Già, la legge n. 194 del 1978, comunemente nota come legge sull’aborto, ha introdotto questo inedito “tertium” tra i due grandi estremi dell’avventura umana. La persona nasce, invecchia e muore, ma può anche essere “interrotta”, quasi poi potesse “ripartire”. Per la verità il soggetto di questa terza possibilità, a detta della legge, non è la persona, ma la gravidanza; è chiaro comunque a chiunque la legga, che c’è un individuo, oltre al processo fisiologico, che subisce questa interruzione. Si può infatti interrompere un processo biologico come la circolazione del sangue o come la dialisi renale senza produrre la morte del soggetto?
E’ evidente perciò che anche in questo caso tertium non datur: o si vive o si muore. E’ strano, ma si ha la spiacevole sensazione che l’aborto venga presentato dal nostro sistema giuridico come un interruttore elettrico che si posiziona temporaneamente su “off”, per mascherare di tecnicismo il crudele evento che si provoca al proprio figlio. Già, perché di figlio si tratta. Che sia composto di due cellule o di mille, che abbia già l’abbozzo del sistema nervoso o che l’abbia già completato, che misuri un micron o che misuri già dieci centimetri: è figlio di una donna e di un uomo che hanno un nome ed un volto.
Finalmente, dopo un tempo troppo lungo (un miliardo di aborti legali nel mondo), Giuliano Ferrara ha riaperto la questione di fondo, riproponendo la vera domanda, cui nessuno può sottrarsi, laico o credente, di destra o di sinistra: “che cosa accade veramente durante un aborto? Non si sopprime la libertà di nascere?” All’inizio del terzo millennio dell’era cristiana, dopo la foto della fecondazione, l’ecografia della “camera con cuore” alla settima settimana, le ecografie tridimensionali del feto, la misurazione dei singoli organi e dei singoli arti, il monitoraggio continuo di ogni istante dello sviluppo, come non sentire la necessità di rivedere l’”interruzione volontaria della gravidanza” in termini più realistici e più aderenti alla condizione del nascituro? Perché non può essere laico chiedersi chi tutela e come tutelare anche i diritti del “concepito”, così come vengono del resto espressamente citati dalla legge n. 40, quella sulla fecondazione medicalmente assistita? L’ obiezione tipica degli abortisti relativa alle ridotte dimensioni del concepito sono oggi assolutamente fuori dalla realtà: l’uomo non si misura a peso o a volume e nemmeno a età, in alcun contesto sociale: egli è tale per natura, così come accade in tutto il mondo animale e vegetale, e lo è dall’inizio alla fine della sua avventura. La domanda poi su quando inizi ad essere persona umana può essere per certi versi un alibi, utilizzato per nascondere la sostanza delle cose dietro ad un sistema di parole: di fatto, e qui potremmo ritrovarci tutti, filosofi e non, il concepito è la prima cellula del nostro corpo.
E non è una cellula qualsiasi, come lo è un epatocito o un neurone: è una potenza di vita prepotente che sa cosa deve fare e lo esegue alla perfezione, senza alcun intervento dall’esterno, originando miliardi di cellule in poche settimane, ognuna al suo posto. Tutte le cellule del nostro corpo derivano da quella prima cellula, per semplice divisione binaria. Non abbiamo altro modo per venire al mondo. Uccidere le prime cellule significa uccidere tutte le cellule. Uccidere lo zigote significa allora uccidere un uomo. Sembra che il passaggio dal piccolo al grande, dal micro al macro, sia una legge universale non solo in biologia. Anche l’Universo è nato da una condizione iniziale di altissima energia e densità confinate in uno spazio di dimensioni tendenti a zero, come dicono gli astrofisici. In quello “stato singolare” era già presente il tutto. Da un big bang è nato l’infinito Universo attuale, a seguito di una espansione che continua ancor oggi ed è perennemente controllata anche per consentire la vita. La fecondazione è quel big bang che contiene già tutto; da quel processo scaturiscono nuove dimensioni, inattese ed imprevedibili: la natura esige rispetto per le sue cifre, per i suoi tempi e per le sue leggi. Perché non tenerne conto? Vorrei concludere ora la mia riflessione con un’altra domanda, di altra natura, che prescinde dallo stesso testo di legge e che, credo sia condivisa da tanti di noi: “che cosa accadrebbe se tutti i medici si dichiarassero obiettori di coscienza su questa pratica?” Che cosa dicono i medici a questo proposito? Il loro statuto deontologico prevede la somministrazione di una “interruzione” della vita ad un paziente? Anche in questo caso la nostra ragione non può non andare in crisi. Si potrebbe fare molto di più, sono convinto, per salvare tante vite umane che non meritano in alcun modo di non poter nemmeno vedere la luce, che è quel minimo che la comunità civile possa garantire ai suoi nuovi membri.
Si dice che nessuna donna abortisca volentieri; se questo è vero, perché non cercare di unire le forze di tutti, quelli che non vogliono l’aborto e non lo fanno e quelli che non lo vogliono ma lo fanno, per salvare la vita nascente, anche fosse una sola in più, e nel contempo per confermare alla mamma quella dignità che nessuno vuole e può toglierle? Si fanno sforzi enormi per salvare un panda o una balena; non si può fare per uno di noi? Bisogna farlo oggi, però, non domani. Sarà sempre troppo tardi per tante donne che soffrono e per tanti bambini che non potranno mai nascere!