Dalla comunità internazionale una speranza per il Medio Oriente.
La comunità internazionale fornirà al popolo palestinese oltre sette miliardi di dollari di aiuti finanziari, due in più dei cinque che l'Autorità palestinese (Ap) aveva sollecitato per evitare la "catastrofe totale" nei Territori.
L'annuncio è stato dato ieri al termine della conferenza dei Paesi donatori a Parigi, il primo appuntamento previsto nel vertice di Annapolis un mese fa. Principale finanziatore è l'Unione europea, che stanzierà 650 milioni di dollari in tre anni. Tra gli altri, gli Stati Uniti daranno 555 milioni nel 2008, mentre dalla Gran Bretagna arriveranno 490 milioni divisi in tre anni, dalla Spagna 360 milioni, dalla Francia 300 milioni, dalla Germania 300 milioni, dall'Italia 270. Ingente anche l'impegno dell'Arabia Saudita, che darà 500 milioni di dollari. I sette miliardi serviranno per finanziare un piano di sviluppo finalizzato a dotare un futuro Stato palestinese di istituzioni solide e di un'economia vitale.
Il primo ministro Ap, Salam Fayyad, ha salutato il risultato come un "voto di fiducia" dei donatori internazionali nei confronti del suo Governo e dell'Autorità palestinese, in contrasto con il movimento estremista Hamas, che nel giugno scorso ha preso il controllo della Striscia di Gaza estromettendo i rivali di Al Fatah. "Il vero vincitore è lo Stato palestinese", ha detto il ministro degli esteri francese, Bernard Kouchner, chiudendo la Conferenza di Parigi. È un'iniziativa - ha sottolineato il titolare del Quai d'Orsay - che si pone "in continuità" con quella di Annapolis, "è stata una conferenza dei donatori, ma era anche molto politica".
Da parte sua, Abu Mazen ha sollecitato consistenti aiuti finanziari, ma è tornato anche sulle questioni politiche fra palestinesi ed Israele, chiedendo a Tel Aviv di fermare "tutti gli insediamenti senza eccezione" nei Territori. "Mi aspetto anche - ha aggiunto - lo smantellamento delle 127 colonie create dal 2001, la riapertura delle istituzioni palestinesi chiuse a Gerusalemme, la rimozione dei posti di blocco militari, l'interruzione della costruzione della barriera di separazione e la liberazione dei prigionieri". Gli ha risposto subito il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni: "Per arrivare alla pace, la sicurezza d'Israele deve essere un interesse palestinese, proprio come uno Stato palestinese è un interesse israeliano". Al vertice è intervenuto anche il segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, che ha definito la Conferenza di Parigi "letteralmente l'ultima speranza del Governo palestinese di evitare il fallimento".
Nel frattempo, ieri, funzionari governativi israeliani hanno dichiarato alla Reuters che Israele continuerà a costruire in Cisgiordania, nelle zone incluse negli insediamenti, ma non permetterà un ulteriore aumento del numero delle colonie. Uno di essi - parlando sotto copertura di anonimato - ha affermato che per Israele il "congelamento della colonizzazione" vuol dire impegno a non costruire nuove colonie, "il che non impedisce la confisca di altra terra ai palestinesi ad uso degli insediamenti già esistenti". Tel Aviv, inoltre, darà incentivi economici ai cittadini israeliani che vogliano trasferirsi nelle colonie.
Le affermazioni dei funzionari israeliani non giungono a caso. Poche ore prima, in un vertice tenutosi a margine della conferenza di Parigi, il Quartetto negoziale per il Vicino Oriente, che include Onu, Ue, Usa e Russia, ha nettamente bocciato i piani di costruzione israeliani. Tutti i membri dell'organismo internazionale hanno "espresso preoccupazione per le 307 abitazioni che sorgeranno nel quartiere di Har Homa/Jabal Abu Ghneim", un sobborgo di Gerusalemme est. Secondo i mediatori di Madrid si tratta di una mossa che viola esplicitamente lo spirito della conferenza di Annapolis dove si era deciso "che tutte le parti si astenessero dal compiere passi che potessero minare la fiducia e minacciare il risultato di negoziati per uno status permanente di pace per il Vicino Oriente".
Dieci giorni fa Israele aveva annunciato la costruzione di trecento nuovi appartamenti ad Har Homa (Jabal Abu Ghneim, secondo i palestinesi), l'insediamento israeliano nella periferia di Gerusalemme est collocato tra i due villaggi palestinesi di Umm Tuba e di Sharafat, a ridosso della barriera di separazione. La decisione aveva scatenato le critiche dell'Autorità palestinese e degli Stati Uniti, secondo i quali essa costituiva un'aperta violazione della Road Map, il programma di pace del Quartetto stabilito nel 2003.
(©L'Osservatore Romano - 19 dicembre 2007)
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