L'Europa che non vogliamo.
Di Rassegna Stampa (del 17/06/2008 @ 09:56:31, in Politica, linkato 1330 volte)

Il popolo ha parlato chiaro. Subito la "eurocasta" ha reagito. «L'Irlanda, coi suoi 4 milioni di abitanti, sta esercitando un dispotismo»: è lo sbrodolamento d'odio che si legge sul "bollettino" dei Rotschild, Libération. Il giornale, infatti, il giorno del referendum vomitava rabbia e dispr

ezzo contro l'Irlanda (cf. Alain Duhamel, «Le despotism irlandais», Libération, 12 giugno 2008). In ogni caso, i poteri forti hanno ordinato ai loro maggiordomi «politici» di andare avanti con le «ratifiche» fasulle. Barroso, Sarkozy, il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, i nostri Napolitano e Veltroni. In modo più soft – con tonalità diversificate - anche Berlusconi, Fini, Frattini, Tremonti, Mario Mauro, hanno dimostrato la loro preoccupazione e il loro dispiacere. In casa nostra, la Lega Nord, Marcello Pera, Francesco Cossiga, hanno invece mostrato apertamente la loro soddisfazione per questo voto popolare. È notorio che nè i francesi nè gli olandesi nè gli irlandesi sono antieuropeisti. Se hanno detto «no», lo hanno detto ad una direzione e a un metodo che non va nella giusta strada, che non capiscono e non approvano.

Non hanno detto "no all'Europa", ma all'Europa dell' "eurocasta", governata da banchieri ed oligarchi irresponsabili, che recitano su un copione dettato da altri poteri, i "poteri forti". Ed è per questo che la vittoria del "no" in Irlanda è la vittoria dei popoli. È la vittoria dell'uomo della strada. Il Santo Padre, domenica a Brindisi, ha pronunciato parole importantissime, che stonano con quanto – generalmente - si è ascoltato in questi giorni, anche in "casa cattolica". Benedetto XVI ha detto: "Da questo lembo d'Europa proteso nel Mediterraneo, tra Oriente e Occidente, ci rivolgiamo ancora una volta a Maria, Madre che ci "indica la via" - Odegitria -, donandoci Gesù, Via della pace. La invochiamo idealmente con tutti i titoli coi quali è venerata nei Santuari della Puglia, ed in particolare qui, da questo antico porto, la preghiamo quale "porto di salvezza" per ogni uomo e per l'intera umanità. La sua materna protezione difenda sempre questa vostra Città e Regione, l'Italia, l'Europa e il mondo intero dalle tempeste che minacciano la fede e i veri valori; permetta alle giovani generazioni di prendere il largo senza paura per affrontare con cristiana speranza il viaggio della vita. Maria, Porto di salvezza, prega per noi!" (Angelus, 15 giugno 2008). Dato che, in questi giorni, in non pochi hanno affermato che i timori del popolo irlandese erano "irrazionali" ed infondati, riporto un'intervista alla professoressa Marta Cartabia, docente di Diritto costituzionale all'università di Milano-Bicocca, curatrice di un corposo saggio intitolato "I diritti in azione" (Il Mulino), che dimostra proprio tutto il contrario. Intanto l'avanzata della tempesta anti-famiglia avanza. La nuova legge che autorizza i matrimoni tra persone dello stesso sesso è stata approvata l'11 giugno dal Parlamento norvegese con una netta maggioranza di voti.

La Norvegia diventa così il sesto paese nel mondo a concedere agli omosessuali il diritto legale di "contrarre matrimonio" (gli altri sono: Olanda, Belgio, Spagna, Canada, Sudafrica, Massachusetts e California negli Stati Uniti), con tutti i benefici che ne derivano, finora riservati alle coppie eterosessuali. La legge amplia le possibilità di adozione da parte di coppie gay e permette alle lesbiche di accedere all'inseminazione artificiale. Forse è proprio il caso di dire – per alcuni, forse, in ritardo – : "Grazie, Irlanda!". Buona settimana. Giuseppe Biffi

Cattolici in rivolta: Europa contro la famiglia Un dossier denuncia che spesso le sentenze delle corti comunitarie e le direttive anti-discriminazione entrano in contrasto con la Costituzione italiana. «I famosi Dico, le adozioni alle coppie omosessuali, il matrimonio tra persone dello stesso sesso... Tutto ciò che crediamo di aver chiuso fuori della porta del nostro Paese rischia di rientrare ora dalla finestra dell'Europa».

