Ciao ciao Darwin.
Di Francesco Agnoli (del 09/10/2008 @ 13:32:57, in Darwinismo, linkato 1814 volte)

La polemica sull’evoluzionismo materialista da un lato e il concetto di creazione, non di creazionismo letteralista, dall’altra, è destinata ad offrire sempre più occasioni di dibattito. Infatti, come la visione del credente in un Dio trascendente, determina un conseguente modo di leggere ogni realtà, analogamente l’evoluzionismo materialista, che come notava Abbagnano è una filosofia, piuttosto che una teoria scientifica, può essere utilizzato per spiegare ogni cosa, quasi fosse una metafisica alternativa.

Cercherò di spiegarmi con un esempio: il Corriere della sera del 6 settembre 2008. Procedo con ordine. A pagina 17 viene riportata la notizia di un condannato a morte, che ha concesso il suo corpo perché venga fatto a pezzi come cibo per i pesci. La mentalità del credente, di fronte ad un simile gesto, rimane turbata. Perché? Semplicemente perché il cristianesimo è la religione dell’Incarnazione di Dio, della valorizzazione del corpo come tempio di Cristo. Lungi dallo spiritualismo, il cristianesimo ha affermato che la nostra natura, tutta intera, anche quella corporale, è dentro il mistero dell’essere, ed è destinata all’eternità. Per questo il cristianesimo si dovrebbe distinguere per le opere di misericordia corporale, per la concretezza del suo calarsi nella storia ed anche per il rispetto dei defunti. Al contrario, secondo l’ideologia materialista, la materia stessa, essendo temporanea e irredenta, non chiede che di dissolversi, per divenire altro: di qui il gesto simbolico di alcuni atei, un tempo, ed ancor oggi, di farsi cremare e di gettare le ceneri al vento. L’uomo è polvere, che risorge, per gli uni, polvere aggregatasi casualmente, per gli altri.

A pagina 21 invece il Corriere parla di un uomo di 56 anni che si è gettato in mare per salvare due bambini, morendo. Per il credente il gesto eroico di Romeo Priotto è la dimostrazione dell’originalità dell’uomo: a differenza delle scimmie, delle formiche, delle mosche, egli può vincere il proprio istinto egoistico, può addirittura sconfiggere l’istinto di sopravvivenza, morendo per un valore superiore, intangibile, eterno. Come hanno fatto Socrate, Gesù Cristo, e quanti danno la vita per il prossimo, anche sconosciuto. L’amore è segno eminente della nostra natura anche spirituale e della nostra aspirazione celeste. Per gli evoluzionisti materialisti, al contrario, Romeo Priotto è un grave problema, perché esige una spiegazione che il meccanicismo ed il determinismo non possiedono. Per questo dal biologo Haldane a R. Dawkins a E.O. Wilson, ecc., tutti costoro tendono a negare ogni possibilità di altruismo, cioè di spiritualità. Devono allora invocare l’esistenza di presunti geni benefici, ancora non identificati, oppure far rientrare tutto nello schema utilitarista secondo cui, dietro ogni azione apparentemente gratuita e disinteressata, ci deve in realtà essere, per forza di cose, un interesse personale.

A pagina 28 dello stesso giornale, troviamo invece un’ intervista a Michael S. Gazzaniga, lo scienziato dell’università di California che ha studiato con Sperry la separazione degli emisferi cerebrali. Ebbene, questo illustrissimo esperto del cervello, afferma una differenza sostanziale tra l’uomo e gli animali: “E’ perché abbiamo un cervello capace di conoscere, apprezzare e desiderare le arti e governare i nostri atteggiamenti sociali e morali. Su un punto Darwin aveva torto, cioè noi non siamo in continuità con gli altri primati, la differenza tra noi e loro è qualitativa, non puramente quantitativa”. Siamo anche qui di fronte ad un bivio. Per gli evoluzionisti materialisti il concetto espresso da Gazzaniga non può essere accettato. Infatti contraddice la presunta infallibilità di Darwin, e lo fa proprio in un punto cardine, per un materialista: se l’uomo è diverso dagli animali in modo qualitativo e non quantitativo, è assai difficile spiegare l’evoluzione casuale della scimmia nell’uomo, dal momento che una differenza di quantità è colmabile, ma una di qualità, no, a meno che non si ammetta un intervento esterno, cioè creativo, per la nascita dell’anima razionale umana. Infatti che tutta la materia si evolva, è per il credente del tutto possibile: ciò che evolve, infatti, deve esistere, e per esistere, non potendo la materia autofondarsi, necessita di un atto creativo all’origine. Per un evoluzionista materialista, invece, tutto deve essersi fatto da sé: la vita, l’uomo, la coscienza, devono emergere automaticamente dalla stessa materia inorganica, della cui esistenza non si dà ragione, per un “colpo di fortuna” chimico.

A pagina 29 dello stesso Corriere, leggiamo infine un articolo a tutta pagina con la solita, ridicola, vignetta: un uomo e una scimmia insieme, nuca contro nuca, come facce della stessa medaglia. Si apprende, leggendo, di un’ ipotesi, per nulla dimostrata, per la quale sarebbe una sola “proteina appena diversa a far sì che l’uomo sia uomo e lo scimpanzé scimpanzé”. Non è difficile notare, anche qui, la volontà ideologica di convincerci, con grandi paginate, che l’uomo è sorto per puro caso, per mutazione, accidentale, di una sola proteina. C’è qui tutto l’evoluzionismo materialista, dogmatico e ideologico: ciò che dell’uomo non si vuole ammettere, la sua originalità, nel pensare, nell’amare…, deve essere “spiegato” con uno sbaglio, un errore di battitura, un lapsus della natura, e null’altro. Lo dicevano già i materialisti del passato, da Diderot a d’Holbac, ben prima di Darwin: l’uomo è solo materia, “nel novero dei possibili”, senza progetto e senza scopo, un puro accidente, né voluto né amato. Un numero uscito alla roulette.

ps. Michael S. Gazzaniga è docente di psicologia all’Università di Santa Barbara, dove dirige il Sage Center per gli studi sulla mente. Grande divulgatore sugli argomenti relativi alla mente e al cervello, è uno dei più famosi neuroscienziati al mondo, ed è stato il primo a creare e sviluppare centri di neuroscienze cognitive. È autore di numerosi libri, tra i quali The Social Brain, Mind Matters e The Brain and the Mind.

