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Lotta alla fame: il denaro non basta
Di Libertą e Persona - 19/11/2009 - Africa - 1239 visite - 0 commenti

«Continuare a distribuire denaro a certi governi africani spesso non risolve i problemi della fame. Anzi, produce corruzione. L' unico modo per aiutare veramente l' Africa a uscire dalla sua condizione è affrontare l' emergenza educativa. Cioè insegnare alle popolazioni i metodi per abbandonare le coltivazioni da sussistenza quotidiana per arrivare a un' agricoltura moderna».

Così dice al telefono Piero Gheddo, missionario del Pime, il Pontificio istituto missioni estere. Ieri, in prima pagina su Avvenire, ha firmato un editoriale intitolato «Sviluppo e giustizia cominciano con l' istruzione». Benissimo, ha scritto, se il mondo sviluppato troverà i 44 miliardi di dollari per battere la fame chiesti dal segretario generale della Fao, Jacques Diouf: «Ma assieme ai finanziamenti e alle tecnologie sono indispensabili uomini e donne che consacrino la vita, o qualche anno della loro vita, per compiere con le popolazioni un cammino di crescita in comune, anche in campo agricolo». Gheddo ha offerto qualche esempio: «A Vercelli produciamo 80 quintali di riso a ettaro, nell' agricoltura tradizionale dell' Africa a sud del Sahara 5 quintali».

Con l' assistenza ai governi spesso corrotti, è la tesi di Gheddo, non si uscirà mai a risolvere un problema strutturale. C' è solo la via dell' istruzione, dell' alfabetizzazione, della trasmissione di una moderna concezione dello sviluppo agricolo e quindi economico. Spiega a voce il missionario: «La corruzione dei governi è un cancro che divora molti Paesi. Che siano i popoli ad aiutare i popoli, non più i governi a sostentare i governi. Occorrono progetti educativi mirati, a lunga scadenza, capaci di radicare metodi di produzione, affidati a organizzazioni non governative disposte a rimanere a lungo sul territorio. Perché spesso è inutile realizzare due o tre pozzi d' acqua e un bell' ospedale, e andarsene dopo due anni. Dopo, se non c' è una cultura di mantenimento, tutto viene cancellato».

Un esempio di «cultura trasmessa e radicata» da parte di una missione cattolica? «Non dimenticherò mai il mio arrivo nel 1985 in Burkina Faso, durante la siccità del Sahel. Viaggiai per ore verso il Nord incontrando solo desolazione. Improvvisamente un' oasi di verde, di campagna abitata. Era la missione dei Fratelli della Sacra Famiglia di Chieri, in provincia di Torino, impiantati lì dall' inizio del Novecento che hanno insegnato a costruire sbarramenti contro il deserto, ad amministrare l' acqua, a coltivare persino l' uva italiana e straordinari pompelmi rosa. Nessuno ovviamente fuggiva di lì né raggiungeva i campi di raccolta dell' Onu...».

Ma quali sono, a suo avviso, le principali colpe dell' Europa? «Molte, moltissime. Ma storicizzando direi adesso che l' Europa ha improvvisamente abbandonato l' Africa a se stessa negli anni dell' improvvisa decolonizzazione. Lì è cominciato il disastro. Prendiamo l' India, diventata indipendente nel 1947. La decisione venne presa quando la società era ben organizzata, con i partiti politici, i sindacati, una stampa libera e diffusa. E l' India è andata avanti. Nel giro di pochi anni, invece l' Africa è stata lasciata al suo destino anche di sfruttamento. E certo non di educazione alla crescita». Paolo Conti ,17 novembre 2009, Corriere della Sera

 

Dal blog di Gheddo:

Nell’inverno 2007-2008 ho visitato il Camerun, uno dei pochi paesi dell’Africa nera che vive in pace, gode di stabilità politica e di un reddito medio pro-capite che è circa il doppio di quello di quasi tutti gli altri paesi dell’Africa nera. Eppure una professoressa italiana che insegna all’Università cattolica dell’Africa centrale a Yaondé Camerun, dove vive da una quindicina d’anni, Silvia Recchi della comunità “Redemptor Hominis”, mi ha detto: “C’è una corruzione a tutti livelli e di dimensioni inimmaginabili in Europa, perché è un fatto che si può osservare tutti i giorni”.

 

    Fratel Ottorino Zanatta, che lavora nel Nord Camerun, mi cita alcuni esempi: “La strada nazionale da Garoua a Maroua, le due principali città del grande Nord camerunese, è lunga 230 km. Ma per percorrerla in pullman ci si mette quasi una giornata intera, tante sono le buche! Sono anni che debbono rifarla e non si muove nulla. Ogni 5-10 chilometri c’è un barrage (posto di blocco) e devi pagare il pedaggio che dovrebbe servire, teoricamente, a mantenere la strada efficiente. Il pedaggio è poco meno di un Euro, poco per un italiano, ma per un camerunese del Nord è tanto. Così il trasporto delle merci agricole costa troppo, tiene alti i prezzi. Nei villaggi non si è incoraggiati a produrre oltre a quello che si consuma sul posto!

    “Una ditta francese sta rifacendo da capo questa strada, ma naturalmente ci vogliono anni, però intanto potrebbero, i dipendenti statali, riempire le troppe buche che scassano le balestre e rovinano le gomme di auto e camion! Insomma, una strada di 230 chilometri che in Italia si farebbe in due-tre ore, qui richiede un’intera giornata di viaggio, con spreco enorme di carburante e di ruote gommate.

    “Il grande ponte sul fiume di Maroua – continua Ottorino - l’aveva già finanziato qualche anno fa la Comunità Europea, ma non era mai stato costruito. In pochi anni l’ha costruito una ditta francese, mandata e finanziata dal governo di Parigi. Le scuole elementari non sono gratuite come dicono. Bisogna pagare una tassa di entrata che è piccola, ma per famiglie povere con diversi figli diventa già un ostacolo; poi pagare i libri e i quaderni e pagare gli insegnanti perchè spesso lo stato non li paga. Se i maestri non sono pagati, come capita abbastanza spesso, non vanno a scuola oppure ci vanno quando vogliono e i bambini e le famiglie non sono invogliati ad andarci.

     “Lo stato non è presente – continua Ottorino Zanatta - per trattenere i giovani nelle campagne, per cui abbiamo campi poco coltivati, spesso abbandonati, città che si gonfiano di baraccati, di ragazzi di strada, di mafie e di bande criminali e si finisce per dover importare il cibo di base dall’estero perché non si produce abbastanza all’interno del paese, dove si potrebbe produrre di tutto”.

 

      Ecco perché le 50 organizzazioni internazionali religiose affermano che la corruzione è la maggior causa di povertà nei paesi in via di sviluppo. Un connazionale che lavora in Camerun per l’import-export italiano mi dice: “Funzionari pubblici, poliziotti, doganieri, militari, chi esercita qualche funzione statale, è raro che faccia il suo dovere senza chiedere nulla per sè. Non è colpa di questo o di quello, perché la mentalità comune della gente e di chi arriva al potere è questa: di pensare prima alla propria grande famiglia, al villaggio natale, alla etnia. Ci sono anche eccezioni, ma talmente poche che non sono significative”.

     Cosa fare? Non lo so, ma penso che non parlandone mai sulla stampa occidentale (riviste missionarie comprese), letta da tutte le élites dei paesi poveri, non si fa un buon servizio a quei popoli che si vogliono aiutare. Li si abitua a pensare che loro sono poveri perché noi siamo ricchi”, che invece è una grande menzogna.

 
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