Satira 15. 11.2006.
La vicenda della satira nei confronti del Papa ha conosciuto in questi giorni un inasprirsi della polemica; i termini della questione sono grosso modo questi: da una parte si nota come i simboli religiosi non possano essere esposti al pubblico scherno, dall’altra si rivendica l’assoluto diritto di satira, in nome della libertà di espressione.
Ma cos’è la libertà di espressione svincolata dalla realtà dei sentimenti, delle tradizioni, delle culture, insomma della vita? Qualche anno fa lessi di un signore che si presentò ad un funerale e durante il tragitto della salma dalla chiesa al camposanto cominciò a raccontare barzellette, con ciò espletando appieno il diritto di parola. Lo sventurato venne linciato dalla folla inferocita. Qualcosa di analogo accadde quando il tifoso di una squadra di calcio si mescolò agli ultrà avversari e improvvisamente, per festeggiare il vantaggio della propria compagine, si tolse la giacca mostrando orgogliosamente al divisa immacolata del club di appartenenza. In questo caso portò a casa la pelle, pur con varie contusioni, ma il suo comportamento fu giudicato dai più, perlomeno imprudente.
Per certi aspetti, nei casi rappresentati, la folla ha “censurato” due persone che avevano superato un limite tacitamente riconosciuto da tutti. In entrambe le situazioni ciò che ha generato la reazione è la presunta offesa di un sentimento, qualcosa che in senso lato possiamo chiamare sacro, cioè intangibile, sottratto alla presa della nostra volontà di intromissione.
I Codici Civili proprio per questo hanno “da sempre” previsto, per ragioni simili, il reato di vilipendio alla bandiera, o di oltraggio al sentimento religioso; un tempo la bestemmia stessa era oggetto di possibile denuncia. Tutte le culture, perciò, censurano comportamenti e messaggi che possano recare offesa all’intangibilità di alcuni valori “spirituali”. Nel caso in questione, cioè la messa in ridicolo della massima autorità religiosa cattolica attraverso delle gag -peraltro miserelle in quanto a capacità di muoverci al riso- la satira si rivela sempre più come lo specchio di un mondo privo oramai di ogni limite. Si ride dei morti, si ironizza sulle disgrazie, si sbeffeggiano le religioni, con la stessa assenza di pudore che si rivela nei reality show, dove tutto è esposto con l’obiettivo di generare consenso, evasioni, effimero, audience. In nome della creatività senza vincoli dei singoli, lo spazio privato è violato. Con analoghe motivazioni la coscienza religiosa è violata, perché colpendo il Papa si vìola sia un sentimento religioso comune sia il privato sentire di ogni singolo. Questa storia della satira dunque rivela l’arroganza di un potere mediatico oramai in preda al delirio di onnipotenza. Potere che si esercita tra l’altro non contro i potenti, non contro i fautori d’ingiustizia, non contro tutte le forme di integralismo, ma contro chi, per ruolo e autorevolezza morale non può difendersi.
Un elemento positivo però mi pare possa evidenziarsi: le reazioni indignate di molti cittadini rivelano come la nostra società possegga ancore degli anticorpi, delle autocensure che prescindono dalle leggi e che si esprimono nel sentimento di sdegno. Oggi è impensabile parlare di censura come pratica formalmente stabilita, per quanto esistano in molti campi forme di censura indiretta che tacitano coloro che sono considerati dissidenti o scomodi.
Forse, l’unica forma di censura ammessa per il futuro delle società liberali sarà questa: il sentire comune che si indigna e ci richiama alla necessità di un limite.
Saremo capaci, in futuro, di coglierlo questo limite? Se ciò accadrà lo dovremo in parte anche alla forza di stimolo morale della Chiesa. E’ questo, che sta accadendo, ora , mentre discutiamo sulla liceità o meno di certa satira.
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