 

Darwin e il suo cranio.

In un passo della sua curiosa Autobiografia Charles Darwin ci offre uno spaccato sulle incredibili convinzioni della sua epoca. Racconta infatti di aver inviato una propria fotografia ad una società di psicologi seguaci della frenologia, che gli avrebbero consigliato di intraprendere la vita ecclesiastica: "la forma del mio cranio era stata argomento di pubblico dibattito, e uno degli oratori aveva dichiarato che avevo il bernoccolo sacerdotale tanto sviluppato da bastare per dieci preti". Darwin non dice nulla riguardo al modo con cui accolse l'indicazione, ma sembra, da quanto aggiunge subito dopo, che cercò, almeno inizialmente, di tenerne conto. Infatti solo poche pagine più avanti aggiunge: "E' probabile che il mio cervello si sia sviluppato proprio nel corso delle ricerche compiute durante il viaggio: lo dimostra una osservazione di mio padre [...] la prima volta che mi vide dopo il viaggio, si volse alle mie sorelle ed esclamò: «Guardate, gli è cambiata la forma della testa»".

Darwin dimostra così di credere che l'aver passato cinque anni a riflettere sull'evoluzione avrebbe in qualche modo determinato una evoluzione della sua intelligenza, tradottasi, molto concretamente, in una mutazione della forma cranica! La cosa potrebbe stupire solo chi conosca il suo pensiero attraverso i nostri ridicoli manuali della scuola dell'obbligo. Non invece chi, leggendo le sue opere originali, le ha trovate disseminate sia di affermazioni sconcertanti dal punto di vista scientifico, che di dichiarazioni apertamente classiste e razziste: ad esempio sull'inferiorità degli irlandesi, sulla necessità di limitare, come con le bestie, la riproduzione degli umani "inferiori", o sulla superiorità mentale e fisica dell'uomo sulla donna.

Ma non ci si deve in realtà meravigliare: la frenologia, a cui Darwin fa riferimento nei suoi apprezzamenti sul proprio cranio, riprende le concezioni della fisiognomica, e le ripropone nelle teorizzazioni di Joseph Gall, all'inizio dell'Ottocento. Secondo Gall esiste "una corrispondenza tra l'intelligenza dell'uomo e la sua conformazione cranica": si arriva a sostenere che la "conformazione cranica dei neri, rivelandosi eccessivamente stretta, è sinonimo di una intelligenza inferiore, paragonabile a quella delle scimmie" (Cristian Fuschetto, Fabbricare l'uomo, Armando). Di qui, da questo sfrenato ed antiscientifico materialismo, sgorga, a metà Ottocento, la craniometria di Paul Broca, che facendo coincidere la superiorità intellettuale col volume cerebrale, identifica l'uomo bianco maschio come superiore, i vecchi, le donne e le altre razze come inferiori! L'antropometria diverrà poi uno sport dei divulgatori darwinisti, da Ernst Haeckel a Cesare Lombroso, sino ai nazisti, che misuravano teste ed arti degli indigeni durante le spedizioni in Tibet, alla ricerca delle origini ariane!

A ben vedere l'ottica materialista non offre alternative: se l'anima non esiste, se la libertà, l'intelligenza, la parola, evidentemente immateriali, non sono altro che materia casualmente evolutasi, come afferma Darwin, allora ciò che ci distingue dalle scimmie, e tra noi, non è altro che il volume cranico. Non è altro che un cervello voluminosamente più o meno ampio. Così purtroppo viene tutt'oggi insegnato ai nostri ragazzi, dal momento che i manuali di scienze ad uso scolastico mostrano, nella ridicola serie di disegnetti dalla scimmia all'uomo, solo teste sempre più grosse (e meno pelose), salvo poi affermare che "la documentazione fossile è alquanto lacunosa", e che "non si sa con sicurezza quali spinte evolutive hanno favorito l'ingrandimento dell'encefalo" (Audesirk- Byers, Biologia, vol.I, Einaudi, 2003). La stazione eretta e la locomozione bipede, la pelle glabra e il cervello più grande, propri dell'uomo, e non della scimmia, donde derivano, si chiede lo stesso testo? "La risposta è che nessuno lo sa": però, forse, ha ragione Wheeler, quando "suggerisce che i nostri antenati avrebbero sviluppato la stazione eretta perché questa consente di ridurre al minimo la superficie di esposizione al sole cocente della savana". Wheeler, capace di tanta fantascienza, ipotizza poi che "fu solo in seguito allo sviluppo della stazione eretta e della pelle glabra che la capacità di disperdere calore raggiunse livelli tali da consentire l'aumento della massa cerebrale"! Molto più logico, e scientifico, il premio Nobel per la medicina (Neurofisiologia), Sir John Eccles: "mi vedo obbligato ad attribuire l'unicità della psiche, o anima, ad una creazione spirituale soprannaturale. In termini teologici: ogni anima è una nuova creazione divina".