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Quel testamento inutile e pericoloso
Di Giuliano Guzzo - 25/02/2009 - Bioetica - 1573 visite - 0 commenti

Cosa dovrebbe farci diffidare del testamento biologico? Esistono ragioni non confessionali per opporvisi? A queste due domande, a prima vista, verrebbe da rispondere che no, non esistono argomenti razionalmente fondati che mettano in dubbio bontà ed utilità delle dichiarazioni anticipate di trattamento. Tanto più dopo il tragico epilogo del cosiddetto “caso Englaro”, anche buona parte di quanti nutrivano riserve si va sempre più convincendo che una legge sul fine vita, dopotutto, sia opportuna, se non altro per arginare l’arbitrio di una magistratura, quella italiana, purtroppo non nuova a mosse stravaganti. La fretta – a maggior ragione se indotta dai media - è però cattiva consigliera e rischia di distrarci dal vero nocciolo della questione: il testamento biologico. Definito come espressione scritta della volontà di una persona circa le terapie che intendesse o meno accettare nell'eventualità in cui dovesse trovarsi impossibilitato ad esprimersi, il testamento biologico, detto anche testamento di vita, porta con sé nodi tutt’ora irrisolti. Infatti, oltre a spiegarci quale attendibilità potrebbero avere per chiunque volontà congelate mediante sottoscrizione e proiettate nel futuro, per giunta in una condizione radicalmente diversa, i sostenitori delle dichiarazioni anticipate di trattamento - della cui buona fede nessuno dubita – dimenticano puntualmente di misurarsi con due domande.

La prima: il testamento biologico è una vera priorità? Se dessimo credito a Renato Mannheimer, che in un suo sondaggio ha sottolineato come un italiano su due ignori persino cosa sia il testamento biologico, verrebbe da dire che per il cittadino medio non lo è affatto. Il punto è che non lo è nemmeno se si considera lo stato complessivo della sanità italiana: due malati terminali su tre, essendo impossibilitati ad accedere alle cure palliative per carenza di strutture, sono esclusi dal diritto costituzionale (!) alla salute, mentre in un Convegno tenutosi un paio di anni fa dall’ A.I.O.M - acronimo che sta per Associazione Italiana di Oncologia Medica - è stato ammesso come la malasanità, unitamente alle varie inefficienze delle nostre strutture ospedaliere, concorra indirettamente a “determinare” 90 decessi al giorno. A giudicare dallo stato fatiscente in cui versano molti ospedali del Paese - documentato peraltro dai servizi di seguitissime trasmissioni televisive quali “Striscia la Notizia” - non stentiamo a credere autentiche queste pur allucinanti stime. E il testamento biologico? Com’è possibile ravvisare l’urgenza di predisporre un documento che consenta ai cittadini di rifiutare delle terapie quando, già ora, è la malasanità – numeri alla mano – a decidere per loro? Semplice: forse il testamento di vita non è poi così urgente. Sembra andare in questo senso anche l’esperienza degli Stati Uniti, dove queste dichiarazioni anticipate di trattamento sono disponibili da tre decenni e appena il 10-15 % dei cittadini vi ricorre.

Arriviamo così alla seconda domanda, anch’essa puntualmente dribblata dai sostenitori del testamento in questione: il testamento biologico non rischia, da annunciata conquista civile, di capovolgersi in una minaccia? Mi spiego. Forse non tutti sanno che tra la sottoscrizione delle proprie volontà e la loro “applicazione”, qualora si rivelassero necessarie, interverrebbe non solo l’interpretazione del medico, bensì anche quella di un fiduciario, che il testatore dovrebbe nominare quale ulteriore garanzia di quanto sottoscritto. Ebbene, in un ampio studio statunitense condotto su un campione di 300 pazienti - 250 a prognosi infausta a breve termine e 50 pazienti di medicina generale - si è rilevato come almeno nel 50% dei casi il fiduciario, ancorché in buona fede, male interpreti le volontà del proprio testatore (Cfr. Ann Intern Med 1998; 128 (8), 621-629). Ora, anche senza alcuna ricerca che stia lì a ricordarcelo, dovremmo comunque essere in grado di comprendere – ammesso e non concesso che la volontà del testatore sia rimasta immutata nel tempo – le ragioni che oggettivamente depongono contro l’attendibilità di una corretta interpretazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento; è pacifico infatti che, nella quadruplice intersecazione tra la volontà del testatore, quello che inequivocabilmente recita il suo testamento e le interpretazioni del medico e del fiduciario, difficilmente possa risultarne una lettura univoca e convincente. Solo menti di notevole fantasia, inoltre, possono immaginare un testamento che contempli tutte le eventualità – anche cliniche – nelle quali potrebbe trovarsi il suo autore, specie considerata l’incessante evoluzione della ricerca medica.

