Memorie e trasgressioni di un italiano cardinale
Di Caius (del 27/11/2007 @ 21:31:44, in Cultura e società, linkato 1564 volte)
Non è cosa comune leggere oltre seicentopagine e rimanere persuasi che se ce ne fossero state delle altre le avresti lette volentieri. E’ un fatto raro, e meriterebbe, secondo il dettato evangelico, convocare gli amici per far festa perché ciò che nelle colme librerie non pare esserci, in realtà c’è. Mi è accaduto di leggere “Memorie e digressioni di un italiano cardinale” durante un corso di esercizi spirituali. In quel silenzio raccolto e pensoso, molti, vedendomi così avvinto dalla lettura, si son fermati stupiti, chiedendomi quale libro fosse così appassionante. In realtà, non ha nulla di avventuroso e a dire il vero non è neppure scritto per questo scopo. E’ stato scritto da un uomo che ha avuto la ventura di diventare cardinale secondo un percorso in cui “tutto è piccolo – sono parole sue - normale, scontato. A chi può interessare una vicenda umana senza sbalzi, senza emozioni, senza avvenimenti particolarmente drammatici?”. Eppure diversi hanno indugiato sulla mia prolungata lettura, forse attratti da quei due volti convocanti, in stile “Zio Sam: I want you” che compaiono sulla copertina e sul retro del malloppo e “per tutta la regione si discorreva di tutte queste cose”. Qualcuno perfino mi ha chiesto: “scusi, quanto costa?” Capisco non è una consueta recensione. I miei sono per lo più pensieri attorno a questa voluminosa opera mnemonica di un singolare italiano. Cardinale, ma pur sempre e primariamente italiano. Giacomo Biffi è uomo spassoso, ironico, un po’ impertinente e un po’ trasgressivo, ma è un uomo eccezionale pur in quella normale e quasi banale vita che egli si attribuisce. Il suo è il fascino di un uomo certo. Mentre leggi della sua nascita e dei suoi primi trascorsi in Via Paolo Frisi 8, avverti che c’è in quelle pagine una letizia, uno sguardo ilare sulle circostanze più svariate della vita, una serenità, una pace che non può che essere l’esito di una certezza. La sua fortuna è stata quella di crescere dentro alcune cose certe, fino a sentir crescere questa certezza dentro di sé. Mi spiego. “Noi potevamo giocare liberamente entro giardini pubblici senza incontrare pericoli e senza suscitare obiezioni delle nostre madri, in grazia dell’alta cancellata di ferro battuto che delimitava quel parco”. E’ il ricordo dei giochi all’aperto resi possibili dalla solenne protezione delle inferriate (ovviamente sotto lo sguardo vigile di alcuni sorveglianti) al fine di tenere lontani i malintenzionati. Quando queste “gabbie” sono state rimosse, i giardini hanno visto mutare progressivamente il genere di frequentatori (drogati, punkbestia, innamorati focosi) e – conclude il nostro italiano – “sono diventate infrequentabili, precluse ai ragazzi, ai pacifici anziani”. Alcune recinzioni semplici hanno garantito che il parco giochi fosse appunto per il gioco nel parco. Da qui l’elogio delle recinzioni e dei cancelli che permettono alle cose di essere se stesse e di avvalorare la libertà dei bambini. Un'altra fortuna - la definisce addirittura imparagonabile - è stata quella di avere “una madre dedita totalmente a noi”. E per di più, “avevamo solo due genitori”, ma bastavano. Comprendete quando dico che “ è cresciuto dentro alcune cose certe”. Una certezza che molti nostri ragazzi non possono nemmeno più sperare di godere. Nati nell’incertezza, destinati a crescere nella più perspicace precarietà. Un'altra certezza in un cui il nostro giovane ragazzo ha potuto crescere si trova in Via Francesco Redi 21. Questa penso che sia ancora una fortuna plausibilmente conseguibile per chi lo volesse. A quel numero civico, di quella precisa via, c’è infatti l’Oratorio san Giuseppe. Qui, oltre che nella parte posteriore del numero 8 di Via Frisi, Giacomo è cresciuto in un ambiente bello, gioioso, libero, desiderabile, atteso per il quale valeva la pena ogni sacrificio pur di essere della banda. Dunque, in queste certezze il ragazzo, cui già non difettava l’amore per il Pinocchio di Collodi e più ancora dell’Orlando Furioso di Ariosto, è cresciuto. Il Seminario di Vengono ha fatto poi il resto. Dentro alcune cose certe che presto sono divenute, in lui, certezze. La certezza che Dio è Padre il cui disegno di salvezza per l’umanità, l’ha pensato sin dall’eterno, prima ancora di creare l’uomo e di vedere questi rovinarsi per una mela o poco più. L’ha pensato in Cristo Salvatore. Perché questa devozionale aggiunta di Salvatore, direte voi? Non bastava dire “l’ha pensato in Cristo?”. No, non è devozionale. Per il Giacomo italiano, non ancora cardinale, Dio ha creato una creatura da poter salvare. E quindi ha pensato al Figlio “per mezzo del quale sono tutte le cose”. Al Figlio, propriamente e immediatamente, Crocifisso e Risorto, Redentore dal male, Salvatore di tutti. Sant’Ambrogio avrebbe detto “Creò il cielo e non leggo che si sia riposato, creò la terra e non leggo che si sia riposato; creò il sole, la luna, le stelle e non leggo che nemmeno allora si sia riposato, ma leggo che ha creato l’uomo e che a questo punto si è riposato, avendo un essere cui rimettere i peccati” (Exameron 6,10,76). La certezza che gli origina una letizia e una luminosità che emergono anche dal nero inchiostro della penna, è dunque svelata: la Misericordia di Dio, la salvezza di Cristo Signore, lo svelamento del disegno del Padre nella Chiesa-Sposa, il senso della nostra esistenza. Un uomo certo, nel con-certo del pensiero debole, è una rarità. Per questo varrebbe la pena incontrarlo. Il resto del libro uno può anche non leggerlo. Anzi anche quello che sta davanti al resto, può non compiere la fatica di leggerlo. Basta che sia già pacificato e rasserenato da questa prodigiosa consapevolezza. Altrimenti, conviene accostarsi a questa mole di leggerezza, di simpatia, di sapienza cristiana. Dio ha pensato bene di dargli una cittadinanza italiana, in Via Frisi, appunto, poi una ecclesiale prima della gloriosa chiesa ambrosiana o borromaica e poi successivamente, quella petroniana. La lettura almeno nella prima parte scorre veloce. Durante i suoi anni milanesi c’è anche una storia civile fatta di sangue, di attentati, di paura e un’eccelsiale costituita dalla morte del Card.Beato Schuster, dall’elezione del card. Montini e Colombo a Milano e Roncalli e Montini, sul soglio di Pietro. Durante la stagione bolognese tutto è invece molto pacato. Tutto ciò che avviene, accade a Bologna per cui dopo un po’ di pagine, compreso il botto di fine millennio con l’elezione del “capo dei macellai” Guazzaloca, a Sindaco della città Rossa, tutto appare un po’ monotono . In queste pagine mi sarei aspettato qualcosa di più. Ci piaceva di più la stagione milanese un po’ più articolata, diversificata e vasta. Ma si sa, gli anziani ricordano maggiormente le cose del passato, mentre le memorie più recenti cominciano a sbiadirsi. Rimane straordinario, per chi volesse rifarsi il palato, il campionario di testi, di omelie, di interventi dell’epopea bolognese. Bellissime sono poi, alcune pagine di amicizia vera, sincera come quelle con don Luigi Giussani o Giuseppe Lattanzio o Ines Biffi o Divo Barsotti. Traboccanti di riconoscenza sono quelle pagine del cuore in cui si fa memoria dei propri maestri di vita, umana, cristiana, sacerdotale, teologica. Mentre uno legge tali sentimenti fissati oltre che su carta anche sul cuore, viene spontaneo un moto di gratitudine a Dio per la bellezza delle relazioni ecclesiali quando queste sono sostenute dalla medesima certezza di fede, speranza e carità. Concludo con qualche punta di peperoncino. Da un testo che reca come titolo non solo memorie, ma anche digressioni per di più di un “italiano cardinale”, uno si aspetta quantomeno qualche gossip. In realtà, non è così, ma qualcuno trapela neppure troppo velatamente. Ne cito quattro. 1) Dossetti. A lui Monsignor Biffi riserva, un po’ qui un po’ là, qualche ironia. Gli rimprovera in una sua interminabile prefazione ad un libro sulla strage di Marzabotto (BO), di non aver fatto cenno, pur avendo passato in rassegna ogni forma crudele di crimine, alle morti di moltissimi preti e laici da parte del potere rosso. Oppure quando asserisce che non si può attribuire a Dossetti la qualifica di teologo, tantomeno, ma sono parole di Pertini, di politico. 2) A Lazzati, rettore dell’Università Cattolica di Milano, rimprovera di aver fiancheggiato i pro-divorzisti facilitandoli nella loro opera persuasiva. “Bell’università cattolica, veniva da dire, e bell’esempio di coraggiosa militanza ecclesiale”. 3) All’Azione Cattolica che non viene citata testualmente, ma di cui si capisce l’indigestione per una scelta religiosa, poco coraggiosa e molto ideologica; 4) A Giovanni Paolo II quando a proposito dell’esplicita richiesta di perdono che il Papa aveva in mente di compiere durante il Giubileo del 2000, il Cardinale lo ammonisce che in questo modo sarebbero stati scandalizzati in molti. Il Papa risponde che ci avrebbe pensato. Conclude serafico il nostro: “Purtroppo non ci ha pensato abbastanza”. Ce ne sarebbero molti altri di aneddoti divertenti, sagaci e bizzosi, ma sarebbe inopportuno replicare in un insolita recensione come questa la prolissità dossettiana. E poi, come dicevo a quel tale: “Costa solo 23 euro”.