Il taglio di Martino
Di don Massimo Vacchetti (del 12/11/2008 @ 00:16:32, in Religione, linkato 1119 volte)

Conosciamo tutti il famoso taglio del mantello di Martino a favore di un mendicante infreddolito. Non tutti sanno che all’indomani di quel gesto, Gesù gli comparve in sogno vestito della metà del mantello di Martino. Allo stupore di quest’ultimo, il Risorto gli ricorda la famosa espressione evangelica “ero nudo e mi avete rivestito. Ogni volta che fate una di queste cose ad uno dei miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Mt 25,40). La vita di Martino è ben più grande del gesto per cui è divenuto famoso. Martino è fondatore del monachesimo in Occidente ben prima di Benedetto; uomo di preghiera e di raccoglimento ragion per cui viene eletto dal popolo Vescovo di Tour; evangelizzatore della campagna ed avversario delle superstizioni e delle idolatrie delle popolazioni rurali; uomo di comunione e di pace, fino a morire per ricostituire la pace in uno dei monasteri; Martino è autore di miracoli tra cui alcune resurrezioni – almeno così racconta Sulpicio Severo che ne è il primo biografo - la cui santità e fama è conosciuta ben oltre i confini della Francia. Un uomo, un cristiano, un vescovo straordinario.

 Eppure il taglio del mantello ne diviene l’icona e rimane ancor oggi nell’immaginario popolare. Un gesto scandaloso, come quello di Francesco sulla piazza di Assisi mentre si denuda delle vesti davanti al padre e ad una folla accorsa stupefatta. Proviamo a raccogliere due aspetti di questo episodio:

1) Il coraggio di tagliare con la propria storia Martino ha appena lasciato l’appartenenza all’esercito di Roma. Non sa ancora quale sia la sua direzione. Sa solo che vuole essere cristiano. Battezzato e cristiano. Nell’animo lo è già. Se fosse morto lungo il tragitto perché incorso in una banda di briganti o di barbari, di lui si sarebbe detto che aveva ricevuto il battesimo di desiderio, quello che consente ai non cristiani di essere salvi. Ma non è andata così. Martino lascia il contingente militare. Non è partito per dedicarsi ai poveri. Non ha alcuna intenzione di cambiare il mondo. Non è arrabbiato verso quel mondo di cui ha fatto parte e neppure è risentito verso l’imperatore che ha servito per tanti anni. Semplicemente ha trovato Cristo attraente e ha lasciato quello che aveva per andargli incontro. La vita militare era ben più che un lavoro. Era la sua vita. Il padre lo aveva chiamato così in onore del Dio Marte, Dio della guerra, per fare di lui un guerriero e servire l’onore e la gloria dell’Impero. Non era poca cosa. Il militare apparteneva ad una classe sociale agiata e rispettata. Lasciarla voleva dire perdere i privilegi e rompere con la tradizione di famiglia. Per cosa poi? Con quale prospettiva? La prospettiva di Cristo. Davvero a Martino, come a Sant’Antonio, a Sant’Agostino, a San Francesco d’Assisi, a Sant’Ignazio si può applicare quello già Paolo diceva “Tutto considero spazzatura a motivo della conoscenza di Cristo” (Fil 3,7). La prima grandezza di questo gesto consiste nell’aver avuto il coraggio di tagliare, prima ancora che il mantello, i ponti con il mondo vecchio. Martino recide i fili che lo tengono legato al mondo che la sua famiglia ha scelto per lui; trancia i legacci che lo vincolano a percorsi da cui non è così facile uscire per paura della riprovazione sociale, per rispetto umano, per meschineria, per amore del peccato; esce da un tunnel in cui la vita si è andata pian piano incancrenendo; lascia il bello per accogliere qualcosa di più… Per Martino, come per Paolo di Tarso la conversione è un fatto che taglia la vita in due: il prima e il dopo. Il prima di Cristo e il dopo averlo conosciuto ed essersi abbandonati alla sua misericordia.

2) Attenzione alla realtà. Lungo la strada trova un povero intirizzito dal freddo. Si ferma e lo copre col suo mantello, tagliato in due. Il tendere a Cristo rende attento alla realtà. Noi pensiamo quasi all’opposto. Per anni ci hanno fatto credere così. Tendere a Dio, fa vivere distrattamente questa vita. Almeno così era l’idea di Marx quando diceva: “La religione è l’oppio dei popoli” i quali vengono “anestetizzati” da Dio e privati di una rabbia sociale per cambiare il mondo. Si è visto che “togliere Dio” dalla realtà umana distoglie lo sguardo dagli uomini. La vittima della morte di Dio, non è Dio, ma l’uomo. Tagliare il legame con Dio provoca una ferita insanabile tra gli uomini. Solo guardando a Cristo è possibile fermarsi davanti a un povero e riconoscerne la dignità di figlio di Dio. Ecco, Martino sta mirando a Dio e si sofferma sul volto di chi ha davanti. L’attenzione alla realtà, a ciò che mi è accanto, a ciò contro cui continuamente m’imbatto è esaltata dall’incontro con Gesù. Camminare in Cristo, con Cristo, verso Cristo è il vero fattore di rinnovamento della vita. Lo sguardo è diverso. E’ più grato, più misericordioso, più lieto, più intenso. Non mi riferisco solo al povero, al barbone che rischia di essere retorica. Guardare la vita, la moglie, il marito, il lavoro avendo come orizzonte la vita in Cristo rende più bella e feconda la vita. Si potrebbe dire che occorre riconoscere nel povero il volto di Cristo, ma non sarei nemmeno in grado di guardare il povero se non avessi lo sguardo fisso su Cristo.