità. La stessa osservazione è svolta nel romanzo di Umberto Eco, Il nome della Rosa, in cui leggiamo: “ L’unica verità significa liberarsi dalla morbosa passione per la verità.” Ma dove la ricerca del vero venisse meno, sul piano sociale, sul piano dei costumi e dei comportamenti vedremo via via emergere ed affermarsi abitudini che scaturiscono essenzialmente da due principi: il principio di maggioranza e il principio della forza. Entrambi trarranno la propria forza dalla capacità di persuadere, di sedurre, di orientare l’opinione pubblica. Quando era ancora cardinale Joseph Ratzinger scrisse nel bel volume, Fede Verità, Tolleranza: “ Se l’uomo è escluso dalla verità, allora orami è solo il casuale, l’arbitrario, a dominare su di lui. Perciò non è fondamentalistico, ma un dovere dell’Humanitas difendere l’uomo dall’accidentale o casuale fattosi assoluto e restituirgli la sua dignità, che consiste proprio nell’impossibilità in ultima analisi, da parte di qualsiasi istanza umana, di dominare su di lui, poiché egli è aperto alla verità stessa.” L’uomo dunque è costitutivamente un essere aperto alla verità. Proprio per questo diviene essenziale rieducare la coscienza. Il Papa nel sottolineare questa opera svolge pure un’importante osservazione metodologica: “(...)non ci si può accontentare di un fugace contatto con le principali verità di fede nell’infanzia, ma occorre un cammino che accompagni le varie tappe della vita, dischiudendo la mente e il cuore… in mancanza di una formazione continua e qualificata diventa ancor più problematica la capacità di giudizio nei problemi posti dalla biomedicina in materia di sessualità, vita nascente(…)” Quello che Benedetto XVI ritiene fondamentale è un impegno costante di tutti, laici e presbiteri al fine di compiere un’opera di approfondimento, con il supporto di filosofi, scienziati, teologi e specialisti, che consenta alla comunità cristiana di crescere nella consapevolezza del vero. E tutto ciò sarà bene avvenga con il supporto delle parrocchie e a sostegno delle famiglie e delle nuove generazioni. Quello che la cultura dominante sembra volere affermare è in sostanza questo: non esiste alcuna verità, perciò il soggetto plasmerà la propria esistenza muovendo da criteri puramente soggettivi, tanto più validi, quanto più saranno immuni da ogni condizionamento del passato e della tradizione. In tutto ciò il criterio della ragione che cerca la verità viene depotenziato rivelando un sostanziale pessimismo nei confronti della capacità umana di orientarsi secondo categorie quali i concetti di bene e di male. Osserva ancora argutamente il Papa: “ Così la coscienza, che è atto della ragione mirante alla verità delle cose, cessa di essere luce e diventa un semplice sfondo su cui la società dei media getta le immagini e gli impulsi più contraddittori(…) occorre rieducare al desiderio della verità autentica, alla difesa della propria libertà di scelta. “ La libertà di scelta, ecco il problema. Nella prospettiva cristiana essere liberi significa corrispondere alla propria natura più profonda, non affermare in astratto la propria autonomia svincolandola dal reale. Un certo pensiero liberale, invece, vede nell’io un valore assoluto, tanto da affermare che la libertà di ciascuno finisce dove comincia la libertà dell’altro; ma in questo modo l’altro non è più vissuto come un fratello, bensì come un limite, perciò sarò portato ad erodere quanto più possibile i diritti dell’altro, magari appellandomi alla legge. L’altro non mi apparirà più nella sua concretezza personale ma attraverso la convenzione del diritto. Non accade forse questo con l’aborto, o con l’affermazione del diritto ad un figlio a qualsiasi costo? Ancora il Papa sempre relativamente alla distorta idea di libertà propria del liberalismo osserva nel libro La Chiesa: “la coscienza -nell’idea liberale- ( il corsivo è mio) non apre la strada al cammino liberante della verità, la quale o non esiste affatto o è troppo esigente per noi. La coscienza è l’istanza che ci dispensa dalla verità, essa si trasforma nella giustificazione della soggettività.” E ancora : “ L’essere convinto delle proprie opinioni così come l’adattarsi a quelle degli altri, sono sufficienti. L’uomo è ridotto alle sue convinzioni superficiali”. Riemerge in questo testo del 1991 l’idea che l’abbandono della ricerca del vero e la riduzione della coscienza al puro sentire, privino in definitiva l’uomo della libertà di autodeterminarsi liberamente. L’uomo contemporaneo è via via stato privato delle proprie radici, della propria storia, della propria verità tradizionale dal progressivo avanzare della società secolarizzata e materialista; un “buon” contributo in tal senso è venuto dalla tradizione giacobina, quindi dal marxismo per poi sfociare nell’opprimente ideologia occidentale sostanzialmente fondata sul denaro. Tutto questo ha operato lo sradicamento e la riduzione della coscienza personale ad uno sfondo sul quale si imprimo le ombre di chi detiene il potere reale di condizionamento. L’uomo senza radici ha visto crollare ogni certezza, ha visto demolire tutti quegli ordini, quelle usanze, quelle sapienti tradizioni, quei legami comunitari che lo proteggevano e lo rendevano capace di opporre un’idea, una concezione del mondo all’invadenza delle ideologie. Il contadino della Vandea o l’insorgente altoatesino, non conoscevano Diderot e Voltaire, nulla sapevano di principi astratti, eppure avevano una precisa