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Michele Lanzinger e il darwinismo come ideologia filosofica.
Di Francesco Agnoli - 13/02/2009 - Darwinismo - 1793 visite - 0 commenti

Michele Lanzinger è il direttore del museo di scienze naturali di Trento, ma a mio parere interpreta il suo ruolo in modo molto parziale ed ideologico. Ieri, approfittando del Darwin day, ha scritto a tutti i quotidiani locali spiegando alcune sue posizioni filosofiche, ma presentandole come la verità scientifica, scontata e da tutti condivisa. Ho scritto allora al Corriere questa lettera, convinto che equiparare l'uomo alle formiche e ai batteri non sia sintomo di umiltà, come egli dice, quanto semmai di ignoranza e di disprezzo dell'uomo. Vedere i propri simili, infatti, come batteri o formiche, non mi sembra il modo più adatto per comprenderne la dignità. Ma si sa: la dignità dell'uomo, oggi, vale sempre meno, e meno, anche, di quella dei pur amabilissimi animali.

 

 

Egregio direttore,
il lungo articolo di Michele Lanzinger sul
Corriere di oggi dimostra ampiamente quello che diceva il filosofo
Nicola Abbagnano: l'evoluzionismo è, per molti, più che una teoria
scientifica, una filosofia, nascosta sotto il velo della scienza. Mi
spiego: anche nel titolo si propone la equiparazione assoluta tra
l'uomo e la formica (Noi e le formiche abbiamo gli stessi meriti), come
se essa fosse scientificamente dimostrata. Si insiste
poi, nell'articolo, sul "disegno cieco", sulla casualità di tutto ciò
che ci circonda, dal filo d'erba all'uomo, lasciando così intendere implicitamente che
non vi sia alcun bisogno di una Intelligenza creatrice (Dio) e negando
all'uomo qualsiasi specificità, ad esempio allorchè viene detto: "
senza concedere a noi umani il più minuscolo merito in più rispetto a
una formica o ad un batterio". In verità questa posizione non è affatto
quella ufficiale della scienza, bensì quella di Michele Lanzinger, già espressa
nella faziosa mostra La scimmia nuda. Infatti vi sono altri scienziati che hanno posizioni del tutto antitetiche. Ad esempio il grande genetista
Francis Collins, direttore del Progetto Genoma americano, è uno dei
tanti scienziati odierni a pensarla diversamente, allorchè definisce il
dna il "linguaggio di Dio", ne loda l' “intelligenza” e l'eleganza, che non considera casuali,  e mette in luce
l'unicità dell'uomo. Per Collins altruismo e senso morale dimostrano la
spiritualità dell'uomo,  distinguendolo dagli altri animali, ed esigono
una spiegazione filosofica, teologica e non scientifica (F. Collins, Il linguaggio
di Dio, Sperling & kupfer).

Analogamente a Collins, che crede
nell'evoluzione, la pensano tantissimi altri autorevoli scienziati, dal
premio Nobel Sir Eccles, all'astronomo di Harvard Owen Gingerich,
autore di un bel libro pubblicato recentemente da Lindau (Cercare Dio
nell'universo), sino al più famoso biologo evolutivo del Novecento,
Ernst Mayr (1904-2005), che, come ho scritto oggi sul Foglio, affermò:
“L’ondata di sgomento per la “detronizzazione” dell’uomo non si è
ancora placata. Privare l’uomo della sua condizione di privilegio, come
imponeva la teoria della discendenza comune, fu il primo effetto della
rivoluzione darwiniana, ma, non diversamente da altre rivoluzioni, anch’
essa finì con l’andare troppo oltre, come dimostra l’affermazione fatta
da alcuni estremisti, secondo cui l’uomo non è “niente altro” che un
animale. Ciò naturalmente non è vero; certamente, da un punto di vista
zoologico, l’uomo è un animale, ma un animale unico, che differisce da
tutti gli altri per così tanti aspetti fondamentali da giustificare una
scienza separata specificamente dedita al suo studio. Fermo restando
questo punto, non si deve dimenticare in quanti modi, spesso
insospettati, l’uomo riveli la sua ascendenza. Nel contempo l’unicità
dell’uomo giustifica in qualche misura un sistema di valori riferito
all’uomo e a un’etica antropocentrica. In questo senso una forma
profondamente modificata di antropocentrismo continua a essere
legittima” (Mayr, 1990, pag. 384)”. In sintesi l'unicità dell'uomo, la
sua differenza rispetto alle formiche, ai batteri ed agli altri
animali, è un dato certo, autoevidente,  e lo rimarrà sempre. Come
ha scritto Erwin Chargaff, padre della biologia molecolare, nel suo Il
mistero insondabile, filosofia, letteratura e teologia sono e
rimarranno sempre più utili, per capire la specificità dell'uomo, i suoi desideri e le
sue aspirazioni più alte, il suo pensiero e la sua libertà, il suo senso morale e il suo senso religioso, della biologia, della fisica e della scienza empirica in generale, che pure sono grandi scoperte dell'uomo, e, appunto, solo dell'uomo

 

L'articolo di Lanzinger

Corriere dell'Alto Adige - TRENTO -
sezione: LETTERE - data: 2009-02-12 num: - pag: 10
categoria: REDAZIONALE

 

