Il grido del ragazzo 28. 10 .2006
Di Marco Luscia (del 02/11/2006 @ 17:09:08, in Religione, linkato 1415 volte)
“Ci avete reso teppisti di mezza tacca perché non siete forti abbastanza. Non ci avete indicato nessuna strada che abbia un senso, perché questa strada voi stessi non l’avete e non siete riusciti a cercarla.” Queste sono le parole di un giovane maturando tedesco; esse rivelano il vuoto morale, l’assenza di radici, la condizione di abbandono cui sono spesso relegati i giovani da generazioni di adulti, “che per non condizionarli”, hanno smesso di educarli. Ma dalla voce del ragazzo si leva un grido: aiutateci! Cosa rispondiamo a questo ragazzo? Oltre la buona volontà dei singoli, cosa rispondono le istituzioni? Si avverte un gran silenzio, l’unica voce che si leva forte e chiara è quella del Papa. Gli intellettuali “laici” sembrano assillati da un solo problema: che i pronunciamenti della Chiesa non turbino la purezza della laicità; essi sembrano non vedere la crisi che attraversa le generazioni: la perdita della speranza, della capacità di progetto, del valere della rinuncia. Essi non vedono o non vogliono vedere, che l’unico valore rimasto è l’individualismo. Essi parlano di società multiculturale e perciò relativista, confondendo il relativismo con la Babele. Si parla di morale soggettivista, si parla di rispetto della persona, ma non ci si rende conto che la prima vittima del soggettivismo morale è la persona stessa che si trova a vivere in un deserto privo di riferimenti e vittima di ogni seduzione. Se qualcuno parla di riscoperta delle radici ebraico-cristiane rischia di infastidire persino certi ambienti cattolici “progressisti”, tanto preoccupati di occultarle, le radici, e di scomparire nel mondo, con ciò credendo di andargli incontro, al mondo, di essergli più graditi. Ma il ragazzo “del grido”, ha bisogno di vedere, di sentire, di incontrare, di parole forti, di preti forti, di maestri forti, proprio come Benedetto XVI. Il ragazzo non sa che farsene di amiconi stralunati e scettici, tristi e dubitanti di tutto. Non gli importa nulla della “democrazia nella chiesa”, egli, oltre la fecondità dei dubbi, vuole delle scelte, vuole delle proposte e rivendica una direzione. I “sacerdoti della laicità”, i sacerdoti dello stato neutrale, delle leggi neutrali, declamano i principi racchiusi nella carta costituzionale; li dicono sufficienti per delineare “la pubblica morale”. I “sacerdoti della laicità,” enunciano belle parole: rispetto, diversità, giustizia, uguaglianza, diritti. Ma esse, le parole, restano flatus voci, perché non si incarnano in un sentire comune, perché sono troppo generiche. Un tempo, quando furono fissate nella carta costituzionale non era così; ma un tempo, laici e cattolici sentivano nello stesso modo, si intendevano sull’essenziale. Perché erano cristiani nello spirito, tutti, per dirla alla Benedetto Croce. Ma oggi, il sentire non è comune, è dilagata la cultura radicale, è dilagato l’individualismo; e le macerie le vediamo. Su tematiche un tempo condivise oggi si dibatte, vacillano i dati elementari che qualificavano la persona, la famiglia, il senso del procreare, la vita, la morte. Gli accordi si raggiungono soltanto attorno ai grandi proclami su pace e giustizia, proclami irrilevanti per la quotidianità dei più. Spesso l’amore per il lontano maschera l’odio per il vicino. La laicità si è ridotta ad una mera regolamentazione degli interessi contrapposti e la verità è ritenuta irraggiungibile dalla ragione, declassata al rango di convenzione mutevole con il tempo e con le mode. Questa idea di laicità, nata con la rivoluzione francese, ha un vizio d’origine, essa nasce contro il passato, contro la tradizione, contro le religioni, contro la Chiesa. Da allora, il dogma della stato laico si è librato su tutto, animato intimamente dall’idea di rifare il mondo ex novo. Uno dei frutti di questa idea è oggi l’individualismo. Per esso, i diritti dei singoli, stanno dilagando ed erodendo ogni terreno comune, perciò l’uomo è sempre più solo. Da molte parti perciò, si affaccia sulla scena pubblica la rivendicazione di una riscoperta dell’Ethos comune e questo bisogno è sollecitato con forza, tra gli altri, dalla Chiesa Cattolica. Ma la vecchia idea di laicità non muore, e questo è il motivo per il quale da certi ambienti ogni pronunciamento ecclesiastico è visto con sospetto se non inviso. Per lo stesso principio di laicità, ogni espressione della civiltà cristiana che osi uscire dal privato deve essere represso, additato come confessionale, intollerante, contro la libertà di coscienza. Ma cosa resta dei valori senza l’apporto cristiano? “La politica senza teologia è assurda. Tutto ciò che ha a che fare con la morale e con l’umanità fa riferimento al messaggio biblico.” Queste sono parole di Horkheimer, neo marxista co- fondatore della scuola di Francoforte. Lo stato laico neutrale, come ben visibile è destinato alla rovina, alla decomposizione del proprio tessuto sociale, perché i valori condivisi saranno sempre meno. Conflitti fra leggi, gruppi di pressione, principi costituzionali, gruppi religiosi spontanei, seduzioni mediatiche e commerciali, genereranno una situazione di lotta perenne e la resa di ogni principio morale al criterio dell’utile. Oltre le costituzioni credo vada ricostruito un comune patrimonio morale. Per fare questo, non solo è necessario tornare all’educazione correttamente intesa, ma pure riscoprire le virtù che sono il mezzo attraverso cui i principi vengono tradotti in azioni. Le virtù dovrebbero tornare al centro del dibattito pubblico. E’ necessario un nuovo patto fra credenti e non credenti accomunati da un concetto di laicità diverso, nuovo, capace di valorizzare gli apporti del cattolicesimo, delle grandi tradizioni religiose e della parte migliore dell’umanesimo laico. Di questo, penso, il Papa si sia fatto interprete, con coraggio e determinazione riportando l’essere cristiani fuori dal tempio, riproponendo, nell’agorà del pensiero, la bimillenaria sapienza cristiana, perché tutti possano trarne beneficio. Questo significa rispondere al grido del ragazzo. Il futuro è l’origine direbbe Gadamer, non dimentichiamolo.