La vita di Rosmini, più che di eventi, potremmo dire che è cosparsa di pensieri tradotti in parole: oltre tredici volumi di contatti epistolari, decine di trattati di filosofia, teologia, morale, ascetica, spiritualità, psicologia, politica, diritto … A
i primi del 1600, lo stemma della famiglia Rosmini porta ai lati la scritta latina “Lucent in tenebris” - “ [Le stelle] brillano nelle tenebre”. E nella parte inferiore dello stemma vi erano tre versi in latino del poeta Ovidio che declamavano “Mentre ogni animale guarda prono la terra / [Dio] diede all’uomo un volto sublime e gli ordinò / di guardare il cielo e alzare lo sguardo alle stelle”(1). Lo stemma manifesta e rivela l’identità e la progettualità della famiglia nobiliare. Con le parole di Ovidio, i Rosmini affermano la grandezza di Dio, dell’uomo e dell’universo. Questo orientamento di fede sarà una costante nella famiglia Rosmini. Antonio Rosmini leggerà in chiave provvidenzialistica anche i suoi stessi natali. Scriverà nel suo Diario personale: “Col farmi Iddio la grazia di venire alla luce la vigilia della festività di Maria Vergine Annunziata, mostrò di volermela dare per mia madre e protettrice, quale sempre la sperimentai, benché io le sia stato un cliente e figliuolo ingratissimo […]. Ancor più la bontà di Dio, qui prior me dilexit, mi beneficò col fare che il giorno 25 del medesimo mese di marzo, festa di MARIA V. ANNUNZIATA DALL’ANGELO, rinascessi nel salutare lavacro del santo battesimo”. Rosmini nasce a Rovereto il 24 marzo 1997 e viene battezzato il giorno dopo nella chiesa di S. Marco dall’arciprete Giuseppe de’ Baroni. Nel XVIII e XIX secolo la chiesa di S. Marco è legata a due papi. Nel febbraio del 1782, Pio VI parte da Roma diretto a Vienna per convincere - senza esito - l’imperatore a non usurpare i diritti della chiesa.
Nel suo viaggio di ritorno, entra a Rovereto il 10 di maggio e il giorno dopo si reca a piedi alla chiesa di S. Marco. Il 26 settembre 1823, in quella stessa chiesa di S. Marco, Rosmini leggerà il Panegirico alla santa e gloriosa memoria di Pio VII, dove Rosmini esalta in particolar modo il papato e la sua opera di guida spirituale e culturale del mondo intero, a difesa dei più deboli e dei diritti della chiesa. A Rovereto, la scuola primaria era stata fondata nel 1774 dall’imperatrice Maria Teresa. A sette anni, nel 1804, dietro insistenza del direttore della scuola, don Giovanni Marchetti, i genitori di Antonio Rosmini decidono di iscriverlo. Saputolo, il piccolo Antonio, corre alla biblioteca dello zio Ambrogio, carica il servo di diversi ‘libroni’ per portarli a scuola. Alla domanda di cosa servissero volumi così grossi, il bambino rispondeva: “Voglio imparare la sapienza”. Il suo tutore, tuttavia, don Francesco Guareschi, lo tratterrà per due anni nella prima classe di ‘grammatica’, al fine di rinforzarlo nei primi elementi della logica. La ripetizione di qualche materia non doveva essere troppo raro a quei tempi, se la stessa cosa era capitata ad Alessandro Manzoni! Altre lamentele sull’apprendimento della grammatica giungeranno nel 1808, quando Antonio sta affrontando la scuola di Latino; il tempo dello studio, viene speso da Rosmini nella biblioteca dello zio Ambrogio dove inizia a leggere anche la Summa di S. Tommaso d’Aquino; è in questa biblioteca, messa a sua disposizione dallo zio Ambrogio, dove avrà inizio la sua enciclopedica cultura.
Nel 1812, la classe di Antonio deve svolgere il tema in classe: “Lettera ad un amico per incoraggiarlo agli studi”. I maestri loderanno la composizione di Rosmini esortandolo: “Bravo, andando di questo passo farete grande onore a voi e alla vostra famiglia, e farete parlare di voi il mondo”. Più tardi, Rosmini parlerà della tristezza provata nell’ascoltare tale lode, in quanto, dietro quelle parole, percepiva che il fine dello studio veniva posto sotto la luce dell’amor proprio, del prestigio della famiglia e focalizzato nella vanagloria del mondo. Nei suoi scritti pedagogici, Rosmini insegnerà a non solleticare col prudore della lode l’amor proprio degli scolari, e a evitare di coltivarne la vanità. Il tema scritto, in ogni caso, gli procurerà l’amicizia di don Pietro Orsi, sacerdote colto e santo, del quale Rosmini riferirà che “Egli intendeva la mia posizione, e m’era ciò che mi bisognava al mondo”. A sedici anni, nel 1813, leggendo i classici pagani e cristiani come Platone, Lattanzio, Agostino…, conclude nel suo Diario: iddio mi aperse gli occhi su molte cose e conobbi che non eravi altra sapienza che in Dio”.
