Santi e rivoluzionari.
Di Francesco Agnoli (del 26/10/2008 @ 12:36:17, in Religione, linkato 1612 volte)

...Chi non crede unicamente in se stesso, chi non confida solo nella propria forza, sono i santi, creature che vivono nel mondo, ma non sono del mondo, nel senso che non appartengono definitivamente, ultimativamente, ad esso. Il loro amore è essenzialmente carit

à, non filantropia, né semplice solidarietà tra simili. Tutto è da loro vissuto in un'ottica soprannaturale: amano nel prossimo il suo eterno destino, vedono, in ogni persona, una creatura di Dio, un'anima immortale, degna quindi di un rispetto immenso. San Francesco di Sales era solito dire che "il mondo intero non vale un'anima". Solo questa modalità di sguardo, permette ai santi di non appuntarsi sui difetti, sulle miserie, sulle mancanze presenti in ogni fratello, e in loro stessi: quello che conta è l'origine e il fine di ogni creatura, che sono divini, perché ogni uomo, benché non sembri, vale appunto ben più dell'intero universo.

Che siano educatori, come Giovanni Bosco, costruttori di ospedali, come Camillo de Lellis, o di scuole, missionari che percorrono migliaia e migliaia di chilometri, come Francesco Saverio, mistici come padre Pio, suore di clausura o eremiti, i santi cercano sempre l'obbedienza somma a Dio e alle sue leggi, per assaporare il suo amore e realizzare la propria umanità. Vedono, nella legge di Dio, l'unico modo per non essere schiavi del proprio capriccio, e nel suo amore, l'unica possibilità per trascendere la propria debolezza, e la propria fragilità. Di fronte al male del mondo e al loro male, combattono e lottano, senza la presunzione di annullarli definitivamente; amano la loro abiezione, ne fanno la certezza su cui costruire il proprio cammino di perfezione, la propria vita interiore.

Scriveva padre Pio ad un'anima tormentata, dalla tentazione e dalla sofferenza: "Ama la tua abiezione. Se sei umile, tranquilla, dolce, piena di fiducia tra queste oscurità e impotenze; se non t'impazienti, se non ti dai troppa sollecitudine, se non ti turbi per tutto ciò che andrai soffrendo, ma di buon animo, non dico allegramente, ma francamente e fermamente abbraccerai tutte le croci, e ti contenterai di restare tra le tenebre di spirito che il cielo ti manda, tu allora amerai la tua abiezione. Che cosa significa abiezione, se non che oscurità e impotenza? Amati in codesto modo, per amore di colui che così vuole, ed amerai la tua propria abiezione, che è il grado più alto dell'umiltà". Il cammino dei santi è sempre alla ricerca di una liberazione: dal proprio egoismo, dalla propria superbia, dalla tentazione di scandalizzarsi del proprio limite, attraverso la virtù fondamentale, quella che apre alla vera libertà: l'umiltà. Umiltà come rassegnazione di fronte al dolore; come sopportazione della propria impotenza; come affidamento totale delle proprie opere e desideri al volere di Dio. "Nulla ti turbi, scriveva Santa Teresa d'Avila, nulla ti sgomenti, a chi ha Dio non manca nulla….".

Liberi dalle preoccupazioni mondane, spogliati di tutto, per rivestirsi soltanto di Dio, per confidare solamente in Lui, roccia che non si spezza, Padre che non dimentica, Amore che non ha confini: eppure le loro opere durano più di quelle dei re e dei potenti, lasciano dietro di sé tracce che permangono nei secoli. I santi non inseguono le folle ma vengono inseguiti; non cercano le masse, il loro amore tumultuoso e cangiante, la loro lode, il loro umore variabile, ma solo le singole anime, una per una, ognuna fino nella sua profondità, per la sua immensa preziosità; non vogliono ridisegnare il mondo, con le rivoluzioni, le ideologie, i loro progetti e le loro convinzioni personali, ma anzitutto se stessi; non si fanno innalzare, al potere, alla gloria, per non cadere poi, rumorosamente, a terra, come gli idoli.

