Le discussioni sul caso Allam stanno appassionando molti...riportiamo la lettera che Gerolamo Fazzini, editorialista di Avvenire, della Rivista Mondo e Missione del PIME, coordinatore della Federazione della Stampa Missionaria Italiana, scrisse ad Allam in occasione della manifestazione "Salviamo i cristiani"...
(senza evidentemente mettere in dubbio la conversione in sè, ma per spiegare il perchè abbia portato con sè discussioni altre...)
LETTERA APERTA A MAGDI ALLAM di Gerolamo Fazzini Caro Magdi Allam, ho letto con grande interesse il suo appello per i cristiani del Medio Oriente. Nel momento attuale - lei scrive - è in gioco non solo la libertà di espressione religiosa, ma la loro stessa sopravvivenza. Concordo pienamente. Come condirettore di una rivista, Mondo e Missione, edita dal PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere), che da sempre ha a cuore la vita e la sorte dei cristiani nel mondo, specie laddove la testimonianza del Vangelo è spesso esposta al prezzo del martirio, non posso non sentirmi profondamente interpellato dal suo gesto. In queste settimane siamo tutti in ansia per la sorte di padre Giancarlo Bossi, rapito nel sud delle Filippine, una zona a larghissima maggioranza musulmana. È la stessa zona di Mindanao nella quale due missionari del Pime sono stati uccisi negli ultimi anni, un altro è stato rapito e uno, minacciato di morte, s'è visto costretto a lasciare il Paese. Se c'è qualcuno che conosce a quali difficoltà si va incontro quando ci si misura con il fondamentalismo musulmano, questi - mi creda - sono i missionari. Per questo, mi rallegro per il fatto che nella manifestazione del 4 luglio prossimo si ricorderà anche padre Giancarlo e la sua drammatica vicenda. Aggiungo una nota in qualche modo autocritica. Debbo prendere atto che, come cattolici, non siamo stati (e non siamo) incisivi come avremmo dovuto nel denunciare la persecuzione anticristiana. Anche il mondo missionario - del quale faccio parte (pur scrivendo a titolo personale, le ricordo che coordino la Federazione della stampa missionaria italiana) - concentrato esclusivamente o quasi sulla denuncia delle ingiustizie sociali e degli squilibri economici, non ha dedicato all'emergenza "libertà religiosa" nel mondo l'interesse e l'attenzione che merita. Non che siano mancati articoli e prese di posizione, ma il punto è che non si è fatto opinione. Di qui a pochi giorni, in verità, uscirà sulle principali riviste missionari italiane un dossier comune, che denuncia la difficile condizione dei cristiani in Libano: un'iniziativa di grande significato, data la complessità della galassia missionaria. Il dossier è frutto di un reportage della collega Anna Pozzi, realizzato lo scorso maggio nella Terra dei cedri, dove ha incontrato leader cristiani, esponenti del variegato mondo ecclesiale locale, nonché leader islamici…
Detto questo, è un fatto che non abbiamo saputo scalfire l'opinione pubblica come si è riusciti a fare in altre occasione e come, mi auguro, accadrà con il suo appello. Il momento attuale è drammatico; occorre, pertanto, un'azione tempestiva e decisa della comunità internazionale in favore dei cristiani del Medio Oriente. Ciò vale in modo particolare per alcuni Paesi (Iraq su tutti), dove la situazione precipita di giorno in giorno. Se, quindi, condivido in pieno l'oggetto dell'appello, la sua impostazione e il tono mi lasciano tuttavia perplesso. Per una serie di ragioni che qui provo a elencare.