La stessa Eluana Englaro, per fare un esempio a tutti noto, non è mai stata sottoposta a quella risonanza magnetica funzionale che nelle mani del neurologo Adrian Owen e della sua”equipe” ha fatto registrare autentici miracoli nella ricerca sullo stato di coscienza degli stati vegetativi, tanto da meritarsi una pubblicazione su “Science”, bibbia planetaria per chi fa scienza. Ebbene, anche se anche la povera giovane avesse espresso nero su bianco – cosa che non fece mai - le proprie volontà di rifiuto terapeutico, lo avrebbe fatto, com’è logico, senza poter prevedere i traguardi che la neurologia, grazie a scienziati come Owen, in questi mesi sta facendo registrare proprio in ordine agli stati vegetativi. E chi ci dice che, informata di tali progressi, Eluana avrebbe confermato le volontà che – a dir poco maldestramente – le sono state attribuite dalla magistratura? Questo è solo il più banale degli esempi per dire che il testamento biologico, se sottoscritto, finirebbe pericolosamente per congelare non solo una volontà, bensì anche una situazione, quella della ricerca medica, che, grazie a Dio, è in costante e quotidiana crescita.

Quanto alla stucchevole polemica sull’incauta classificazione di alimentazione e idratazione come terapie delle quali sarebbe possibile chiedere sospensione, mi limito a ricordare che, al di là dell’articolo 32, citato spesso a sproposito anche da illustri costituzionalisti che dimenticano – vogliamo sperare in buona fede – gli Atti della costituente, e quindi la sua più corretta chiave lettura, il Comitato Nazionale di Bioetica ha da tempo valutato il nutrimento come atto dovuto (2005), collocandosi peraltro nella scia delle legislazioni francese e tedesca. Volendo anche trascurare ogni parere già espresso in materia, non potremmo comunque dimenticare che, mentre ogni terapia viene posta in essere con fini quanto meno curativi, giammai nutrire un essere umano può comportare altro che non sia la sua mera sopravvivenza, aspetto che ogni evidenza precede il campo medico e attiene alla nostra umanità.

Tornando al testamento biologico, alla luce non di precetti confessionali, bensì di ragionevoli argomentazioni, non possiamo concludere che si tratterebbe di un pericolo che non solo metterebbe in secondo piano le reali urgenze sanitarie, ma ha in sé tutte le premesse per contraddire i fini filantropici per i quali viene a tutt’oggi presentato. Non ci riferiamo, si badi, solo alla scarsissima attendibilità di volontà passate attualizzate forzatamente, bensì pure alla stessa autodeterminazione.

Ora, anche trascurando un aspetto che meriterebbe ben altri approfondimenti di natura filosofica e morale, e cioè il valore assoluto della libertà, viene naturale chiedersi: ma in che cosa il testamento biologico garantisce autodeterminazione? In nulla. Per sua stessa natura, infatti, esso si presenta come uno strumento atto a realizzare una volontà che, se in origine poteva anche essere autodeterminata, mediante di esso e soprattutto mediante le interpretazioni del medico e del fiduciario finirebbe inevitabilmente con l’eterodeterminarsi.

Come fare, dunque, per evitare nuovi “casi Englaro” senza una legge sul testamento biologico che, abbiamo visto, può essere una priorità solo per pochi attivisti? Basta stabilire per legge che il nutrimento, come lo stesso buon senso ci suggerisce, non è mai una terapia e dunque non è rifiutabile. La Costituzione lo impedirebbe prevedendo l’autodeterminazione come valore primario? Gli Atti della costituente e il codice penale sembrano dire altro, ma parliamone. Nel frattempo, però, non si proceda in apnea per fare una legge inutile e pericolosa.

 
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