In tutta franchezza, il drammatico quadro emerso dal recente inasprimento dei controlli sulle strade, non mi ha sorpreso. Che alcool e droghe dilaghino purtroppo non è una notizia, così come non è una notizia l’ormai diffusissima irresponsabilità di quanti si mettono alla guida in stato confusionale, ubriachi o magari sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. A meravigliarmi, piuttosto, è la miopia di quanti, chiamati a pronunciarsi sulle bravate notturne, non fanno che parlare di discoteche che dovrebbero vendere meno alcool, di controlli stradali da intensificare, di guida sicura. Tutto vero e giusto, indubbiamente. Ma c’è un aspetto importante – fondamentale direi – che quasi mai viene esplorato come meriterebbe, e cioè quale causa scatena in tanti giovani il desiderio di inseguire eccessi sempre più rischiosi. E’ del tutto evidente chi “sballa”, lo fa quasi sempre consapevole dei pericoli che corre; i giovani, contrariamente a quello che talvolta si dice, sanno bene a cosa posso andare incontro quando esagerano. Eppure, lo fanno continuamente. Perché? Per rispondere a questa domanda, solitamente, si tirano in ballo risposte che risposte non sono, come l’istintiva voglia di trasgredire che fiorirebbe in ognuno. Oppure si ripete che se i giovani rischiano la vita, lo fanno per mostrarsi “grandi”. Il punto è che larga parte dei giovani che popolano le notte, non sono più ragazzini, bensì venticinquenni o trentenni. Quando trasgrediscono, non è quindi una maturità precoce quella che cercano. Cercano altro. Cercano il nulla. Il nulla di un’emozione fugace, di un brivido effimero, di un piacere istantaneo invocato come tale. Se si accetta questa premessa, diviene forse più facile investigare lo spirito che anima il “popolo della notte”. Si può, anzitutto, riflettere proprio sulla notte, come scenario prediletto di una felicità che di giorno non arriva. E che – c’è da temere – mai potrebbe arrivare. E’ proprio questo, infatti, il cuore della questione, ovvero l’insoddisfazione della vita diurna, quella quotidiana, da affrontare senza alcun sussidio alcolico. Un’insoddisfazione che probabilmente ha radici importanti, e che tocca un vuoto esistenziale, fatto di valori assenti, di sentimenti precari, spesso e volentieri barattati con una sensualità ammaliante quanto velenosa. Molti giovani, oggi, non se la sentono di pensare al futuro, che percepiscono come un ciclopico punto di domanda, da affondare nei liquori o da neutralizzare con la cocaina. Preferiscono non pensarci, forse per paura di capire troppo dalla vita, e di crescere all’improvviso. Guarda caso al loro vuoto esistenziale si accompagna una vertiginosa ignoranza. Non parliamo di un’ignoranza correlata a libri di filosofia ignorati, bensì di quella che san Tommaso chiama la “nescienza”, ovvero la manchevolezza di conoscenze indispensabili, non colmabili con altro. Oltre a questa, comunque, spesso c’è pure un’ignoranza che potremmo chiamare “scolastica”: molti giovani hanno un vocabolario di al massimo cento parole, ignorano Manzoni, Dante, Socrate, Aristotele. Se chiedete loro chi è Leonardo, è facile che vi rispondano che si tratta di un ex giocatore del Milan. E’ accettabile tutto questo? Crediamo di no. Ragion per cui, senza limitarci a biasimare le bravate notturne, dovremmo, tutti quanti, interessarci di più di quei giovani così soli e vuoti, così giovanili nella notte e così vecchi nella vita. Fortunatamente c’è - anche se viene quasi sempre ignorato - un grande gruppo di giovani che non ha smesso di credere nella vita, e che coltiva, con sano realismo, le ambizioni che contano: il matrimonio, la famiglia, i figli. E’ ai loro progetti di vita che la società deve guardare con ammirazione, e investire. Lo deve fare per sé stessa, e anche per coloro che, senza volerlo ammettere, non vivono la loro esistenza con pienezza, ma si limitano a sopravvivere, in eterna attesa.