1) Trovo parziale la lettura della situazione che lei propone. "Da circa un milione e mezzo prima dell'inizio della guerra scatenata da Bush il 20 marzo 2003 (i cristiani d'Iraq - ndr) si sono ridotti a circa 25 mila". Premesso che le cifre in nostro possesso sono assai diverse (e meno catastrofiche, per quanto preoccupanti), non le viene il sospetto che l'esodo massiccio dei cristiani iracheni in Siria, Giordania e altri Paesi sia una conseguenza diretta dell'intervento militare anglo-americano in Iraq? Non credo di essere accusabile di anti-americanismo di bassa lega se cito alcune dichiarazioni di mons. Fouad Twal, vescovo coadiutore latino di Gerusalemme. Nei giorni scorsi a Venezia, all'incontro del Comitato scientifico di Oasis (la rivista promossa dal cardinale Angelo Scola) Twal ha detto che quando è stata scatenata la guerra in Iraq non è stato calcolato chi ne avrebbe pagato il prezzo, ovvero i cristiani. Un personaggio insospettabile, don Gianni Baget Bozzo ha scritto (Tempi, 14 giugno 2007): "L'intervento americano in Iraq ha distrutto il nazionalismo iracheno (…). Ma quel regime, appunto perché autoritario, lasciava ai cristiani una libertà vigilata che ne consentiva l'esistenza". Dicendo ciò non voglio certo allungare le fila di quanti condannano la guerra in Iraq quasi rimpiangendo il tiranno di Baghdad. (*) Dico solo che la mancanza di pace nell'area ha peggiorato - e di molto le condizioni dei cristiani mediorientali, come ha giustamente osservato nei giorni scorsi anche il direttore di Asia News, padre Bernardo Cervellera. Aggiungo che mons. Paul Hinder, vicario apostolico d'Arabia, nel medesimo incontro di Oasis, a precisa domanda di chi scrive, ha risposto che, anche nei Paesi del Golfo persico, in misura diversa, l'onda d'urto della guerra in Iraq si ripercuote sui cristiani (in larga parte asiatici: filippini, srilankesi, indiani…) che vivono lì. Se tutto questo è vero, permetterà che io mi stupisca nel vedere tra le firme in calce al tuo appello quelle di molte persone che, a differenza di quanto fece Giovanni Paolo II, non solo non condannarono ma giustificarono e appoggiarono con forza la guerra in Iraq.
2) Leggo nel suo editoriale del 15 giugno scorso sul "Corriere". "In quasi tutti i paesi musulmani, dall'Algeria al Pakistan, dall'Indonesia alla Nigeria, dall'Arabia Saudita alla Somalia, i cristiani sono vittime di vessazioni e discriminazioni. E si tratta di una catastrofe per tutti: certamente per le vittime cristiane, ma anche per i musulmani che si ritrovano a essere sottomessi all'arbitrio di spietati carnefici e di tiranni che si fanno beffe della libertà religiosa". Proprio perché sono d'accordo con lei, credo che - se si vuole impostare una battaglia per la libertà religiosa - essa vada fatta su un terreno laico, in quanto diritto umano fondamentale (cfr Giovanni Paolo II, discorso all'Unesco 1980 e recenti interventi di Benedetto XVI). Ben venga, dunque, l'appello a salvare i cristiani. Ma non facciamone una diatriba confessionale (i cristiani che puntano a salvare i cristiani). Oso aggiungere: salviamo (anche) i musulmani laddove essi sono minoranza in difficoltà, preda di altri fondamentalismi (penso all'idologia dell'hindutva, l'integrismo indù molto presente in India).
3) La libertà religiosa è un tema delicatissimo, proprio perché cruciale. Non può essere trattato mai in modo strumentale. Cito solo un esempio illuminante: il rapporto Rapporto annuale sulla libertà religiosa nel mondo redatto dal Dipartimento di Stato Usa e presentato al Congresso. Nel 2004 il 6° Rapporto conteneva per la prima volta dure accuse all'Arabia Saudita, dove "non esiste libertà religiosa". Non mi risulta che tra il 2003 e il 2004 la situazione in quel Paese sia precipitata in modo particolare per i cristiani. Forse, più semplicemente, la spiegazione è che i rapporti politici fra Usa e Arabia Saudita (dopo che si è scoperto che 19 attentatori dell'11 settembre erano sauditi) sono diventati di colpo meno idilliaci e, di conseguenza, Washington si è finalmente presa la libertà di criticare il governo saudita su questo fronte.
