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I "Profeti cattolici "e i di.co
Di Marco Luscia - 27/02/2007 - Attualità - 1977 visite - 0 commenti
La posizione assunta rispetto alla vicenda dei Dico da alcuni sacerdoti trentini rivela una volta di più l’anomalia della nostra regione per quanto riguarda i pronunciamenti della Chiesa italiana. Si tratta di un filone di pensiero che per comodità espositiva chiamerò “progressista”, esso appare animato, nelle proprie prese di posizione su molteplici temi, non tanto da argomenti desunti dal magistero e dalla ragione, quanto da una pervicace e rovinosa voglia di distinguersi, di mostrarsi al passo con i tempi, di paventare presunte ingerenze ecclesiastiche “nell’armonioso svolgersi della vita sociale”. Non vedono, gli esponenti di questa posizione, dove sta andando la famiglia? Perché hanno rinunciato ad affermare le ragioni del diritto naturale? Ragioni, che tra l’altro, potrebbero rappresentare una base comune per credenti e non. Essi -mi sembra di udire le loro voci- diranno che la famiglia è già in crisi e che in Italia esistono moltissime famiglie di fatto che attendono il riconoscimento di molti diritti. Ma dimenticano, questi signori, che tante di queste unioni sono rappresentate da persone in attesa di matrimonio, da separati in attesa di divorzio, da persone che vogliono vivere liberamente il loro rapporto senza alcuna ingerenza legale. Quanti sono coloro che realmente rivendicano dei diritti perché non vogliono saperne di sposarsi? Supponiamo siano molti, ma mi chiedo: era necessario promuovere attraverso una legge una forma instabile di unione per soddisfare tali presunti diritti? Perché non si sono sanate le situazioni pregresse, estendendo i diritti a chi realmente li avesse rivendicati, per poi riaffermare, d’ora innanzi, l’opzione privilegiata da parte della legge, nei confronti della famiglia fondata sul matrimonio? In tal modo sarebbero stati garantiti i diritti, ma nel contempo sarebbe stato dato un chiaro segnale al corpo sociale. La gran parte dei giovani interrogati sul loro futuro sognano il matrimonio, così attestano molte inchieste al riguardo. Il modello matrimoniale va difeso non per ragioni confessionali, bensì per motivi squisitamente laici. I dati mostrano come gli uomini che convivono siano quattro volte più infedeli dei mariti, mentre le donne conviventi tradiscono otto volte più delle mogli ( Gallager-Waite,2000). Inoltre una ricerca operata dalla Rutgers Universiy (Usa) ha dimostrato che su quattro bambini nati da coppie di fatto, tre soffrono per la rottura dell’unione dei loro genitori prima del sedicesimo anno di età. E ancora, il tasso di violenza domestica è molto più alto nelle coppie di fatto che tra quelle coniugate (Samek Lodovici). Queste cose, i sensibili sacerdoti trentini, le sanno? Abbiamo letto, tra le altre amenità, che Dio non avrebbe previsto il matrimonio bensì l’unione amorosa fra uomo e donna. Un’ osservazione di questo tipo non meriterebbe risposta tanto è banale, ma una cosa la vorrei osservare comunque: San Tommaso insegna come tra le inclinazioni naturali, cioè tra le tendenze innate ad ogni soggetto, vi sia quella alla conservazione della specie. Ora, la coppia eterosessuale, costituisce il nucleo primario entro in quale tale tendenza trova il proprio idoneo habitat. Conservare la specie significa non soltanto riprodursi ma anche curare, educare, formare, imprimere una mentalità carica di speranza ed aperta alla vita attraverso la testimonianza di un amore capace di rinuncia. E’ in questo ambito che la persona cresce nelle migliori condizioni e sviluppa le migliori potenzialità. Storicamente tale ambito è andato via via strutturandosi nella forma del diritto matrimoniale. In tal modo, la fragilità dell’amore ha trovato il soccorso della legge, laddove per debolezza umana il rapporto conosceva un momento di crisi, la legge e con essa la società, supportavano, aiutavano il cammino