Giulia ci racconta la Romania. Inizia il nostro Progetto Romania.
Di Francesco Agnoli (del 26/09/2008 @ 19:16:56, in Progetto Romania, linkato 1911 volte)

Diversi amici e alcune alunne sono stati in questi anni in Romania, per aiutare questo paese ancora devastato dal comunismo. I loro racconti ci hanno spinto a lanciare una piccola raccolta fondi, da consegnare ad un amico che si reca periodicamente là ad aiutare. Iniziamo con la testimonianza di Giulia, trentina, 17 anni, alunna del Sacro Cuore.

"È passato quasi un mese dalla mia partenza, da quella calda mattinata di luglio…..ma ricordo ancora tutto. Il pullman che aspettava i ritardatari, il responsabile che iniziava a fare l’appello, le ragazze milanesi, che, appena salita si presentarono. Si parte! Sighet, arriviamo! Mi sedetti e pensai, beh che carini qui, sono davvero tutti disponibili e socievoli. Sarà una bella esperienza Giulia, mi ripetevo, cercando di dimenticare le critiche e i commenti, non troppo positivi, di amici o conoscenti. Il viaggio, durato circa diciotto ore, non fu poi, così pesante e l’atmosfera di condivisione era percettibile. Su quaranta persone circa vi erano una ventina di studenti liceali, tredici seminaristi ed infine, una nonna romana con molte esperienze simili alle spalle. Il nostro responsabile, Padre Massimo, un sacerdote gesuita, ci accolse appena arrivati e ci presentò alle nostre rispettive famiglie, dandoci poi appuntamento per il pomeriggio. Con l’inizio della settimana cominciò il lavoro. Alle otto del mattino si dicevano le lodi poi a scuola, dalle nove alle dodici, ci dedicavamo all’ insegnamento dell’inglese o dell’italiano; quest’attività veniva svolta a coppie, viste le classi di trenta, trentacinque…bambini. Seguiva il pranzo nelle rispettive famiglie e il ritrovo pomeridiano in aula docenti a correggere compiti, programmare le lezioni, discutere su come affrontare i vari problemi educativi… Gli allievi della scuola erano bambini per la maggior parte tranquilli, che amavano essere coccolati e riempiti di attenzioni. Cercavano di compiacerti in ogni cosa e spesso ti preparavano cuori di carta o ti portavano qualche fiore, specialmente le bambine. I ragazzi che seguivamo il pomeriggio vivevano nelle case famiglia e avevano dai due-tre anni in su. Erano bambini con forti problemi: alcuni a tre anni ancora non camminavano, a sette anni, ancora non parlavano. Le assistenti che si occupavano di loro erano donne che non avevano voglia di coccolarli o di stimolarli con il gioco. Spesso erano addirittura violente. Questo provocava nei bimbi una gran diffidenza per l’estraneo che comunque veniva superata quasi da tutti quando vedevano e capivano che noi eravamo lì per giocare e per prenderci cura di loro. Così ti saltavano in braccio, facevano a gara per giocare con i tuoi capelli, per attirare la tua attenzione. Diventavano gelosi del bimbo con cui stavi correndo. Volevano il primato, l’esclusiva. In alcune case i ragazzi erano handicappati gravi, non parlavano, non correvano, forse nemmeno capivano. Lì il volontariato era più difficile. Non sempre si sapeva cosa fare e come comportarsi. Ogni situazione ed ogni eventuale attività veniva comunque prima discussa, sviscerata insieme.

Nulla capitava all’improvviso, senza che Padre Massimo ci avesse informato e preparato. Sicuramente ciò ha contribuito a fare di queste settimane un’esperienza forte, intensa, ma condivisa. Nel gruppo, infatti, pur avendo giornate molto ricche e organizzate non mancava il tempo per parlare e confrontarsi, per crescere ed arricchirsi insieme di idee e di contenuti. …….e quando ripenso a quei giorni, a quelle settimane ancora rivivo quelle emozioni così forti, quella paura di sbagliare o di lasciarmi coinvolgere troppo. Rivedo gli occhioni di quei bambini che, con discrezione, si avvicinavano, con timore mi sorridevano, cercando di capire fino a che punto potevano sporgersi. Poi, col passare dei primi due, tre giorni, intuirono che per loro desideravo essere qualcosa di più che un’insegnante di inglese. Così iniziò ad instaurarsi un rapporto di complicità e affetto. In fondo cercavano solo questo e ancora di più lo cercavano i bambini delle case famiglia, velati da un’ingenuità che presto verrà violata. Hanno occhi grandi, profondi, di chi, a soli pochi anni di vita, ha già conosciuto il dolore vero. Non provocato da un giocattolo in meno o da una lieve caduta, ma quel dolore lacerante di chi, ancora piccolo, si trova da solo nel mondo: abbandonato dalla stessa persona che lo ha generato e che dovrebbe amarlo più di chiunque altro; dimenticato, forse, in una casetta con altri bambini dal vissuto simile; lasciato nelle mani di qualche signora che si trova a guadagnare il suo stipendio stando con loro. Non aspettano altro che qualcuno li porti via o che almeno li faccia giocare, li prenda in braccio. Perché, quando ti vedono, è solo questo che vogliono: essere rincorsi, coccolati e tenuti in braccio. Non si muovono, passerebbero le ore appoggiando le loro labbra al tuo collo, tenendosi stretti a te. Alcuni sono davvero molto piccoli, altri magari un po' più grandi, dieci, undici anni, ma con le stesse richieste. A questo dolore, a questa miseria hai dato un nome, lasciando una piccola parte di te che speri possa farli sentire meno soli, meno dimenticati".

Giulia

Chi volesse aiutare, con qualche euro, il progetto, può inviare i soldi a :

Associazione Libertà e Persona

Sūdtiroler Volksbank
Banca Popolare dell'Alto Adige

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