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Storia di una vocazione
Di Giulia Tanel - 18/08/2010 - Religione - 1271 visite - 0 commenti
Alessandro (il nome è di fantasia) è un ragazzo trentino, classe 1990. Dopo quest’anno da matricola alla Facoltà di Giurisprudenza di Trento, ha capito che il diritto non è la sua strada, o per lo meno che non è questa la cosa che riesce a realizzarlo totalmente come persona.
A settembre Alessandro entrerà nel seminario di Trento. Quando lo dice gli si illuminano gli occhi e nella voce si avverte un misto di ansia e desiderio…
Riportiamo qui sotto una breve intervista che gli abbiamo fatto.

Alessandro, quando ti sei reso conto di avere la vocazione sacerdotale?

Ho cominciato ad intuirlo già quando ero bambino. Fin da piccolo ho desiderato fare il chierichetto e stare vicino al Sacramento che si compie sull’altare; sono sempre stato attratto dal Mistero che si compie durante la Messa.
Però vivevo nel dubbio: mi bastava osservare quest’Offerta andando a Messa, o intimamente desideravo essere ancora più vicino a questo avvenimento? Per fortuna il mio parroco ha intuito questa domanda che avevo e mi ha consigliato di seguire i “Gruppi vocazionali” al seminario di Trento, cosa che ho fatto per tutto il periodo delle medie e delle superiori.
Grazie a questi corsi ho imparato il significatodel termine “vocazione” e ho capito che, indipendentemente dalla propria volontà, c’è un percorso già segnato da Gesù e dalla Madonna per ognuno di noi.
Di certo mi ha aiutato molto a maturare la mia certezza di fede anche la perdita di mio fratello, che è morto quando io avevo sette anni. La reazione di mia madre che, in quell’immenso dolore, si è abbandonata alla fede, è stata per me un esempio fondamentale di come vivere nella quotidianità.

Quindi sono cresciuto con la convinzione che c’è una vocazione per tutti: si trattava solo di capire qual era quella per me.
Questa è la ricerca che ho cercato di fare durante il periodo delle superiori. Il fatto di avere frequentato il Liceo Classico mi ha aiutato in questo percorso, perché mi ha permesso di approfondire il tema della Provvidenza nella storia; ho fatto perfino la tesina finale per la maturità su questo tema: ““Virtus, τύχη, o πρόνοια” (“Uomo, Caso, o Provvidenza?").
Sempre con questa domanda, nell’agosto seguente alla maturità, sono andato in pellegrinaggio a Czestochowa [si tratta di un pellegrinaggio di 160 km, da Cracovia a Czestochowa, organizzato annualmente da Comunione e Liberazione e rivolto ai ragazzi che si sono appena maturati o laureati, come gesto di ringraziamento e come forma di domanda per capire cosa fare nel proprio futuro, ndr]: dalla Madonna Nera ho finalmente avuto chiara la risposta alla domanda che mi portavo dentro da anni: “Qual è la strada per me?”. Ovviamente, io un’intuizione l’avevo già, ma avevo assoluto bisogno di alcuni segnali di conferma. Durante il pellegrinaggio ho avuto di più: è stata come un’illuminazione; e tornato ero convinto della mia vocazione sacerdotale.
A questo punto si è presentato però il problema di accettare questa grande responsabilità. Ho deciso di prendermi un anno di verifica, iscrivendomi a Giurisprudenza. Durante quest’anno la riprova c’è stata in tutti i sensi: ho anche avuto la fidanzata… questo fatto è stato fondamentale perché mi ha permesso di capire che l’Amore che io cercavo era qualcosa di ancora più grande rispetto a quello che poteva esserci tra me e la mia ragazza.

Quanto coraggio è necessario per operare una scelta che modifica così radicalmente la vita?

Da un lato ne serve tantissimo ma, guardando la cosa da un diversa prospettiva, non si tratta di coraggio. Quando una persona arriva a capire che c’è già un percorso tracciato per lei, ed è conscia di ciò che lascia e verso che direzione si muove, si sente sollevata. Io, personalmente, mi sono sentito abbracciato dalla Madonna....
Di certo, accogliendo questa chiamata che il Signore mi ha fatto, la mia vita è mutata radicalmente. Però non ho paura: sono serenissimo e contento.

Sicuramente per accettare una cosa così grande com’è la vocazione sacerdotale è necessaria una piena lealtà verso il proprio cuore. Però, una volta che si capisce che si sta accettando di dire di sì alla cosa più bella che possa capitare, umanamente non si può dire di no.
In più, il cammino si prospetta in un certo qual modo già segnato, quindi quasi più facile rispetto a quello di altre persone…
Il coraggio è necessario, pertanto, solo nella fase iniziale, nell’accettare di rimettersi a Dio. Noi tutti dobbiamo affidarci ad un Altro.