Nello stesso anno partecipa alla fondazione dell’Accademia degli Amici Lettori, intitolata al roveretano Valentino Vannetti. Rosmini viene scelto come primo presidente e segretario, e adotta il nome anagrammatico di ‘Simonino Ironta’. Durante l’estate vi è un primo segnale della particolare vocazione che Antonio vorrà seguire. Come ogni anno, nella casa di famiglia Rosmini in Folgaria, durante l’estate viene chiamato un maestro di ballo, un certo Angelico Festo, ma dopo poche lezioni Antonio comunica ai genitori che i proventi utilizzati per tale iniziativa sono soldi persi in quanto “Non è necessario che un prete sappia ballare”, i genitori restano sconcertati, ma non comprenderanno le reali intenzioni del figlio sino all’anno seguente. È questo il tempo in cui scrive i dialoghi sull’Amore, sull’Amicizia e sulla Carità, tutte esposte in lettera maiuscola per sottolinearne la loro intrinseca nobiltà. Nel 1814 scrive il Giorno di solitudine, un dialogo nel quale le protagoniste sono tre nobili donne: Filosofia, Amicizia e Religione. Rosmini inizia anche a registrare i primi interrogativi; è del 28 agosto la domanda: “È da vedere se le idee di cose spirituali le possiamo trarre da noi stessi … pensaci e rifletti”. Sono riflessioni che preparano la strada al Nuovo saggio sull’origine delle idee e all’opera pubblicata postuma, la Teosofia. Viene posto anche il fondamento della fedeltà alla tradizione cattolica e alla chiesa, rimanendo sempre radicato nella ortodossia della fede. Sempre in questo periodo scrive: “Questi pensieri sono scritti da un giovanetto che non ha ancora studiato filosofia, il quale ha scritto quel più bello e per lui nuovo che ha trovato dettargli sua ragione. Si vuol però qui avvertire di essere sempre soggetto alla Chiesa, che è quanto dire a verità, e sempre pronto a rivocare quello che per ignoranza avesse scritto e fosse da lei non approvato”. Questa disponibilità a ‘rivocare’ sarà più volte messa a dura prova, non per propria (di Rosmini) ignoranza, ma per quella altrui. Negli ultimi mesi dell’anno esprime chiaramente la propria intenzione di accogliere la vocazione sacerdotale.
Il 22 settembre 1814 scrive all’amico Bartolomeo Menotti: “Io ho fermato di farmi prete, e di porre tutto quello che ho a comprarmi un tesoro, cui né la ruggine né la tignola scema o guasta, né i ladri dissotterrano”. I genitori non sono dello stesso parere e invitano don Antonio Cesari, a dissuadere il loro figliuolo da simile percorso. Il Cesari, residente a Verona, amico di famiglia e membro dell’Accademia degli Agiati, il quale durante l’estate era ospite di casa Rosmini, dopo un lungo colloquio con il giovane Antonio, dissuade i genitori da qualsiasi interferenza e li esorta: “lasciatelo andare, quella è la sua strada”. Per gli studi superiori era necessario andare a Trento o a Verona. I nobili di Rovereto preferiscono ingaggiare don Pietro Orsi e affidare a lui l’insegnamento della filosofia e delle altre materie scolastiche. Con lui Rosmini inizia a studiare i filosofi, in particolare degli ultimi secoli (Bacone, Locke, Condillac …). Tenta anche la composizione di alcuni sonetti declamati nella Accademia degli Agiati, ma senza fortuna; il Cesari li definirà “un guazzabuglio”. Lasciata la poesia, Rosmini si dedica allora alla filosofia e alla matematica, definendoli “studi deliziosi”, ma tra le due la filosofia verrà considerata il “sommo studio”. Nel 1816 scrive un’operetta che inizia a delineare la fisionomia culturale del giovane Rosmini, intitolandola Sulla utilità e necessità di coltivare la ragione. Sui 18 anni di età coglie l’intuizione dell’essere (dalla quale partirà per delineare il “suo” sistema filosofico, il suo “sistema della verità”), ed è lui stesso a descriverlo, parecchi anni dopo, nel 1854, al suo confratello Franceso Paoli. Il 20 novembre 1816, Antonio Rosmini parte per Padova, per adempiere agli Studi di teologia, al termine dei quali, a Chioggia, il sabato santo del 1821 viene ordinato verrà ordinato sacerdote dal vescovo di Venezia. (1) “Pronaque cum spectent animalia singola terram / Os homini sublime dedit coelumque videre / Iussit, et erectus ad sidera tollere vultus”. OVIDIO, Metamorfosi, lib. I, I. padre Mario Pangallo