I rivoluzionari fanno l'esatto contrario: cercano onori, fama, successo; inseguono il plauso delle folle, si propongono come suoi capi, e alla fine, dopo aver ottenuto il potere, ne rimangono servi, oppure finiscono con la testa tagliata, per effetto delle loro stesse leggi, come Danton e Robespierre; appesi a testa in giù, dopo essersi elevati al di sopra di Dio, come Mussolini; paralizzati e senza più neppure la possibilità di parlare, ma circondati solo dall'odio dei vecchi adulatori, come Lenin e Stalin; suicidi, di fronte alla sconfitta, come Hitler…. I santi invece cambiano davvero la storia, non solo per pochi istanti: eppure rimangono schivi, in silenzio, "servi inutili". In questo sta la loro liberazione: nella consapevolezza di non essere chiamati a divenire creatori del proprio senso, della propria salvezza, della salvezza del mondo; di non essere gnostici, illuministi, despoti illuminati, dittatori, utopisti, intellettuali riformatori, uomini "cosmico storici", superuomini, dandy, esteti, stars del cinema o della televisione, intellettuali, scientisti, o qualcun altro dei vari nomi, designanti sempre "progetti abortiti", con cui definiamo il tipo umano del rivoluzionario. Il disprezzo di sé, nei santi, apre all'amore di Dio e del prossimo, laddove nei ribelli l'amore per se stessi apre al disprezzo di Dio e del prossimo.

Il rivoluzionario, infatti, è un uomo che incanala la sua inquietudine, la sua ricerca, la sua consapevolezza del limite, nella ribellione. La parola d'ordine è la stessa dei santi, liberazione, ma passa attraverso la superbia, l'orgoglio, l'indurimento del cuore, non attraverso l'umiltà. Il rivoluzionario crede di liberare l'uomo dalle "catene" della realtà, come gli gnostici volevano salvarlo dalle catene del Demiurgo, i tiranni illuminati dalle catene della Fede e della legge naturale e divina, Marx dalle catene della borghesia, i sessantottini dalle catene della monogamia e della famiglia, i transgender-transessuali dalle catene dell'identità sessuale, i free-child da quelle della procreazione…Nell'ansia di questa liberazione tutto può essere distrutto e riplasmato, persino il proprio corpo, il proprio sesso. Il primo comandamento, “non avrai altro Dio all’infuori di Me”, viene sostituito con l’affermazione della divinità dell’uomo, cui viene affidato ogni potere; il quarto e il decimo con la soppressione della famiglia, l'affermazione di una morale superomistica, la comunione delle donne, il libertinismo…; il quinto con la pratica dell'aborto, della clonazione, della fecondazione artificiale, o del suicidio assistito, come affermazione del dominio persino sulla vita… La vita non è sacra, nulla è sacro, dicono i rivoluzionari, spezzando adirati le tavole della legge.

 L'archetipo del rivoluzionario potrebbe essere, all'inizio della contemporaneità, J. Paul Marat: una volontà assoluta, slegata dalla verità e dalla misericordia; un uomo che riesce a passare dalla fogne al potere, dall'essere "perseguitato" al programmare la persecuzione di migliaia di persone. "Bisogna radere il prato con la falce", scriveva colui che si definiva "l'amico del popolo" e "la collera del popolo", per inasprire la piazza e istigarla al sangue: "Tre mesi orsono ho invocato la condanna capitale di seicento colpevoli: seicento capestri avrebbero salvato la Francia. Non mi avete ascoltato. Oggi non sono più seicento; sono ventimila le teste che bisogna abbattere". Si era nell'agosto del 1792, e Marat voleva essere il Salvatore, versando non il proprio, ma l'altrui sangue. Dopo di lui altri uomini cercheranno di cambiare la storia servendosi delle masse, e riponendo in esse la propria forza, e il proprio disprezzo. Napoleone incendierà l'Europa, arresterà due papi, combatterà la Fede cattolica, trascinando la Francia in un disastro epocale. Dirà di sé: "Sono un uomo tale che non si cura della morte di un milione di soldati!" Dopo di lui la storia conoscerà Hitler, Lenin, Stalin, Pol Pot, e tanti altri feroci sanguinari, altri che diranno: "il popolo sono io", la "legge sono io"… Altri ribelli, altri rivoluzionari, sempre con la parola libertà sulla bocca: vi è spesso un esito paradossale, nelle rivoluzioni, che prendono "il via da una richiesta di maggior libertà, e il loro successo si risolve puntualmente in un accrescimento del potere statale. Cromwell o Napoleone, quando non Hitler e Stalin, si ergono in fondo alla strada di coloro che sono partiti per abbattere il 'tiranno', sia Carlo I o Luigi XVI, l'Asburgo o il Romanov. Il teologo può dire: Dio punisce il peccatore nel suo peccato" (Gianni Vannoni).

Mentre il santo può fiorire dovunque, anche solo, in carcere o nei gulag, come San Massimiliano Kolbe, non è così per il rivoluzionario: dopo l'esilio di sant'Elena, Napoleone è finito, ha smarrito anche il senso della sua vita. Come Marat, come tutti i rivoluzionari, può vivere solo nel desiderio di una realtà esterna da sovvertire, che sia il senso momentaneo che dà al suo agire (non al suo essere). E può nascere solo all'interno di una società già secolarizzata. Non è un caso che i primi dittatori della storia compaiano all'epoca della rivoluzione francese, cioè in un secolo e in un paese fortemente scristianizzato, e fioriscano in quantità dopo l'ulteriore secolarizzazione portata dalla rivoluzione stessa. Solo dove la vera Via è smarrita, infatti, qualcuno può proporsi come Messia, e trovare persone disposte a vedere in lui il profeta di una nuova "religione", surrogata e fasulla. I rivoluzionari infatti, nella loro superbia, vogliono essere loro la "Via, la Verità e la Vita", e qualcuno, nelle epoche di decadenza, in cui la disperazione si tramuta facilmente in illusione, per un po', gli crede. Poi, però, l'inganno si svela: proprio per questo, i rivoluzionari durano sempre molto poco, comete passeggere, come il "credo" che hanno creato. Durano poco, perché finiscono abbattuti, dai loro stessi seguaci, oppure sconfitti dalla realtà; oppure, addirittura, perché comprendono il loro errore, mutano il loro cuore e si convertono. Quanti sono, nella nostra storia, i ribelli pentiti? Per restare soltanto al campo letterario, dal buon Boccaccio, che finì la sua vita in un convento, chiedendo che il Decameron venisse bruciato, ad Alessandro Manzoni, che in gioventù era stato un ardente giacobino ed un appassionato anticlericale; da campioni dell'immoralità come Oscar Wilde e Joris Karl Huysmans (per non parlare delle varie crisi religiose di Baudelaire e Verlaine), ad Adolfo Retté e André Frossard; da Curzio Malaparte, il fascista, che poi divenne stalinista, a Pitigrilli (Dino Segre), l'autore di "Cocaina"…da Peguy a Claudel, sino al già citato Giovanni Papini. La storia di quest'ultimo, in particolare, è veramente esemplare: quest'uomo che si trovò a vivere la propria giovinezza alla fine dell'Ottocento, abbracciò via via tutte le idee del nuovo secolo, tutte quelle che potevano essere per lui nutrimento ala sua ribellione. Diceva di sé "Io sono nato rivoluzionario", e "vogliamo liberarci da tutto e da tutti". Pur di credere solo a se stesso, finì per credere a tutto: vagò "dal monismo all'idealismo, dal pensiero di Stirner al solipsismo conoscitivo e morale, dal pragmatismo al misticismo, all'occultismo, allo yoga", alla teosofia, al futurismo ("Io son futurista perché futurismo significa libertà assoluta"), all'interventismo messianico nella I guerra mondiale, all' elitarismo più estremo: sempre nell'orizzonte dell'ateismo e della ribellione. Attaccò via via la famiglia, la solidarietà sociale, il valore stesso della vita ("la vita non è sacra"), l'amicizia e Cristo stesso, deriso in ogni modo, con estrema virulenza.