Noi umani e le formiche abbiamo gli stessi meriti

 


di MICHELE LANZINGER *
La giornata di oggi, formalmente il «compleanno» di Darwin a duecento anni dalla nascita, sarà l'occasione di inaugurazioni di mostre di rilievo internazionale, come quella che aprirà al Palazzo delle Esposizioni di Roma e realizzata in collaborazione con i maggiori musei di storia naturale, nonché il giorno di avvio di iniziative culturali da parte delle principali istituzioni culturali di tutto il pianeta. Per quanto riguarda il nostro territorio, il Museo tridentino di Scienze naturali ha chiamato a partecipare al «Darwin Day» l'Università di Trento, la Fondazione Bruno Kessler e la Fondazione Edmund Mach. Un primo appuntamento, stamattina presso l'aula grande della Fondazione Bruno Kessler in via Santa Croce, è con i ricercatori di queste istituzioni che proporranno una riflessione sull'«evoluzione» dell'evoluzione, ovvero il succedersi delle scoperte che in 150 anni hanno progressivamente confermato e arricchito di nuove scoperte il pensiero darwiniano. Nel pomeriggio, presso l'aula magna del Museo Tridentino e con un taglio più colloquiale, i ricercatori ci parleranno dei «fatti dell'evoluzione », ovvero delle prove dell'evoluzione così come evidenziate dai risultati scientifici degli istituti di ricerca trentini. Per essere un vero «buon compleanno Darwin!» non potevano mancare iniziative dedicate a un avvicinamento informale ai grandi temi dell'evoluzione, con attività teatrali e un brindisi alle ore 19. Da segnalare che altre iniziative seguiranno: la più rilevante tra tutte è la conferenza pubblica (unica in Italia) di Jane Goodal, la famosissima primatologa conosciuta in tutto il mondo per le sue ricerche sulle scimmie e sulla sua attività di solidarietà a favore dei popoli delle foreste tropicali.
Ricordati questi principali avvenimenti legati al bicentenario della nascita di Darwin, non si può non riflettere su quanto impatto la teoria scientifica da lui esposta nell'ormai celebre «Origine della specie», di cui peraltro occorrono i 150 anni dalla pubblicazione, continui a costituire l'argomento di un dibattito definibile quanto meno «intenso ». La teoria dell'evoluzione ha avuto più o meno lo stesso effetto della rivoluzione copernicana. Così come Copernico ha tolto la Terra dal centro dell'universo (quello allora conosciuto), Darwin ha tolto l'uomo dal centro del mondo naturale. L'impatto di queste due rivoluzioni è stato ben diverso. Il «cambio di ruolo» tra Sole e Terra riguardava questioni che si svolgevano lassù, negli spazi siderali. Una faccenda tra astronomi e sacre scritture, argomenti fuori dalla portata della gente. Diversamente, l'evoluzione ci riguarda molto da più vicino. Innanzi tutto ci mette di fronte al fatto di condividere un'origine comune con tutte le specie viventi, in definitiva una lezione di grande umiltà; poi ci costringe a rivedere la nostra opinione sull'umanità come risultato di un disegno preordinato.
Come dicono gli studiosi, la storia naturale è un «disegno cieco» che procede per variazioni casuali. Ora sappiamo che sono basate su mutazioni genetiche casuali e selezione. Selezione peraltro non del più adatto — cosa che magari potrebbe piacerci, volendo riconoscerci un non so che di superiore rispetto agli altri — bensì selezione dei mutanti inadatti, sia quelli derivanti dalle variazioni casuali risultate letali, sia quelli imputabili ai cambiamenti dell'ecosistema in cui le specie biologiche si erano adattate o avevano ceduto il passo alle altre specie competitrici (casualmente evolutesi in una certa direzione e premiate come «meglio adatte» per quel determinato nuovo habitat).
Insomma, una visione molto plastica e «movimentosa» del mondo naturale, con specie nuove che entrano e specie che si estinguono, ma tutto secondo leggi che possono essere spiegate con il ragionamento e, soprattutto, senza concedere a noi umani il più minuscolo merito in più rispetto a una formica o a un batterio. La cosa non può lasciarci indifferenti. Passi il cambio delle guardia tra Sole e Terra, passi la relatività einsteniana — che è già un grosso problema capirla, e poi riguarda cose così lontane dalla nostra percezione come il rapporto spazio-tempo —, tutto sommato la possiamo adottare senza sentirci in crisi, ma l'evoluzione no. Qui si mette in discussione il nostro ruolo. L'universo non è stato creato apposta per ospitare proprio noi, e noi non siamo altro che il risultato casuale di processi a loro volta casuali di selezione. Questo ci dice Darwin.
Ma se questa è una tanto «scomoda verità», perché insistere così nel ricordarla e nel celebrare Darwin, il suo scopritore? Il motivo non è tanto un agonistico desiderio di duellare con oppositori, conservatori, creazionisti, ma piuttosto sostenere quanto l'evoluzione costituisca l'unico grande concetto unificante della biologia, di quanto ancora oggi a 150 anni dalla sua formulazione riceva ogni giorno nuove conferme (anche dai nostri ricercatori trentini come vedremo oggi) e infine di come l'evoluzione ispiri e accompagni il lavoro quotidiano di tutti i biologi. Come dire: solo se inquadrati nell'abito del programma di ricerca evoluzionistico, molti dei fatti della biologia acquistano un significato (scientifico).
Rinunciare a ricordarlo, magari accettare che questo metodo venga messo in discussione sulla base di approcci o concezioni che non rientrano nella sfera del pensiero scientifico o tanto peggio sulla base di misconcenzioni, porta inevitabilmente alla commistione di livelli diversi di sapere umano.
Il compleanno e l'anno darwiniano dunque sono una riaffermazione di un tipo di sapere, quello scientifico, che procede per prove e confutazioni: un sapere scientifico che si mette a disposizione dell'umanità. Un'umanità che, da parte sua e per fortuna, muove sulla base di sensibilità e pertinenze che al dato scientifico aggiungono etica, filosofia, fiori e poesia.
* Direttore Museo tridentino di Scienze naturali



 
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