Il direttore e il professore
Mentre riconosco l’intelligente analisi sul concetto di laicità proposta dal direttore Giovanetti, non posso ancora una volta che rilevare l’inadeguatezza delle argomentazioni di Rusconi.
Da una parte, il direttore, auspica prenda piede un responsabile e sereno dialogo fra credenti e non sui grandi temi che interessano l’uomo contemporaneo e il suo destino; dall’altra, il professore, che bene o male ancora una volta bacchetta la Chiesa nonché quelli che egli definisce, i clericali- seguendo il ragionamento del professore anche il Papa rientrerebbe in questo termine dall’accezione chiaramente spregiativa-. Certo, i due “ contendenti”, sulle colonne dell’Adige disputano in punta di fioretto, ma le loro posizioni sono estremamente distanti.
Quello che però più stupisce è che nelle parole del laico e tollerante professore vibra l’accento di una chiusura totale ad ogni possibilità di dialogo. Egli infatti è troppo certo del ruolo ingerente della Chiesa, egli è troppo convinto che la morale cattolica sia una morale imposta per via normativa e perciò, se non irrazionale, perlomeno viziata dalla pretesa di imporsi.
Ma questo non è vero, la teologia morale cattolica è invece una ragionevole proposta che si prefigge di stimolare l’intelligenza di tutti gli uomini, credenti e non, che abbiamo a cuore la ridefinizione di un Ethos minimo e non negoziabile sul quale possano piantarsi le regole della nostra convivenza.
Rusconi afferma come esista oggi non una crisi di valori ma semmai una ricchezza di valori in contrasto fra loro. In questo caso mi pare si confondano i valori con i desideri, con il sentire dei singoli che spesso si esprime nella rivendicazione di un diritto. Sembra semmai oggi esista un solo valore considerato inviolabile: il soggettivismo.
L’individualismo edonista è una “fabbrica di diritti” che altro non sono che l’espressione di sempre nuovi desideri e questo perché è andato smarrito il riconoscimento dell’altro, del prossimo e perciò della dimensione comunitaria.
La nostra è sempre più una società di individui e non di persone, in cui ciascuno persegue il proprio interesse momentaneo, perciò in essa il conflitto sarà permanente e il dialogo ridotto ai minimi termini, perché i più perseguiranno il proprio “diritto-valore” ad ogni costo.
E per questo i cittadini si appellano al “vuoto della politica”, fabbrica di privilegi, la quale non altro fa che regolare il conflitto che percorre la società dei diritti ipertrofici.
Forse è proprio questo l’esito di una certa idea di laicità: la rinuncia a qualsiasi idea forte e la presenza di un corpo sociale in cui le regole elementari di convivenza e rispetto dovranno essere imposte per decreto perché più nessuno sarà in grado di riconoscere i valori.
E’ questo lo sbocco di un pensiero che rinunciando al concetto di verità, non foss’altro intesa, come possibilità e ricerca continua, ha trasformato i valori e gli umani diritti nel frutto di contratti e convenzioni in cui prevale il “valore” che ha la forza di imporsi. Ma i contratti, anche i contratti sociali, se non nascono da un rapporto vitale e profondo, non hanno anima, sono cartelli stradali che quando non si è visti possono essere elusi.
Facciamo un esempio del paradosso cui porta la logica dei diritti soggettivi; l’aborto è un diritto, ma esso è pure un valore? È un valore sopprimere una vita? Il divorzio è un diritto, ma esso è pure un valore? Una famiglia che si dissolve è un valore? E la vita interrotta perché giudicata irrecuperabile è un valore? Non serve essere credenti per capire che la legge sul divorzio e sull’aborto rispondono ad un problema concreto, ma non è portatrice di un valore. Il valore è l’amore, il rispetto, la vita.
Su questo, per chi si prenda la briga di approfondire, ci invita a riflettere il pensiero cristiano.
E poi, per tornare alla laicità, cos’è la laicità, cos’è il pubblico, cos’è il privato? Voglio tentare una definizione: il pubblico è il privato dei molti. Faccio un esempio, se in una sala abbiamo il cento per cento di cattolici, quell’assemblea è un’assemblea pubblica? Non c’è dubbio, il problema sorge quando in quello spazio -la sala- si confrontano fedi e religioni diverse, cioè più identità. La laicità consiste nel riconoscere e contemperare la ricchezza che proviene da quella sala. Detto in altri termini, se la sala è lo Stato, allora il compito del politico non sarà quello di rendere lo spazio neutrale, anonimo, perché questo significherebbe negare la realtà in nome di un’ astrazione.
Di fatto non esiste uno spazio pubblico neutrale: anche quando lo si affermi, in esso si esprime sempre un’ idea prevalente, un’ identità, fosse pure il “valore” dell’assenza di ogni identità condivisa, fosse pure la sola identità di singoli che si contendono il maggior numero di diritti soggettivi a colpi di rivendicazioni.
Se il pubblico deve essere neutrale esso giunge al paradosso di sparire, di disintegrarsi, e allora poco vale la ricerca di nuovi collanti identitari attraverso l’esaltazione e la sacralizzazione dei principi della nazione, dello stato e via dicendo. Pubblico e privato non sono due realtà distinte ma le facce della stessa medaglia.
Compito della politica è perciò aprirsi alla realtà delle fedi con particolare riguardo verso quella fede che ha fatto il nostro Occidente, che lo ha pervaso di saggezza e valori, recuperando il coraggio di trarre dalla riflessione umana, svolta dal pensiero cristiano l’idea di bene, di verità, di tradizione.
Questo suggerisce il ritorno del sacro e questo indica il profondo disagio che il nostro mondo senza più alcun riferimento certo vive. Si fa urgente pertanto il desiderio di provare, di tentare un percorso che rimetta al centro l’uomo nella sua eminente valenza comunitaria.
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