Nel 1912 scrisse "Un uomo finito": "Tutto è finito, tutto è perduto, tutto è chiuso. Non c'è più nulla da fare. Consolarsi? Neppure. Piangere? Ma per piangere ci vuole ancora dell'energia, ci vuole un po' di speranza! Io non sono più nulla, non conto più, non voglio niente: non mi muovo. Sono una cosa e non un uomo. Toccatemi: sono freddo come una pietra, freddo come un sepolcro. Qui è sotterrato un uomo che non potè diventare Dio". Papini era dunque in una situazione analoga a quella di Verlaine, quando aveva scritto "Tutto è mangiato, tutto è bevuto, niente più da dire"; assomigliava a Huysmans, dopo "A-rebours": ridotto, secondo le parole di Barbey d'Aurevilly, a dover scegliere "tra la bocca di una pistola o i piedi della croce". Sette o otto anni dopo, anche in seguito a quella guerra che aveva invocato, Papini trovò la Fede: lui, orgoglioso, scontroso, ribelle, superbo, malinconico e inquieto, entrò nel Terz'Ordine francescano e finì per occuparsi dei poveri nella San Vincenzo; scrisse libri per esaltare la Fede e Cristo; si ammalò gravemente e sopportò la sofferenza con forza e rassegnazione. Nell'epoca della sua conversione aveva scritto una bella poesia, in cui aveva voluto sottolineare la sua condizione di superbo pentito: "nell'alta notte agostana,/ sotto il perlato brividio,/ fuori dalla mia tana/ inginocchiato riconobbi Iddio;/ inginocchiato tra i sassi e tra i cardi,/ presso la balza che porta alla croce, /vidi nel buio i suoi sguardi,/ e mi parlò la sua voce./ Nel taciturno universo/ deste e presenti due sole persone:/ un minimo bruto riverso/ sotto la faccia del Padre Padrone./ Battuto il cuore da fitti rintocchi,/ abbandonandomi docile sulla/ dura sassaia che trita i ginocchi,/ seppi alla fine il mio nulla./ Dentro di me la superbia disfarsi/ sentivo tutta,/ e nel fulgido abisso/ vidi, o mi parve/, due mani schiodarsi/ dal tronco nero del mio crocifisso".

Come era avvenuta la rinascita? Papini la descrisse così: "Eppure questo miracolo nuovo non è impossibile, purchè sia desiderato e aspettato. Il giorno nel quale non sentirai una punta di amarezza e di gelosia dinanzi alla gioia del nemico o dell'amico, rallegrati perché è segno che quella nascita è prossima. Il giorno nel quale non sentirai una segreta onda di piacere dinanzi alla sventura e alla caduta altrui, consolati perché la nascita è vicina. Il giorno nel quale sentirai il bisogno di portare un po' di letizia a chi è triste e l'impulso di alleggerire il dolore o la miseria anche di una sola creatura, sii lieto perché l'arrivo di Dio è imminente. E se un giorno sarai percosso e perseguitato dalla sventura e perderai salute e forza, figli e amici e dovrai sopportare l'ottusità, la malignità e la gelidità dei vicini e dei lontani, ma nonostante tutto non ti abbandonerai a lamenti né a bestemmie e accetterai con animo sereno il tuo destino, esulta e trionfa perché il portento che pareva impossibile è avvenuto e il Salvatore è già nato nel tuo cuore. Non sei più solo, non sarai più solo".

(dal I capitolo di "Santi e rivoluzionari", che ho scritto insieme a Marco Luscia e Alessandro Pertosa, Sugarco edizioni)