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La Sindone, Odifreddi, l’UAAR e le bufale
Di Enzo Pennetta - 25/05/2010 - Cultura e religione - 2288 visite - 0 commenti


“L’INGANNO DELLA SINDONE
” è il titolo del numero 4/2010 della rivista Micro Mega. Per l’occasione la nota pubblicazione ha messo generosamente in campo alcune delle sue firme migliori, prima fra tutte quella del matematico Piergiorgio Odifreddi.

Ed è proprio del prof. Odifreddi il primo intervento su “l’inganno della Sindone”. Quello che maggiormente colpisce nell’intervento di Odifreddi è il passaggio in cui il matematico porta a sostegno della tesi della falsità del reperto il parere negativo espresso nel 1389 dal vescovo di Troyes.

Scopriamo in questo modo che, quando torna utile, anche il parere degli ecclesiastici, e per giunta medievali, può essere attendibile. Successivamente il prof. Odifreddi contesta ai “fedeli” di essere incoerenti nel rifiutare la datazione della Sindone ottenuta col metodo del radiocarbonio e di accettare invece l’autenticità delle reliquie di san Paolo dedotta in seguito ad una datazione eseguita con lo stesso metodo.

Questo fatto viene denunciato dall’autore come contraddittorio con le seguenti parole: “da quella datazione di duemila anni fa Benedetto XVI ha immediatamente e solennemente dedotto l’autenticità delle reliquie dell’Apostolo delle Genti, compiendo un errore logico sorprendente per un papa che si suppone «filosofo»!”

Ma applicando la stessa logica alle considerazioni del prof. Odifreddi otteniamo un risultato interessante: “da quella affermazione di 621 anni fa, il prof. Odifreddi ha immediatamente e solennemente dedotto la falsità della reliquia della sindone compiendo un errore logico sorprendente per un professore che si suppone «logico»!

A questo va aggiunto il fatto che la differente valutazione dei risultati ottenuti col radiocarbonio nei casi della Sindone e dei resti di san Paolo ha, contrariamente a quanto sostenuto dall’articolista, una motivazione razionale. Infatti la Sindone essendo stata esposta al pubblico e maneggiata ripetutamente nel corso dei secoli, ed essendo inoltre stata sottoposta ad una contaminazione da parte dei fumi dell’incendio del 1532, ha subito un inquinamento del tessuto che ne rende difficoltosa la datazione, a differenza di quanto avvenuto per i resti attribuiti a san Paolo che sono invece rimasti isolati dall’ambiente esterno.

Ma già che siamo entrati nel campo della logica ne approfittiamo per domandare lumi su un’altra questione che necessita di essere chiarita. Il prof. Odifreddi è notoriamente uno dei presidenti onorari dell’UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti), al riguardo il dubbio è questo: Posto che essere atei significa “credere” che Dio non esiste (si deve necessariamente credere perché la cosa non è dimostrabile), e posto che essere agnostici significa sospendere il giudizio sull’esistenza di Dio e quindi rifiutarsi di “credere” sia alla sua esistenza che alla sua non esistenza, come si possono unire nello stesso insieme due categorie che si escludono l’una con l’altra?

In altre parole si può essere credenti o (aut) non credenti, ma non si può essere credenti e (et) non credenti. Una unione di atei e agnostici diventa quindi dal punto di vista razionale una contraddizione in termini, come un’associazione di “laziali e romanisti”. Ma a questo punto la faccenda si complica proprio per via del fatto che la “R” di UAAR sta a d indicare “razionalisti”.

Poiché un’associazione di credenti e non credenti può essere accettata solo nel campo dell’irrazionalità, ci veniamo a trovare di fronte ad una di quelle antinomie tanto care proprio ai matematici, uno di quei casi in cui non si può arrivare ad una soluzione che non sia contraddittoria: se nell’insieme ci sono “credenti e non credenti” l’unica possibilità è che si tratti di una classe di elementi tenuti insieme da considerazioni irrazionali, se l’insieme è invece regolato dalla razionalità non può essere definito per via del fatto di contenere “credenti e non credenti”.

Esiste però una soluzione che appare razionalmente possibile, è quella secondo la quale il criterio di appartenenza non sia il fatto di essere atei o agnostici, il criterio di appartenenza sarebbe deducibile dall’unica categoria non rappresentata, si tratterebbe quindi di una definizione per esclusione: quella dei credenti in Dio.

L’associazione in questione sarebbe allora meglio definita come quella di coloro che non credono in Dio o che, non avendo certezze sulla sua esistenza, comunque si comportano come se Dio non esistesse “etsi Deus non daretur”.

E allora perché scomodare anche in questo caso la razionalità? Si tratta di un postulato, di una scelta che si effettua senza certezze razionali. In attesa che il «logico» prof. Odifreddi chiarisca la situazione (speriamo che non si debba aspettare i 637 anni trascorsi prima di dimostrare l’ultimo teorema di Fermat), possiamo procedere ulteriormente nella lettura del suo intervento sulla Sindone concordando, almeno in questo caso, con le parole espresse riguardo ai tentativi effettuati di riprodurre la Sindone con i mezzi attualmente a disposizione: “…anch’io non sono particolarmente impressionato dalla riproduzione di Pesce Delfino o Garlaschelli.”

 La riproduzione del prof. Garlaschelli, docente di chimica presso l’Università di Pavia (riprodotta alle pagine 42 e 45 della pubblicazione) è infatti talmente malriuscita che non dovrebbe figurare tra le prove contrarie ma tra quelle a favore dell’autenticità del reperto. Ma il prof. Odifreddi, sorvolando sulle cause che hanno compromesso una datazione certa col metodo del radiocarbonio (e che ne consiglierebbero quindi una ripetizione), conclude che “una bufala che non si sa riprodurre resta una bufala.”

 In questo caso la logica non è contraddetta, è vero che una bufala che non si sa riprodurre resta una bufala, ma potremmo obiettare che se in ambito scientifico non si sa riprodurre un fenomeno bisognerebbe almeno sospendere il giudizio al riguardo, bisognerebbe essere letteralmente “agnostici”.

Ma purtroppo il prof. decide di optare definitivamente per la falsità del reperto, dando ancora una volta la precedenza ad un’azione della volontà di “credere” alla falsità del reperto, di non sospendere il giudizio anche in presenza di importanti elementi contrastanti. Con buona pace della logica e del metodo scientifico sperimentale.
 
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