È l'allarme che lancia la professoressa Marta Cartabia, docente di Diritto costituzionale all'università di Milano-Bicocca.

di Andrea Tornielli «I famosi Dico, le adozioni alle coppie omosessuali, il matrimonio tra persone dello stesso sesso... Tutto ciò che crediamo di aver chiuso fuori della porta del nostro Paese rischia di rientrare ora dalla finestra dell'Europa». È l'allarme che lancia la professoressa Marta Cartabia, docente di Diritto costituzionale all'università di Milano-Bicocca, curatrice di un corposo saggio intitolato I diritti in azione (Il Mulino). La studiosa, in sintonia con l'«Association pour la Fondation Europa» (Afe) e con varie realtà del mondo cattolico lancia l'allarme per quello che definisce il rischio di «colonialismo giurisdizionale», vale a dire l'invasione, a suon di sentenze delle corti europee, degli ambiti spettanti alle Costituzioni nazionali. «Teoricamente - spiega al Giornale la studiosa - l'Europa non dovrebbe intervenire in tema di diritto familiare e questo è sancito anche in un protocollo al Trattato di Lisbona. Ma questi argomenti ritornano attraverso altre vie, ad esempio le direttive anti-discriminazione o le sentenze delle corti europee». Nel primo caso, si nota l'attivismo dell'Agenzia per i diritti fondamentali di Vienna, che, come dichiarato neanche troppo velatamente dal suo direttore, il danese Morten Kjaerum, non si limita soltanto a combattere la giusta battaglia contro le discriminazioni nei confronti degli omosessuali nel mondo del lavoro, ma considera «discriminatorio» il fatto che i gay non possano sposarsi o adottare bambini.

«Le direttive anti-discriminazione - afferma la professoressa Cartabia - una volta inserite nel diritto europeo diventano il volano per la richiesta di equiparazione delle coppie gay alla famiglia». Per quanto riguarda invece il caso delle sentenze, basta ricordare quella della Corte europea per i diritti dell'uomo, che all'inizio di quest'anno ha condannato la Francia per aver rifiutato a una lesbica l'autorizzazione ad adottare un bambino (del quale, peraltro, la compagna convivente della ricorrente non aveva alcuna intenzione di occuparsi), stabilendo un risarcimento per danni morali di 10mila euro. O il caso della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, che lo scorso aprile, pur non potendo in realtà intervenire su temi previdenziali, ha dato ragione a un omosessuale tedesco che vi si era rivolto per ottenere la pensione di reversibilità del compagno scomparso, reversibilità non prevista dalle unioni civili in Germania. «Non c'è dubbio - denuncia Giorgio Salina, presidente dell'Association pour la Fondation Europa - che la convergenza di deputati europei appartenenti a diversi gruppi politici, gli intergruppi gay e lesbiche e analoghe organizzazioni europee determinano una forte pressione relativista nelle varie istituzioni ».

Accade inoltre, continua Salina, che «le varie Corti internazionali, incluse alcune Corti costituzionali nazionali, assumano le reciproche sentenze e le risoluzioni del Parlamento europeo quali fonti del diritto, accumulando giurisprudenza. Si tratta di un metodo surrettizio di legiferare attraverso la magistratura aggirando le competenze riconosciute alle varie istituzioni». Nelle scorse settimane, la ministra del Lavoro del governo di Parigi, Rachida Dati, in prospettiva dell'imminente presidenza francese del Consiglio dell'Unione, ha affermato: «Il presidente Sarkozy e il governo francese intendono porre il tema dell'adozione di un diritto di famiglia comune nell'Ue, e ciò per evitare onerosi contenziosi in occasione della libera circolazione dei cittadini nei Paesi membri». Invocare un'uniformità sul diritto familiare significa aprire la questione del matrimonio e dell'adozione per gli omosessuali. Il Trattato di Lisbona, che regola il funzionamento delle istituzioni comunitarie, recepisce anche la Carta dei diritti fondamentali, rendendola vincolante. Non è un caso, fanno osservare Cartabia e Salina, che quel documento «sia aperto a diverse interpretazioni dei diritti relativi all'antropologia umana. Basti ricordare che l'articolo 9 cita il diritto a sposarsi e separatamente il diritto a formare una famiglia». Proprio il tentativo di alcune forze di procedere per via legislativa in sede europea, nel disinteresse generale, potrebbe far rientrare nel nostro Paese concezioni di famiglia diverse da quella sancita nella nostra Costituzione. il Giornale, Mercoledì 11 giugno 2008