Come hanno reagito la tua famiglia e i tuoi amici alla tua decisione di entrare in seminario?

La mia famiglia si è divisa nella reazione. I miei genitori hanno accettato la mia scelta con una naturalezza che mi ha quasi sorpreso; soprattutto mia mamma penso che sapesse già che era questa la mia strada. Comunque entrambi i miei genitori hanno vissuto questo fatto come una Grazia. Inoltre, mi reputo molto fortunato perché è dal Liceo che la mia famiglia non si oppone od ostacola le mie scelte.
Mia sorella, mio fratello e i miei cognati hanno invece reagito pensando: “Che peccato!”. Loro, purtroppo, non hanno il dono della fede e vivono l’andare a Messa a Natale più come una tradizione consolidata, che come un atto veramente partecipato. In più, la differenza di età (circa vent’anni) che intercorre tra me e loro contribuisce al fatto che vivono questa mia scelta con molto distacco.

Per quanto riguarda gli amici, non l’ho ancora detto a tutti.
Le persone che per ora lo sanno condividono con me l’esperienza nel Movimento di Comunione e Liberazione, o comunque sono ragazzi di chiesa: sono stati tutti felicissimi della mia scelta...
Quando lo verranno a sapere anche gli altri amici non credenti, presumo che reagiranno come i miei fratelli: in un certo senso saranno dispiaciuti, perché ai loro occhi è come se buttassi via la mia vita. Mi vengono in mente le parole di S. Paolo, quando dice che il cristianesimo è scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani…

Ci potresti descrivere molto sinteticamente quali sono le “procedure” da svolgere per essere ammessi in seminario?

Io avevo già conosciuto l’ambiente del seminario per via della mia partecipazione ai “Gruppi vocazionali”, quindi per me l’iter è stato leggermente più facile.
Le figure che hanno un ruolo basilare nell’approvazione dell’ingresso di un ragazzo in seminario sono due: il Rettore del suddetto, che verifica la vocazione, e il Vescovo della diocesi, il quale - da buon pastore - deve ratificare l’ingresso. Entrambi operano per verificare che la scelta non si stata presa con leggerezza, ma che sia frutto di una seria meditazione.
E’ molto importante instaurare un rapporto umano con il Rettore del seminario e dimostrargli la validità della propria decisione di cominciare il cammino che ti porterà ad essere totalmente di Cristo: infatti è lui che, attraverso il dialogo, verifica nel concreto se hai la vocazione. Poi, assieme al Rettore, si manda una lettera al Vescovo in cui si chiede di essere ammessi, specificando nuovamente i motivi della propria scelta.
Inoltre, non è che una volta entrati non ci siano più dei “controlli”: ogni anno si viene sottoposti ad una valutazione per passare all’anno successivo.

Il 19 settembre comincerai il tuo primo anno: sette anni sono lunghi…

Sì sono lunghi… però non vedo l’ora di arrivare in fondo per potermi sporcare le mani nelle realtà delle parrocchie, dove c’è una grande crisi.
Sono certo che il periodo in seminario sarà per me una grande ricchezza. Questi anni sono necessari per approfondire lo studio della Bibbia, per conoscere meglio Cristo e per rinfrancare la propria fede.
Di certo vedere già la meta a cui si tende dà una grande forza…

Come ti sembra essere la situazione nel Seminario di Trento? Quanti seminaristi ci sono attualmente?

Attualmente ci sono dodici seminaristi. A settembre entreremo sicuramente in quattro, ma forse saremo anche in sei o sette.
Per quanto riguarda il clima all’interno del seminario, tutto quello che so sono delle voci che mi sono giunte: solo a settembre potrò verificare di persona com’è realmente la situazione.
Secondo me è molto importante avere presente come la vita in comunità faccia sì che venga fuori tutto l’umano che c’è in noi: i nostri pregi, ma anche i nostri limiti e difetti. In questo contesto, se una persona non ha chiaro perché è lì, qual è la meta a cui tende, e che nelle altre persone c’è Cristo, rischia di fermarsi di fronte ai difetti altrui. Per quello che so, a Trento ci sono alcuni seminaristi che in alcuni momenti hanno sofferto questa convivenza “forzata”, però il bilancio finale che mi è stato fatto è positivo: il clima è proficuo e le difficoltà riscontrate sono di certo eliminabili con un pizzico di pazienza, umiltà e diplomazia… e soprattutto grazie alla preghiera.

Grazie mille e in bocca al lupo per il tuo cammino.
 
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