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Il Magistero e il Crocifisso nelle aule. Che c'azzecca?
Di Lorenzo Bertocchi - 04/11/2009 - Attualitą - 1277 visite - 0 commenti


La Corte europea dei diritti dell’uomo (!) ha detto sostanzialmente che dovremmo togliere i crocifissi dalle nostre aule scolastiche e allora? Io non mi meraviglio, né mi scandalizzo, perché dovevamo aspettarci altro?

Adesso possiamo snocciolare tutta una serie di motivazioni interessanti circa il significato di laicità, la nostra cultura, la nostra identità, la nostra storia, i Patti Lateranensi e via discorrendo, ma il brodino culturale in cui siamo tutti immersi è talmente cotto, che più cotto non si può. “Indietro non si torna” avrebbe detto qualcuno in altri tempi.

Eh, sì indietro non si torna, ma avanti bisogna pur andare ed è qui che casca l’asino perché se il mondo cattolico avesse ben chiaro qual è il problema probabilmente saprebbe anche praticare la soluzione, invece, la divisione è tutta intestina.

Sono d’accordo con Messori che, intervistato da Tornelli, dice: “Credo dovremmo smetterla con la pretesa di vivere in un’epoca di cristianità e renderci conto che siamo diventati un piccolo gregge, dunque non mi scandalizzerei a dover esporre la croce solo nei luoghi dove la religione cristiana è praticata.”

Si dovrebbe partire da qui, da questa serena presa di coscienza, che non significa ritirarsi o abbandonarsi ad una logica relativista, anzi al contrario è proprio un sincero esame di coscienza che può chiarire le idee sulle profonde necessità delle anime per la ri-evangelizzazione del nostro continente.

Da dove partire? Come dicevo poco sopra il problema principale è la divisione all’interno della Chiesa che in estrema sintesi si sostanzia nella ribellione al principio di autorità del Magistero. Qui mi sostiene ciò che proprio oggi ha detto Benedetto XVI nella Sua catechesi del mercoledì ossia che c’è sì “utilità e la necessità di una sana discussione teologica nella Chiesa, soprattutto quando le questioni dibattute non sono state definite dal Magistero, il quale rimane, comunque, un punto di riferimento ineludibile.

Bene, prendendo spunto da un libro di prossima uscita a firma di Chiaberge (Lo scisma. Cattolici senza papa – Ed. Longanesi), vorrei chiedere ai vari dom Franco Mosconi, Don Verzè, Vito Mancuso, Martha Ehizer, padre Carlo Casalone, Don Gallo, il Vescovo Bettazzi, don Colmegna, il Cardinalissimo, don Vinicio Albanesi, fra Alberto Maggi, padre Sorge e molti altri “cattolici adulti” cosa pensano in proposito al principio di autorità del Magistero. So che le loro risposte sarebbero molte articolate, politicamente corrette, erudite, ma so anche che forse eluderebbero nella sostanza il problema.

Da qui bisogna ri-partire, dalla chiarezza rispetto al riconoscimento del Magistero e della sua autorità. Se a qualcuno non piace può sempre farsi protestante.

Perché? Il perché lo spiega sempre il Santo Padre: “la preoccupazione di salvaguardare i credenti semplici ed umili, i quali vanno difesi quando rischiano di essere confusi o sviati da opinioni troppo personali e da argomentazioni teologiche spregiudicate, che potrebbero mettere a repentaglio la loro fede”.

Qui sta il punto perché ormai siamo arrivati anche a non essere più d’accordo su chi sono “i piccoli e gli umili”, questa è l’estrema misura dello stato in cui versa la fede.

Persa la fede, anzi persa la verità non c’è altro che il “fai da te” (quella del “cattolico adulto”) e se dalla fede dovrebbe discendere “un modo proprio di stare al mondo” (Card. Caffarra) - ossia una cultura – di quale cultura i cattolici hanno informato il loro vivere negli ultimi 30-40 anni?

Non sarà che proprio i cattolici siano causa del loro male? Allora facciamo pure una battaglia di civiltà per il crocifisso nelle aule scolastiche, ma prima ancora chiediamoci come sta la nostra fede. Poi parliamo anche del principio di laicità, sperando almeno di intenderci fra cattolici.

Dal “fenomeno al fondamento” diceva Giovanni Paolo II in Fides et Ratio, era il 1998. Sveglia.


 
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