L’appello del Papa Benedetto XVI del 29 ottobre scorso al riconoscimento per i farmacisti del diritto all’obiezione di coscienza, ha scoperto un problema da troppo tempo tenuto nel silenzio, scatenando un intenso dibattito. Evidente l’allusione del Santo Padre al Norlevo, la pillola del giorno dopo, falsamente pubblicizzata come contraccettivo d’emergenza, anche se ora la sentenza del Tar del Lazio ha imposto ai produttori di specificare nel foglio illustrativo la sua possibile azione abortiva.
Dunque il dibattito si è acceso. Nel sito della Federazione nazionale dei titolari di farmacie (Federfarma) si legge: «Se si vuole dare al farmacista la possibilità di rifiutare la consegna di un farmaco per motivi di coscienza è necessario che sia modificata la legge attuale che obbliga il farmacista, dietro presentazione di ricetta medica, a consegnare il farmaco o a procurarlo, se non disponibile, nel più breve tempo possibile.» Peccato che la legge “attuale” risale al 1938 (art. n. 38 del RD n. 1706/1938), quando non vi era nemmeno l’ombra di farmaci abortivi e, per giunta, l’aborto era considerato reato. Attuale, invece, è il diritto di esercitare la libertà di obiezione, dichiarando di non voler collaborare a un possibile aborto. La legge 194 lo prevede, ma occorre un intervento legislativo che ne garantisca una corretta interpretazione. D’altra parte la Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (Fofi) ha dichiarato che «è pienamente d’accordo con il messaggio di Benedetto XVI», auspicando però da tempo una precisa regolamentazione in merito. «I farmacisti italiani – ha aggiunto – ribadiscono dunque la loro adesione all’appello del Pontefice, sollecitando il Governo e il Parlamento a un intervento legislativo che regolamenti la delicata questione in via definitiva».
Purtroppo non sono mancate le proteste indignate di chi è pregiudizialmente impermeabile ad ogni pronunciamento del Papa. Varie e misere le argomentazioni che hanno portato alcuni ad insorgere ancora una volta contro la solita “ingerenza della Chiesa” nella vita civile. Leggete per esempio questa: «Il Papa farebbe bene a rivolgersi ai propri fedeli. Anche gli altri hanno i loro diritti che devono essere garantiti. Chi lavora con il pubblico non può imporre la propria coscienza. Allora se al pronto soccorso troviamo un dottore testimone di Geova che rifiuta le trasfusioni di sangue e io ne avessi bisogno, che succede?» Davvero triste leggere simili commenti. Pare che la capacita di ragionare serenamente abbia ceduto il posto al qualunquismo anticattolico di un popolino senza più valori e dignità. Quando si compara l’obiezione di coscienza contro l’aborto o l’eutanasia (non porre un atto che cooperi all'eliminazione di un essere umano innocente), all’obiezione del testimone di Geova medico o infermiere che si rifiuta di operare una trasfusione di sangue (atto salvavita inderogabile), beh, tutti comprendono che il livore e il pregiudizio contro la Chiesa hanno marcito l’attività corticale dell’encefalo. Nel primo caso l’obiezione è per la vita, nel secondo è per la morte. Anche la mia nipotina di sette anni capisce l’insuperabile differenza. Non ci resta che sperare in un riscatto della ragione e del buon senso degli italiani.
Sta di fatto che nessuna legge mi può imporre di compiere un gesto che va a ledere la vita di un altro, che coopera all’uccisione di un essere umano innocente. Il farmacista non può essere un mero esecutore di prestazioni asettiche. Come diceva il mio professore di farmacologia, egli è spesso l’anello di congiungimento tra il medico e il paziente, e dunque ha una grande responsabilità da esercitare. Per questo il presidente dei farmacisti cattolici, il dottor Uroda, ha dichiarato che “i farmacisti cattolici hanno praticato l’obiezione di coscienza, lo fanno oggi e lo faranno anche domani, perché chi è cattolico non può partecipare ad una azione che sopprime la vita”. Con buona pace dei laicisti, io mi metto tra questi.
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