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Due considerazioni sulle crociate
Di Francesco Agnoli - 20/11/2008 - Storia medievale - 1799 visite - 0 commenti
Se si parla di Dio, tirano fuori le crociate; se l’argomento è l’aborto, o Eluana, o qualcosa di simile, estraggono dal cilindro, quando meno te lo aspetti, le crociate… Così il dialogo si interrompe, perché vicende di parecchi secoli fa divengono il comodo rifugio di chi non vuole confrontarsi, e preferisce smarrirsi in un passato nebuloso, infarcito di luoghi comuni. Crociate, talvolta mescolate a Galilei ed Inquisizione, conosciuti come io conosco l’arabo, permettono ad alcuni non solo di sindacare su ogni azione e ogni idea della bimillenaria civiltà che ci ha preceduto, ma soprattutto di divenire insindacabili loro stessi. Perché la verità è che l’amato slogan sulla nequizia delle crociate, nasconde l’insofferenza per qualsiasi vincolo morale o legge superiore. Ci si rifugia in un presunto male assoluto del passato, per poter rimanere liberi, tremendamente liberi di fare e pensare ogni cosa, oggi.
Mi sembra allora opportuno, dopo questa premessa, ricordare, pur brevemente, alcune verità storiche innegabili: le crociate portarono con sé, come ogni conflitto, ingiustizie e malvagità, ma furono in massima parte guerra di difesa, a differenza delle crociate “laiche” e senza croce, coloniali ed imperialiste, in nome del mercato, della nazione o della razza, create nell’Ottocento dagli stati secolarizzati. Basterebbe osservare un semplice atlante storico per rendersi conto di quanto affermato: dopo la nascita dell’Islam, esso si diffuse a macchia d’olio, occupando terre che erano a prevalenza cristiana o animista. Le tappe della conquista islamica, scrive Marco Meschini nel suo “Il Jihad & la crociata” (Ares) “sono impressionanti per rapidità ed estensione: Siria, Gerusalemme compresa (638), Mesopotamia (641), Egitto (646), nord Africa (698), Spagna (711), e quindi la via della seta (705-714) e le isole del Mediterraneo”. Sempre con la cristianità in affannosa difesa, per frenare la morsa con cui da est e da ovest l’Islam tentava di sottomettere l’intera Europa. “Oltrepassati i Pirenei”, ricorda lo storico Georges Bordonove , per il quale la crociata non fu affatto “una pura e semplice aggressione, del tutto ingiustificata, da parte dell’Occidente”, i “cavalieri mori occuparono la Linguadoca e la Provenza. Come una marea montante travolsero i poveri re incapaci e fannulloni, finché i Pipinidi non uscirono dall’ombra per la salvezza di tutti… Nel 718 i loro eserciti arrivarono sotto le mura di Costantinopoli; ma la Città d’Oro, obiettivo delle loro brame, respinse gli assalti”.
Siamo in un’epoca, ha scritto il celeberrimo storico belga H. Pirenne, in cui neppure una tavola cristiana può navigare sul Mediterraneo, in mano ai pirati islamici: il commercio tra le due sponde del mare agonizza; il rapporto tra Oriente ed Occidente si interrompe; le città italiane muoiono piano piano e l’agricoltura diventa, giocoforza, l’unico mezzo di sussistenza. Prima del Mille le coste italiane vengono saccheggiate di continuo: i saraceni giungono per ben due volte a Roma, città che rappresenta il sogno di molti sultani, insieme a Costantinopoli, sconfitta nel 1453 dopo secoli di assedio, e Vienna, dove i Turchi giungeranno nel 1529 e nel 1683. Perché l’Europa rinasca, dopo il Mille, occorre che le repubbliche marinare liberino dai saraceni il mare, permettendo ai mercanti di tornare a solcarlo, e alla vita in città di ridiventare possibile.

Quando Urbano II, nel 1095, invita i nobili franchi a prendere le armi, non lo fa per fanatismo religioso: non è un pazzo invasato che vuole conquistare terre altrui. Al contrario, ha ben chiara la situazione: il califfo al-Hakim nel 996 ha fatto abbattere il Santo Sepolcro e perseguita violentemente cristiani ed ebrei; le processioni vengono interrotte e i fedeli feriti ed uccisi; a Manzikert, nel 1071, l’esercito imperiale di Costantinopoli viene sconfitto dai turchi di Alp Arslan e i cristiani di rito greco sono costretti a chiedere aiuto al papa e ai cattolici d’Occidente. Nel 1087 cade Antiochia, poi Edessa e Nicea, sede del primo concilio ecumenico della storia del cristianesimo. La crisi dell’impero bizantino, scrive Renè Grousset, accademico di Francia, nel suo “La storia delle crociate”, “in seguito a Manzikert, l’assenza di una sua reazione alla presa di possesso dell’Asia Minore da parte dei Turchi e dell’islamismo, convinsero l’Occidente che di fronte a una tale incapacità, per salvare l’Europa direttamente minacciata, le nazioni occidentali dovessero intervenire direttamente…Verso il 1090 l’Islam turco, dopo aver cacciato completamente i Bizantini dall’Asia Minore, si preparava alla conquista dell’Europa. Dieci anni dopo (cioè con la I crociata, ndr), non solo Costantinopoli verrà liberata, e metà dell’Asia Minore resa all’ellenismo, ma anche la parte costiera della Siria e della Palestina diventarono colonie franche. La catastrofe del 1453, che avrebbe potuto accadere in qualsiasi momento a partire dal 1090, venne ritardata di tre secoli e mezzo. E tutto ciò rappresentava l’opera intenzionale e cosciente di Urbano II. Il gesto del grande papa bloccò l’avanzata del fiume, e il corso del destino si interruppe per riprendere poi bruscamente in seguito”.
I crociati, in conclusione, partirono alla difesa del Santo Sepolcro, chiamati dall’impero agonizzante di Bisanzio, dopo oltre quattrocento anni in cui la Cristianità aveva sempre subito attacchi di ogni sorta. Essi ebbero come obiettivo paesi che erano stati sottomessi dall’ Islam con la guerra, e non terre altrui da colonizzare. La causa, insomma fu innegabilmente giusta; certamente non lo fu sempre il modo (magari ne riparleremo).(Il Foglio, 20.11.2008)
 
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