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Sul palmo della mano di Gesù
Di don Massimo Vacchetti - 25/12/2008 - Religione - 1670 visite - 0 commenti
La vicenda straordinaria della nascita di Gesù figlio di Maria di Nazareth, sposa di Giuseppe e dello Spirito Santo che dà la vita” ha un imprevedibile protagonista su cui non mi ero mai soffermato: l’imperatore. Cesare Augusto è, infatti , l’imperatore di Roma. L’uomo più importante e potente della terra allora conosciuta e per la gran parte costituente l’impero più grande e duraturo della storia umana - l’impero di Roma - Cesare Augusto è all’origine di questo maestoso e immensamente gioioso racconto natalizio. E’ protagonista suo malgrado per via di un censimento. Cosa intendeva fare con questa conta? Fondamentalmente voleva contarsi. Nel Piccolo Principe a un certo punto si dice una frase che commenterebbe questo fatto: “I grandi amano i numeri. Se parlate loro di un nuovo amico, non vi chiedono mai le cose essenziali. Vi chiederanno: "Quanti anni ha? Ha fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?". Solamente allora crederanno di conoscerlo”. Ecco, Cesare Augusto vuol contarsi e per contare. Desidera vedere quanto conta il suo potere, su quanti cioè egli regna padrone, di quanti destini è signore. L’ultimo di questo elenco innumerevole è l’ultimo nato: un bambino nella più lontana delle terre dell’impero, nella più piccola delle cittadine, Betlemme, figlio di una giovanissima ragazza di Nazareth. Ultimo discendente della famiglia di Davide, Gesù è l’ultimo dei contati. Anzi è l’ultimo che conta. E’ il più irrilevante tra i cittadini dell’impero al punto che non c’è più posto perfino negli alberghi. E qui si palesa la natura fortemente ironica e paradossale di Dio. Alla mangiatoia, improvvisa dimora di questo bambino, comincia a sorgere un altro e ben diverso censimento: dapprima gli angeli, poi dei pastori, poi dei magi lontani. Le scene dei nostri presepi ben rappresentano questo popolo inusuale che comincia a essere censito non presso i banchi degli apparati dell’impero, ma presso una mangiatoia su cui è riverso un bambino. Su di un viottolo di ghiaia fine si muovono in tanti: c’è quella che porta le banane e quello con un agnello sulle spalle, c’è il soldato e la lavandaia. Ci siamo anche noi. Tutti a registrare i propri nomi in quel gazebo singolare che è il rifugio di Betlemme. E dove scriviamo? Su quale registro apponiamo i nostri nomi? Sul palmo della mano di Gesù. Proprio come quando, ragazzi, su quel palmo scrivevamo il numero di telefono o il nome di uno o le formule di matematica. Per ricordare. Dio manda il figlio perché su quel palmo di bambino potessero essere scritti tutti i nomi. Per ricordarli. E quando sulla croce uno dirà: “ricordati di me”, Gesù prenderà un chiodo e lo scriverà sul palmo della sua mano. Per ricordare. Inizia così, il censimento di un popolo vario costituito da chi riconosce questo bambino come il figlio di Dio, il Salvatore. Strano destino. Mentre l’imperatore conta, qui conta chi ama, crede, spera. Non conta nemmeno quanti si radunano attorno a quel modesto palcoscenico dove un bambino piange. La scena di questa notte ci dà un’idea molto dimensionata del numero dei censiti: qualche pastore. Pochi soggetti peraltro neppure raccomandabili. Si comincia ad avvertire che ciò che ha suggerito la presenza di Dio nel bambino Gesù è il fatto che ciascun uomo conta agli occhi di Dio. Ogni uomo, ogni donna qualunque sia la sua condizione merita che Dio si faccia carne. Nel censimento di Dio, tutti sono iscritti, anche quelli che non ci sono: quelli che stanotte saranno in un bar squallido a festeggiare la notte più santa dell’anno, quelli che saranno in un angustissimo cinema a vedere un banalissimo film…anche loro sono iscritti. Sono iscritti quelli di ieri e quelli di domani. Quelli che neppure sapranno che c’è un registro di salvezza da firmare. Ci sono anche quelli che neppure vedono la luce di questo mondo, ma vedranno, in forza di questo censimento, la luce vera che viene nel mondo! Davvero c’è risposta alle domande del salmo: “Signore, che cos’è l’uomo perché te ne curi? Il figlio dell’uomo perché te ne ricordi?”. Davanti ai grandi di questo mondo noi siamo ben poca cosa e più ancora di noi lo può dire chi è solo, povero, emarginato, senza lavoro, senza futuro, senza senso. Agli occhi di Dio, nel censimento di Dio, io, qualunque io, conto a tal punto da valere la sua carne e la sua croce.
 
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