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"Departures". L'opera d'arte della vita e della morte
Di Chiara Vadagnini - 17/10/2010 - Cinema - 1396 visite - 0 commenti


In che cosa consiste la realizzazione personale? Che cosa vuole dire avere successo nella vita? A queste domande ciascuno tende a fornire una risposta diversa e unica, legata ovviamente alle proprie vicende personali.
Eppure non è certo peregrino affermare che nell’immaginario comune la realizzazione personale raramente viene considerata possibile in tutte le condizioni di vita. Non si parla qui di situazioni di estremo disagio sociale, personale e psicologico, che evidentemente gridano vendetta al cielo, reclamano giustizia sulla terra e per affrontare le quali ci vuole ben altro che la buona volontà. Si parla invece di ambiti dell’agire umano che pur appartenendo alla sfera della vita per così dire normale, vengono censurati, evitati, considerati inadatti al successo, che si colloca invece lontano, in una sfera più alta, spesso irraggiungibile, ma sempre desiderata.

Sembra rispondere a questi interrogativi il film Departures (di Yojiro Takita, Giappone 2008, Italia 2010, Oscar come miglior film straniero), che tratta apparentemente tutt’altro tema.
Il protagonista è un giovane musicista, Daigo, che suona il violoncello con grande passione. La sua orchestra, però, chiude per problemi economici e Daigo, che non è abbastanza bravo per farsi assumere da un’altra orchestra, rimane senza lavoro. Decide così insieme alla moglie, di ritornare al paese tra le montagne della sua infanzia, dove la vita costa meno e di andare ad abitare nella vecchia casa dei suoi genitori. Qui cerca subito lavoro, rispondendo ad un annuncio piuttosto vago, che allude a dei viaggi, a delle partenze (departures). L’alone di mistero gli viene però ben presto svelato: il viaggio è quello della morte ed il lavoro consiste nel preparare di fronte ai parenti i cadaveri dei defunti per il loro funerale (in giapponese nokanshi). Questo l’antefatto.

Il film, che ha momenti commoventi ma che non di rado fa anche sorridere, è il racconto delicatissimo e finissimo del percorso che porterà Daigo non solo ad accettare, ma anche ad amare questo lavoro con una passione molto più intensa di quella che lo legava alla musica. E in questo percorso verranno ricomposti tutti i tasselli disordinati della sua infanzia segnata da alcuni avvenimenti dolorosi, ma anche quelli della sua vita coniugale.

Nel racconto viene descritto con profondità il contrasto naturale tra la vita e la morte. Tutto nell’uomo anela a vivere, tanto che nessuno vuole sentire parlare di morte. E tutto il paese disprezza chi svolge un lavoro nel quale si è costretti a toccare dei cadaveri.

Anche Daigo si sente male in occasione del suo primo incarico e ha bisogno di riaffermare di essere vivo, una volta tornato a casa. Questo grido di rifiuto della morte si esprime attraverso una cura particolare che il protagonista comincia a rivolgere al proprio corpo. Si reca periodicamente ai bagni pubblici che frequentava da bambino e resta immerso a lungo nell’acqua calda. Il bagno diventa un luogo di recupero della sua fisicità, ma anche di contemplazione della bellezza. Anche in quell’angolo sperduto di paese tra le montagne, c’è infatti un artista.
La vecchina che gestisce i bagni, una figura materna e struggente, ha trascorso l’intera vita a svolgere umilmente, ma con passione il lavoro faticosissimo di trasportare la legna che serve a scaldare l’acqua, facendone un’arte. (“L’acqua viene dal sottosuolo ed è scaldata dal fuoco di legna. Per questo è così vellutata. E anche se è caldissima non punzecchia la pelle”)

Daigo recupera una fisicità nuova anche nell’abbracciare la moglie, il cui corpo morbido e profumato lo tiene saldamente ancorato alla vita. Si tratta però di un rapporto complesso, che è segnato inizialmente dalla mancanza di sincerità da parte di entrambi. Avrà bisogno di tempo e di dialogo per essere restituito alla sua verità.

Per sentirsi vivo, Daigo ha bisogno però anche di suonare: di notte, con il vecchio violoncello di quand’era bambino, ricordando così all’improvviso i suoi genitori e alcuni avvenimenti dolorosi della sua infanzia, che aveva sempre evitato di affrontare; in pieno giorno, all’aperto, nel verde delle montagne. La musica piano piano cessa così di essere uno strumento di affermazione della propria bravura e diventa invece occasione di dialogo con se stesso e di scavo nella memoria.

Infine, in questo cammino di riflessione sulla vita e sulla morte, che è costretto a percorrere il protagonista, e con lui lo spettatore, occupa sicuramente un posto di rilievo il suo datore di lavoro, padrone della ditta e figura paterna e accogliente.
Il suo carattere viene svelato lentamente, attraverso il lavoro che svolge e i brevi dialoghi con Daigo.
Nonostante abbia a che fare quotidianamente con i cadaveri, l’uomo sembra quieto e realizzato, sereno e dolce nei rapporti con le persone. Non è secondario neppure il fatto che ami il buon cibo, che sia in grado di mangiare avidamente subito dopo aver preparato un defunto. Il segreto si scopre strada facendo. E consiste nella sua capacità di accettare la morte come parte dolorosissima, ma naturale dell’esistenza. Solo così egli può stare quietamente di fronte al dolore delle famiglie che lo chiamano a prendersi cura dei loro cari, può incontrarle con un’umanità dalla quale tutti rimangono incantati. E soltanto così può fare anche lui del proprio lavoro un’opera d’arte. Si definisce infatti “thanatoesteta”, cioè una persona che restituisce bellezza ai morti.

Di fronte a lui Daigo, che per tutta la vita ha rincorso la propria realizzazione come artista, il proprio successo professionale in un’attività solitamente oggetto di ammirazione sociale, si accorge di essere nato per qualcos’altro. Capisce che l’arte non ha a che fare soltanto con la bellezza, ma con l’amore. E per questo può nascondersi anche nella persona più umile, nel luogo più remoto della terra. Dove i ritmi lenti, la memoria del passato, la natura estrema e bellissima della montagna dicono che vale la pena di vivere e di morire.

“Dare ad un corpo divenuto freddo una bellezza che durerà per sempre, con calma, con precisione, ma soprattutto con tanta amorevolezza, pur nella tristezza dell’ultimo addio; quanto viene eseguito per preparare il defunto, immersi nel silenzio pieno di pace, mi appare meraviglioso.”
 
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