4) Mi rimane da capire la scelta della data del 4 luglio. Tutti sanno che quel giorno negli Usa si festeggia l'Independence Day. Ma perché una manifestazione come quella che lei propone si tiene proprio lo stesso giorno? Non vorrà suggerire, spero, che dobbiamo affidare agli Stati Uniti (o solo a loro) la salvaguardia dei diritti di libertà religiosa. Mi parrebbe una strumentalizzazione alquanto infelice. Sono certo che leggerà con interesse queste note. Auguro alla manifestazione del 4 luglio, alla quale hanno aderito anche molte persone amiche e che stimo, il successo che merita. Ma, per i motivi che ho espresso, vi assisterò da lontano. Gerolamo Fazzini, condirettore di Mondo e Missione (*) pensare che il fondamentalismo musulmano sia un effetto della guerra in Iraq è sbagliato o perlomeno semplicistico. Basterebbe leggere "Fedeli a oltranza" del premio Nobel Naipaul, un viaggio nei Paesi dove alligna l'estremismo islamico (Indonesia, Iran Pakistan…) uscito in Italia nel 2001 ma scritto in originale nel 1998. Aggiungo che, a detta di molti esperti, la vera data-spartiacque che segna l'inizio della recrudescenza fondamentalista, ponendo le premesse per un'ostilità anti-cristiana forte, è la rivoluzione iraniana con l'avvento del regime degli ayatollah (1979)
LIBERTA' RELIGIOSA O IPOCRISIA DIFFUSA? Su iniziativa di Magdi Allam giornalista del Corriere della Sera, è partita l'iniziativa per la: "Manifestazione nazionale contro l'esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente e per la libertà religiosa nel mondo" che si è tenuta a Roma il 4 luglio. Essa aveva come slogan: "Salviamo i cristiani". L'iniziativa ha riscosso il plauso e l'appoggio di molti cittadini ed il consenso di diversi politici. L'evento in sé lodevole, aveva al suo interno alcuni risvolti ambigui, di cui il Direttore Gerolamo Fazzini, della Rivista Mondo e Missione del PIME, in qualità di coordinatore della Federazione della Stampa Missionaria Italiana, attraverso una lettera aperta a Magdi Allam, ha messo in risalto l'equivoco di fondo che si nascondeva dietro ad un'iniziativa di questo genere. Fazzini nella sua lettera contesta le cifre che Allam ha utilizzato per promuovere la manifestazione, ma soprattutto sottolinea come: "l'esodo massiccio dei cristiani iracheni in Siria, Giordania e altri paesi, è una conseguenza diretta dell'intervento militare anglo-americano in Irak" e citando Mons. Twal, Vescovo Latino di Gerusalemme, aggiunge che: "quando è stata scatenata la guerra in Irak non si è calcolato che sarebbero stati i cristiani a pagare il prezzo più alto".
Fazzini cita inoltre Mons. Paul Hinder, vicario apostolico d'Arabia, il quale ha affermato che l'onda d'urto della guerra in Irak si è ripercossa sui cristiani (in larga parte asiatici: filippini, srilankesi, indiani, ecc.) che vivono nella penisola arabica. Queste affermazioni, mettono in evidenza come tra chi ha aderito alla manifestazione ci siano state tante persone (in modo particolare i politici!) che a differenza di quanto fece Giovanni Paolo II, non solo non condannarono, ma giustificarono e appoggiarono con forza la guerra in Irak. Come sempre i campioni dell'ipocrisia e della faccia tosta non si smentiscono mai! Citando Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il direttore di Mondo e Missione ricorda che la salvaguardia della libertà religiosa non può essere una lotta confessionale, in quanto -egli afferma- ci si deve attivare per salvare anche i mussulmani là dove essi sono in difficoltà, prede di altri fondamentalismi, vedi l'integrismo indù molto presente in India. La libertà religiosa è un tema delicatissimo, e non può essere trattato in modo strumentale, Fazzini in proposito cita un esempio illuminante: il rapporto annuale sulla libertà religiosa nel mondo redatto dal Dipartimento di Stato USA e presentato al Congresso nel 2004, dove viene esplicitamente detto per la prima volta, con precise accuse, che in Arabia Saudita non esiste libertà religiosa. Siccome la libertà religiosa in quel paese non è mai esistita, la spiegazione sta nel fatto che dopo gli attentati dell'11 settembre alle Torri Gemelle, si è scoperto che ben 19 attentatori erano sauditi e di conseguenza i rapporti tra gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita sono diventati meno idilliaci, quindi Washington si è finalmentre presa la libertà di criticare il governo saudita su questo fronte. Anche la data del 4 luglio non è scevra da qualche sospetto, tutti sanno che in quel giorno negli stati Uniti si festeggia l'Idependance Day, con una punta di ironia Fazzini dice: "spero che non si voglia affidare solo agli Stati Uniti la salvaguardia dei diritti di libertà religiosa, sarebbe una strumentalizzazione alquanto infelice". A margine di tutto ciò non è difficile individuare una doppiezza di atteggiamento che fa il paio con le polemiche suscitate dal sequestro di padre Giancarlo Bossi; nelle centinaia di migliaia di rivoli di cui si nutre Internet, è circolata nei giorni scorsi una lettera diffamatoria nei confronti del Governo Italiano accusato di ritardi e reticenze nella gestione del sequestro del missionario nelle Filippine,in essa s'invitava la gente a mandare una propria foto tessera al Sindaco di Roma, Veltroni, affinché si ricordasse di esporre la gigantografia di padre Giancarlo Bossi sul Campidoglio, così come fece per il giornalista Mastrogiacomo; anche in questo caso il PIME è uscito con un comunicato stampa, dove con tanto di segnalazione del sito internet, veniva esplicitamente affermato che Veltroni il suo dovere lo aveva fatto esponendo la gigantografia di padre Bossi in Campidoglio già da tempo. La stessa sorella del missionario con parole serene e pacate in una intervista al TG1 ha ricordato il fermo impegno della Farnesina in favore del fratello ed ha invitato tutti a rifuggire dalle polemiche in situazioni come queste, ma si sa, c'è gente che non perde occasione per strumentalizzare e sollevare polveroni. Purtroppo, grazie all'incessante martellamento dei mass-media, sono in molti - anche in buona fede - a "bere" queste notizie e a prendere come oro colato le parole delle facce di bronzo che inflazionano i video TV, mai come in questi casi una salutare opera di discernimento è più che mai necessaria, in modo particolare da chi vuole che la verità non venga tradita.
