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Isabella Bossi Fredrigotti e la disinformazione
Di Francesco Agnoli - 15/04/2010 - Aborto - 1202 visite - 0 commenti

Per comprendere cosa significhi veramente la parola “disinformazione”, occorre analizzare l’attuale polemica riguardo alla ru 486.

Non prendo neppure in considerazione giornali come Manifesto, l’Unità, Repubblica, la cui posizione tetragona è nota a tutti. Mi limito al Corriere della sera, il primo quotidiano italiano. E’ qui che periodicamente compaiono, per esempio, articoli sull’aborto della mia compaesana Isabella Bossi Fredrigotti.

Nell’ultimo di questi, di venerdì scorso, l’autrice illustra queste sue “verità”: anzitutto, con evidente riferimento agli ottimi Cota e Zaia, chi si oppone alla Ru 486 e all’aborto, compirebbe una “guerra squisitamente politica”. Cioè, tradotto in soldoni, sarebbe in mala fede, cercerebbe voti o altro. In secondo luogo questa guerra sarebbe violenta e si nutrirebbe di “dichiarazioni via via più intimidatorie”. Cosa significhi questo atto d’accusa così generico, non è dato comprenderlo. Infine, e soprattutto, l’avversione alla ru 486 nascerebbe dal fatto che essa interrompe “una gravidanza in modo troppo soft, non abbastanza traumatico e doloroso”. Ora, a parte che la pillola non interrompe nulla, bensì uccide un embrione già bello e formato, non si capisce di chi parli la Bossi Fredrigotti quando riporta certe affermazioni. Temo che nella foga abbia semplicemente omesso di leggere cosa scrivono gli oppositori della Ru486, e si sia fidata dell’intuito: poiché è solo una pillola, di modeste dimensioni, non sarà affatto dolorosa…

Eppure le cose non stanno propriamente così: il “farmaco” in questione, infatti, è un veleno che uccide, non una medicina che cura. Se l’autrice leggesse anche chi ha idee diverse dalle sue, se soprattutto leggesse la letteratura scientifica, cui non fa mai alcun cenno, scoprirebbe che il “pesticida umano”, la RU 486, provoca una mortalità nelle donne 10 volte maggiore dell’aborto chirurgico, a parità di età gestazionale, (Greene, New England Journal of Medicine, 2005).

Apprenderebbe inoltre, dalla recentissima ricerca condotta su tutte le donne che hanno abortito in Finlandia nel periodo 2000-2006 (22.368 aborti con la RU 486 contro 20.251 aborti chirurgici) che il tasso di complicanze col l'aborto chimico è del 20% contro il 5,6% dell'aborto chirurgico (Niinimäki, Obstetrics and Gynecology, 2009). La Bossi Fedrigotti potrebbe consultare anche i risultati dello studio inglese che ha dimostrato come il dolore associato all’aborto chimico sia mediamente il doppio di quello chirurgico (Robson, Health Technology Assessment, 2009) e magari potrebbe anche domandarsi il perché molte donne che abortiscono con la pillola scelgano quel metodo pensando che sia meno doloroso e dopo la procedura riferiscano di avere provato dolore con una frequenza tripla rispetto alle altre donne (By Nguyen Thi Nhu Ngoc, International Family Planning Perspectives, 1999).

Ma, senza andare lontano, basterebbe che la Bossi Fredrigotti navigasse sul sito dei quaderni radicali per rileggersi quello che diceva il primo sperimentatore della RU 486 in Italia, il professor Piergiorgio Crosignani: “Con la pillola la donna abortisce in tre giorni e questo e' penosissimo, tanto che io dico che con la pillola c'è invasività psicologica”; oppure che rileggesse il giornale su cui scrive. Benché nascosta sotto un titolo molto abortista e depistante (“Quel farmaco è sicuro. Nel mirino c’è la 194”) l’intervista a Sergio Pecorelli, presidente dell’Aifa, comparsa sul Corriere del 9/9/2009, riporta infatti queste dichiarazioni dell’illustre medico: “Da ginecologo dico che quello farmacologico (l’aborto, ndr) può comportare un percorso più tortuoso, psicologicamente difficile da sopportare”, ovviamente per le donne. Allora, una volta appurato che la teoria proposta (l’aborto con la pillola è soft ed indolore) è una sciocchezza, e che l’opposizione motivata dal desiderio di fare soffrire le donne, da parte di esseri mostruosi e perversi, è una scemenza, che cosa rimane? Rimangono i fatti. L’aborto, con la cannula o con le compresse, è la soppressione di un essere umano vivente, sacrificabile e sacrificato perché dichiarato “non persona”. L’aborto chimico, in specie, è uno strumento che consente ai medici abortisti di trasferire parte del carico di lavoro e del possibile stress al personale infermieristico (Jones, 2002; Lipp, 2009), e che amplia l’accesso all’aborto (OMS, 2007), portandolo dove esso è legalmente limitato, e privatizzandolo dove invece è legale.

 A pensare male si potrebbe dire che questo è quello che veramente interessa. Con la RU 486 i radicali hanno un fenomenale strumento per abbattere i pur esilissimi limiti all’aborto previsti dalla legge 194 e realizzare così quello che non riuscirono a fare col loro referendum del 1981. Il cerchio si chiude: dall’aborto con la pompa in villetta, a quello in ospedale, per giungere a quello in ambulatorio e da qui spingersi al kit da portarsi a casa, completo di compresse, istruzioni per l’uso e numero di telefono del call center per chiedere aiuto in caso di emorragia…sempre che si arrivi in tempo…(una versione ridotta è uscita oggi su Il Foglio)
 
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