dell’amore. L’amore di per sé non abbisogna di nulla, ma quando mai noi siamo in grado di viverlo integralmente? Con il divorzio la forza del vincolo che tutelava, non tanto la felicità del singolo quanto il valore della coppia, conobbe un primo duro colpo, cui fece seguito la progressiva separazione della sessualità dall’amore attraverso la diffusione della contraccezione. Il principio individualistico ed il diritto alla felicità andavano affermandosi. La forza e l’importanza di un vincolo socialmente riconosciuto,questo e non altro è il matrimonio laicamente inteso. Nessuno dubita che l’amore possa esistere anche al di fuori di esso, ma non è questo il problema. Allo stato non interessa che due persone si amino; esso è interessato al fatto che costituiscano un’unione stabile capace di rendere coesa e aperta al futuro la società. La coppia in tal senso è il nucleo stabile dal quale si dipartono dei centri concentrici di comunità sempre più estese. In questo modo viene declinandosi il tanto decantato, da sinistra a destra, principio di sussidiarietà. Ma torniamo al problema sollevato dai sostenitori dei Dico. Esistevano ed esistono molteplici strumenti capaci di garantire i diritti soggettivi-penso al patto notarile-. Perché non si è percorsa questa strada? Mi pare evidente che le ragioni siano puramente ideologiche. E’ triste constatare come parte dei politici cattolici pur di garantirsi ibride e innaturali alleanze di governo si arrampichino sugli specchi per difendere l’indifendibile. E’ triste constatare come alcuni preti, animati dalla presunzione di essere dei profeti, in realtà finiscano con l’avvallare una concezione della vita e dei rapporti fortemente individualistica, tutto fuorché solidale. In essi non vedo la forza della profezia; il profeta infatti non cavalca mai l’opinione dominante. Sparare sulla Chiesa e il suo magistero non esprime alcun coraggio, piuttosto rivela un conformismo nostalgico di un presunto “spirito conciliare”, che esiste soltanto nella testa di questi “pseudo profeti”. Forse, in questo momento di confusione, la Chiesa trentina avrebbe bisogno di un chiaro pronunciamento del suo Vescovo. Si vuole approvare una legge che introduca una forma alternativa di unione, questa è la realtà! Una unione dove i doveri saranno certamente meno dei diritti, un vincolo intrinsecamente instabile perché facilmente scioglibile. Come insegna argutamente Bauman, il nostro è il mondo del disimpegno, dei legami instabili, un mondo precario, attento alla dimensione dell’individuo ma non delle comunità. E’ l’ultimo stadio della società dei consumi, la quale abbisogna di singoli, non di famiglie, di persone sole e infelici per poter espandere sempre più il mercato. A questo livello, gli epigoni della defunta cultura marxista si fanno vessilliferi della società dei piaceri e del consumo, trasformandosi in un grande partito radicale di massa. Ma l’uomo vive soltanto della relazione, della forza della rinuncia, della dimensione comunitaria, quella dimensione che i Dico, se approvati, contribuiranno a demolire. E’ evidente che un ragazzo in attesa di matrimonio, un ragazzo che conviva, posto di fronte alla possibilità di un unione meno responsabilizzante, più aperta ad un ipotetico scioglimento, privilegerà la strada più comoda, preferendola al tradizionale impegno del matrimonio. Non centra essere cristiani, non serve appellarsi ad alcun Dio per riconoscere il valore sociale della famiglia, il valore vitale di cui essa è portatrice. Nessuno vuol giudicare chi sceglie di convivere; si tratta di persone probabilmente migliori del sottoscritto, potranno essere delle ottime persone, ma non è questo il problema. Il compito dell’ente pubblico dovrebbe essere quello di privilegiare con chiarezza la forma di unione che meglio di ogni altra tutelì il corpo sociale dal pericolo del dissolvimento. E questa forma è indubitabilmente il matrimonio.
 
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