NON DISTRUGGE IL DIALOGO UNICA STRADA PER LA PACE L'arcivescovo cattolico di rito caldeo di Kirkuk, Louis Sako torna a ribadire il perché del no alla proposta di creare un "cantone" cristiano nella Piana di Ninive: nella zona non vi sono strutture necessarie ad ospitare le migliaia di famiglie che arriverebbero, il progetto inoltre nega la cultura del pluralismo e del dialogo, che è invece l'unica soluzione per l'Iraq. Egli fa appello ai leader delle Chiese locali perché prendano una posizione chiara sul futuro dei cristiani. La continua persecuzione che colpisce in modo indistinto e con la stessa ferocia sunniti, sciiti e cristiani, costringendoli all'emigrazione, conferma che "il problema in Iraq è il fondamentalismo" e non uno scontro di civiltà. Per questo la soluzione rimane il "dialogo", senza barriere ideologiche o geografiche. Per questo i cristiani, come iracheni, devono poter continuare a vivere fianco a fianco con i loro fratelli musulmani e non in una zona circoscritta e distinta. È il nucleo della riflessione di mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, che in una lettera a don Renato Sacco, ribadisce le ragioni della contrarietà al progetto della "Piana di Ninive" per i cristiani d'Iraq. Di fronte alle proposte che si susseguono per arrivare alla pace in Irak, dobbiamo essere obiettivi, realistici e prudenti. Il progetto di Ninive è strumentalizzato e rischia di essere indirizzato oggi ai cristiani dell'Iraq, domani a quelli d'Egitto o del Libano. Coloro che premono per la realizzazione di questa utopia sono in maggioranza fuori dall'Iraq e non conoscono la situazione interna: con l'arrivo dei nuovi rifugiati a Nord, non vi è già più posto. Un villaggio che aveva 2mila abitanti ora ne conta 3mila. L'affitto di una stanza costa 200 dollari al mese. Non c'è lavoro, scuole, università, mancano i servizi....Dove e come sistemerebbero le trentamila persone che dovrebbero arrivare da Bagdad, Bassora, Kirkuk e Mosul? I cristiani abituati a vivere in case agiate non riescono a vivere nei campi e sotto le tende! È impensabile paragonare la Piana di Ninive al Kurdistan! Un ghetto per i cristiani comporterebbe scontri senza fine, come quelli a cui assistiamo in Palestina e Israele. Ho incontrato vescovi, preti, leader di partiti in Iraq e quasi la maggioranza di loro è contraria a questo progetto. Noi cristiani siamo una componente fondamentale nella storia e nella cultura irachena. Siamo una presenza significativa nella vita del Paese. Ci sentiamo iracheni a tutti gli effetti. La nostra identità s'è formata e si forma all'interno di una storia e di una tradizione cristiana! Abbiamo resistito alle minacce e alle persecuzioni, nel corso della nostra storia e abbiamo trovato il modo per continuare a vivere e testimoniare il Vangelo nella nostra terra. La nostra Chiesa è una chiesa martire, è il suo carisma! Il problema non è fra cristiani e musulmani; il problema è il fondamentalismo, che esclude l'altro e lo annienta per motivi religiosi, etnici, ecc...La soluzione è incoraggiare la cultura del pluralismo, aiutare la gente a riconoscere l'altro come una persona umana, con un valore assoluto, accettarlo come fratello, e collaborare con tutti per una società migliore, basata sul rispetto dei diritti fondamentali. Creare "cantoni" chiusi per i cristiani o per le altre comunità è una catastrofe per il nostro mondo. Se si vuole la pace, i musulmani saggi e moderati, come pure i leader cristiani, devono aiutare la gente semplice a integrarsi nella società contemporanea. Dveono aggiornare il discorso religioso predendo in considerazione le realtà presenti. D'altro canto anche il discorso politico deve rispettare la volontà dei popoli e i loro diriti. Non c'è altra soluzione. Mons. Louis Sako Arcivescovo Caldeo di Kirkuk