Assaggi 21: Del perché la punizione (pena di morte compresa) sia un bisogno dell'anima umana (Simone Weil)
Di Bernardo (del 30/12/2007 @ 19:51:01, in Assaggi, linkato 1611 volte)
È stata recentemente approvata la famosa moratoria ONU sulla pena di morte. Grande giubilo delle forze sinistrorse e/o anticristiane. I Radicali, dopo aver perseguito per decenni la condanna a morte degli innocenti (aborto, eutanasia, eccetera), ottengono finalmente l’assoluzione per i colpevoli. Nel mondo alla rovescia che costoro vogliono inaugurare, un provvedimento simile non fa una piega. Ma i cristiani? La soddisfazione di molte organizzazioni cattoliche e di uomini di Chiesa per l’abolizione della pena di morte è incomprensibile. Da Socrate a Tommaso d’Aquino ad Antonio Rosmini, la grande filosofia occidentale approva la pena di morte, considerata come una vera e propria esigenza di giustizia e di carità al contempo. La Tradizione della Chiesa, concorde in questo con il comune sentire di tutte le culture religiose e tradizionali dell’umanità, non ha mai avuto nulla da eccepire (così come moltissimi Santi). Riporto qui un brano di Simone Weil sulla punizione come bisogno (e quasi diritto) dell’anima umana, datato 1949, che può aiutarci a ragionare al di là del sentimentalismo e dell’emotività.

«La punizione è un bisogno vitale dell’anima umana. È di due tipi: disciplinare e penale. Le punizioni del primo tipo offrono una sicurezza contro quelle mancanze nei confronti delle quali la lotta sarebbe troppo estenuante se fosse priva di un sostegno esteriore. Ma la punizione più indispensabile all’anima è la punizione del delitto. Col delitto l’uomo si pone da sé al di fuori di quella rete di obblighi eterni che uniscono ogni essere umano a tutti gli altri. Egli può esservi reintegrato soltanto con la punizione; interamente, se v’è consenso da parte sua, e parzialmente se non ve n’è.
Come il solo modo di testimoniare rispetto a chi soffra la fame è dargli da mangiare, così l’unico modo di testimoniare rispetto a chi si è posto fuori della legge è reintegrarlo nella legge sottoponendolo alla punizione che essa prescrive.
Il bisogno di punizione non è soddisfatto quando il codice penale, come avviene di solito, sia solo una procedura di costrizione mediante il terrore.
La soddisfazione di questo bisogno esige anzitutto che quanto riguarda il diritto penale abbia un carattere solenne e sacro; che la maestà della legge si comunichi al tribunale, alla polizia, all’accusato, al condannato, e che questo avvenga persino nei casi poco importanti, purché comportino privazione di libertà. Occorre che la punizione sia un onore, che non solo cancelli la vergogna del delitto, ma venga considerata un’educazione supplementare a essere maggiormente devoti al pubblico bene. Occorre anche che la gravità della pena risponda al carattere degli obblighi violati e non all’interesse della sicurezza sociale.
La sconsideratezza della polizia, la leggerezza dei magistrati, il regime delle prigioni, il declassamento definitivo dei pregiudicati, la scala delle pene che prevede una punizione assai più crudele per dieci furti insignificanti che per uno stupro o per certi assassinii, e che inoltre prevede punizioni per il semplice incidente, tutto ciò impedisce che esista fra noi qualunque cosa meriti il nome di punizione.
Per gli errori come per i delitti, il grado di impunità deve aumentare non quando si sale ma quando si scende la scala sociale. Altrimenti le sofferenze imposte sono sentite come costrizioni o persino come abuso di potere, e non costituiscono punizioni. La punizione esiste solo se, in un qualche momento, foss’anche quando tutto fosse finito e quindi nel ricordo, la sofferenza si associa alla coscienza della giustizia. Come il musicista desta con i suoni il sentimento della bellezza, così il sistema penale deve destare nel delinquente il sentimento della giustizia mediante il dolore, o persino, se occorre, mediante la morte. Come dell’apprendista che si è ferito diciamo che il mestiere gli è entrato in corpo, così la punizione è un metodo per far entrare la giustizia nell’animo del delinquente mediante la sofferenza nella carne.
Il problema della procedura migliore per impedire che si stabilisca nelle alte sfere una cospirazione volta a ottenere l’impunità è uno dei problemi politici più difficili da risolvere. Può essere risolto soltanto se uno o più uomini hanno l’incarico di impedire tale cospirazione e si trovano in una situazione tale da non essere tentati di farne parte».
(da Simone Weil, La prima radice. Preludio ad una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano)