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Il malessere di vivere
Di Claudio Dalla Costa - 15/02/2010 - Cultura e societą - 1221 visite - 0 commenti

Un problema inquietante, soprattutto in America del Nord e in Europa Occidentale, ci è dato nello assistere a quel fenomeno definito il malessere di vivere.

Migliaia di suicidi, specialmente tra i giovani, devono aprirci gli occhi. Uno studio condotto in un’università canadese ha accertato che il tasso dei suicidi degli adolescenti è aumentato nell’ultimo decennio del 200 per cento. Il dato riguarda il continente americano, l’Europa, l’Australia e la Nuova Zelanda. Il suicidio uccide più ragazzi tra i 15 e i 19 anni delle malattie cardiovascolari, del cancro, della droga e dell’Aids. Le stesse morti per incidenti stradali del sabato sera ci interpellano in modo drammatico. Non si tratta di chiudere le discoteche due, tre ore prima dell’alba o appena dopo la mezzanotte, si tratta di approfondire il problema. Questi ragazzi, che trovano la morte uscendo dalle discoteche ubriachi o impasticcati, non sono riusciti a trovare un senso alla loro vita, non sanno perché vivono. Da dove proviene questo disgusto per la vita? Più questi ragazzi sono sazi di beni materiali e più la loro esistenza è vuota, noiosa, svalutata.

 È inconcepibile che alla primavera della vita decidano di farla finita per sempre, fenomeno unico nella storia dell’umanità, un’altra strage degli innocenti. Eppure il male di esistere è un assassino spietato che miete vittime senza sosta e che predilige coloro che sono agli albori della vita. Un altro problema sempre drammatico è quello del consumo di droga presente in gente di ogni ceto sociale. Finito una buona volta di sperare in un paradiso religioso al di là della morte, si cercano paradisi artificiali in questa vita, con la conseguenza di pagare costi altissimi per la società e per gli individui. Insomma, se non ci si rivolge più all’Infinito, lo si baratta con il finito. Si avverte da parte di molti il desiderio di fuggire in qualche modo dalla vita frenetica e nervosa che tutti, chi più e chi meno, conduciamo, e si finisce per diventare schiavi di dipendenze da cui si rimane segnati per tutta la vita, se si riesce a portare fuori la pelle. In una società che rimuove la morte, che non ne parla, che ha il culto della giovinezza e della vita, si annidano, quindi, segnali inquietanti di morte: suicidi, aids, droga, incidenti stradali, inquinamento atmosferico. Si è perso il gusto della vita; parliamo tanto di divertimento e crescono sempre più i disperati. Non saranno questi gli inconvenienti per aver allontanato dalle nostre strade l’Autore della vita? (At. 3,15).

 Nel nostro tempo la stessa scienza, spinta ai suoi limiti estremi con sperimentazioni e manipolazioni della persona umana, porta a domandarsi se l’uomo è un animale come gli altri che, per una serie di coincidenze e circostanze favorevoli, è dotato di coscienza e intelligenza. Si pensa di salvare tutti i valori e si uccide il valore per eccellenza: la vita! Così, dopo aver decretato la morte di Dio, ora si tenta di decretare quella dell’uomo. Per la verità nel secolo scorso comunismo e nazismo hanno messo a morte sia Dio che l’uomo. Oggi nuove forme di barbarie quali l’aborto e la manipolazione genetica (tanto cara già ai nazisti) minacciano l’uomo. Il tutto è fatto passare con nobili ideali, in nome della ricerca scientifica, e a beneficio degli individui. Chi di noi può sapere a che cosa porterà l’aver messo mano alla manipolazione dell’ordine della natura e al mistero della vita? Una civiltà si giudica dal grado di umanità che è capace di produrre. Il progresso degli ultimi anni, in campo economico e tecnologico, ha apportato all’uomo occidentale benessere materiale ma non una vita più umana, accompagnata da un progresso spirituale e morale.

Dobbiamo risvegliarci ai nostri desideri più profondi, non possiamo continuare ad accontentarci ora dell’ultimo telefonino, delle scarpe da ginnastica all’ultima moda, di un’automobile di lusso, noi siamo fatti per qualcosa o meglio Qualcuno di infinitamente più grande di questi surrogati. Anziché servirci delle cose, e metterle al nostro servizio, diventiamo dipendenti di queste e si riduce il nostro vivere ad una serie di bisogni materiali da soddisfare. In questo nostro mondo attuale non siamo più noi i protagonisti, sono le cose. Daniel Ange scrive: “Il nostro mondo occidentale: economicamente super evoluto, spiritualmente sottosviluppato. Tragicamente. I mezzi per vivere soffocano le ragioni di vivere. Il godimento mina la speranza. La facilità atrofizza la volontà”. Siamo fatti per credere, come è attestato da tutta la storia dell’umanità e da tutte le culture e, come vediamo, se si abbandona la fede in Dio Creatore compaiono all’orizzonte veri e propri surrogati della speranza, forme di superstizione inammissibili per chi si definisce uomo moderno. Anziché guardare in alto, stiamo cominciando a guardare pericolosamente verso il basso, con il risultato di appiattire la vita e per dirla con Proust: “Abbiamo elevato a istituzione la nostra mediocrità”. (da Scommessa sull’uomo – editrice Elledici 2006)

 
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