idea di verità e di mondo. Perciò avvertirono immediatamente la forza dirompente e anticattolica dei principi rivoluzionari. Oggi, L’italiano medio viene invece costantemente manipolato ed è ormai incapace di riconoscersi come parte di un tutto; ogni autorità è stata offesa, la coscienza è stata manipolata, egli è stato ridotto allo stato di inerte consumatore, egli fatica a riconoscere persino l’ovvietà del valore del matrimonio, della fedeltà, dei figli, della parola data, del diritto ad un padre ed una madre. Egli non pensa più se non in termini di utile, perché ha perso ogni radice che lo connetteva alla natura e pertanto alla realtà. Simon Weil scriveva: “ Il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana(…)mediante la sua partecipazione reale, attiva e naturale all’esistenza di una comunità, che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro, l’essere umano ha una radice. Ad ogni essere umano appartengono radici multiple . Ha bisogno di ricevere quasi tutta la sua vita morale, intellettuale, spirituale tramite gli ambienti cui appartiene naturalmente.” Ma, sono proprio questi ambienti, le comunità di vita, le più prossime aggregazioni sociali, a non esistere più o ad essere in forte crisi. E questo perché l’individuo le rifiuta in nome della propria autonomia. Così, attraverso la perdita delle proprie radici, l’uomo stesso si offusca, scompare, perde d’importanza in quanto essere irripetibile, solidale, legato ad un destino comune con i propri fratelli. Ancora Simon Weil: “Il potere del denaro e la dominazione economica possono imporre un’influenza straniere al punto da provocare la malattia dello sradicamento.” E’ a questo che si oppone la Chiesa, attraverso la voce del suo sommo Pontefice e per questo dovremmo esserle tutti grati. Ma facciamo un esempio, per concludere le nostre riflessioni. Partiamo da una verità che la ragione, se ben usata, rivela a tutti : la naturalità del matrimonio. Con l’unione matrimoniale l’essere umano ha voluto formalizzare un dato meraviglioso, l’incontro fra un uomo e una donna che si innamorano. Storicamente il matrimonio ha protetto gli amanti dalla loro stessa fragilità, spingendoli verso un impegno dotato del carattere della definitività. Solo in tal modo l’innamoramento, che accade con la naturalezza di un fenomeno della natura, ha potuto trasformarsi in amore e costituire il nido per la crescita dei figli. Tutto questo è accaduto lungo il corso di centinaia d’anni con l’apporto determinante della teologia cattolica che ha contribuito a rafforzare un’idea d’amore che non vedesse la donna perennemente in una condizione subordinata e perciò esposta alle bizze del maschio. Innamorasi è facile, amare è difficile, ma il buon uso della ragione che riconosce la naturalità dell’unione uomo-donna scopre con il tempo verità sempre più significative. L’agire umano in tal senso, anche in questo ambito, opera per introdurre ordine, disciplina e regole dentro un’armonia naturale che altrimenti risponderebbe solamente ad una logica deterministica, ovvero priva di libertà. La ragione umana, supportata dalla grazia -per chi crede- ha dunque strutturato il mondo, scoprendo via via molte verità essenziali. Oggi sta accadendo un fenomeno di segno contrario, assistiamo cioè alla destrutturazione, alla “liberazione” dell’individuo da ogni valore e vincolo. L’uomo contemporaneo dotato di un potere tecnologico smisurato, sta tornando, sul piano morale, ad essere un primitivo. Si esaltano gli eccessi, le droghe, una sessualità depravata e senza alcun legame con l’affettività e la moralità. Si esalta l’apparenza, il momento, gettando discredito verso la storia, la pacata riflessione. Nel contempo la natura umana e non, viene interpretata come un laboratorio sul quale compiere esperimenti, basti pensare agli scenari aperti dalla fecondazione artificiale e dalla manipolazione genetica. Così, il diritto naturale, che aveva rivelato all’uomo la forza e l’importanza dell’unione matrimoniale, viene negato. E la famiglia è abbassata al rango di un’unione possibile, ma non necessaria, senza alcun titolo che la qualifichi quale realtà da privilegiare e proteggere. Chi deve essere protetto-secondo tale prospettiva- è l’individuo, il suo diritto, contro tutto ciò che lo trascenda e lo impegni. Così la realtà naturale è negata e l’amore abbandonato a se stesso, ai propri limiti, alla propria precarietà, si perde. E il dettame della retta ragione che il Papa voleva, senza compromessi, senza contraddizioni, senza tradimenti, si sfalda. Il giovane, non riconosce più attorno a sè il faticoso cammino degli uomini per i quali la famiglia è sacra perché vera e vera perché bella, ma vede soltanto rovine, passioni, cedimenti. Così le ultime balzane idee, che trasformano un fenomeno marginale -quale le unioni di fatto- in un manifesto teso ad affermare “l’amore liquido”, appaiono agli sprovveduti italiani come una conquista di civiltà. Ma essi non sanno e non vedono, perché la forza della coscienza educata è stata scalfita; piuttosto essi gioiscono proclamando i Dico un passo verso l’equiparazione dei diritti. Ma la civiltà esiste soltanto dove esista una patria, una tradizione, un popolo, un sentire comune, una fede comune. Altrimenti, resta la massa amorfa, formata da individui che neanche più si riconoscono, bambini capricciosi - vuoi abulici vuoi super attivi- ma comunque e sempre soli.
 
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