Il nome di Antonio Rosmini porta con sé il profondo legame con la città di Rovereto. Nei primi anni di sacerdozio Rosmini usava concludere le lettere con la firma “Antonio Rosmini, prete roveretano”. Questo affetto per la sua città natale ha sempre trovato un amorevole riscontro nei suoi concittadini, i quali nel 1887 erigeranno nell’attuale piazza Rosmini di Rovereto la poderosa statua, che verrà poi spostata in corso Rosmini, dinnanzi alla casa natale del sacerdote roveretano.
L’origine dei Rosmini, tuttavia, non risiede in Rovereto. Un illustre antenato del filosofo, Nicolò Ferdinando (1707-1753) Rosmini, in collaborazione con Jacopo Tartarotti ( fratello del più noto Girolamo ), intraprese una meticolosa ricerca sulla propria famiglia esposta in un voluminoso manoscritto che riceverà il titolo di Prove dell’albero della Famiglia Rosmini e altre notizie intorno la medesima. Il manoscritto non vuole essere solo una attenta indagine storica, ma vuole veicolare un esimio valore morale. Nella premessa spiega i “due motivi che mi hanno indotto a raccogliere queste notizie intorno la nostra Famiglia: il primo egli è perché servino di impulso a chi le leggerà di non degenerare dalle animose, nobili, e virtuose qualità de’ suoi antenati, ma più tosto con azioni eroiche, ed illustri procuri di aumentare le prerogative della Famiglia”; il secondo, aggiunge, è perché l’ignoranza della propria storia familiare porta sovente con sé litigi e contese per motivi di eredità e proprietà. Segue poi una valutazione sulla nobiltà che non può essere considerata parte della eredità, ma solo conquista personale di ogni membro della famiglia, poiché, continua, “la nobiltà è una qualità accidentale, gloria di chi con belle operazioni la ha ottenuta, e meritata, non di chi casualmente la ha ereditata”.
La conclusione di questa premessa viene iniziata da una esortazione spirituale: “Procuri adunque ogn’uno ben impiegarsi santamente verso Iddio per salute dell’anima sua, poi virtuosamente per giovare al suo prossimo, e nello stesso tempo abbia a cuore di conservare e aumentare il preggio della famiglia […]”. Sottolinea l’importanza del legame con il proprio passato, ponendo nella firma la presenza di ben tre successive paternità: “Nicolò Ferdinando figlio di Ambrogio figlio di Nicolò figlio di Francesco figlio di Antonio”. Ma lo studio di Nicolò Ferdinando percorre una attenta indagine storica anche a ritroso nei secoli. Questo consente di scoprire che il capostipite della famiglia Rosmini portava il nome di Aresmino ed era originario di Piazzo, piccolo paesino dipendente dalla pieve di S. Pellegrino, nella provincia di Bergamo. Francesco Paoli, il primo biografo di Antonio Rosmini, nella sua Antonio Rosmini e la sua Prosapia, afferma che “Aresmino, figlio di Pietro degli Aliprandi, detti volgarmente Oprandi, è il capostipite di tutte le famiglie Rosmini, e nacque a Piazzo, in una delle piccole ville della pieve di S. Pellegrino”. Con Aresmino ci troviamo a cavallo del XIV e XV secolo. Il ricercatore di cui si serve Jacopo Tartarotti è il sacerdote di S. Pellegrino, don Gio-Batta Angelici, il quale verso la conclusione della sua ricerca, invia un documento dove afferma: “L’altro giorno trovai verso la fine del secolo 1200 un quondam Oprando de S. Pellegrino descritto in una pergamena della nostra cattedrale …”. Aresmino si porta a Rovereto. Qui lo rintracciamo con il nome di Rasmino, e viene individuato come il capostipite di tutte le famiglie Rosmini.
La sua morte si colloca tra il 1464-1469. Dei suoi quattro figli (Gusmero, Giovanni Picenino, Pamfilo, Carlo), Giovanni Picenino è il capostipite delle famiglie Rosmini di Volano, mentre il primogenito Gusmero, è il capostipite delle famiglie Rosmini di Rovereto, mettendo al mondo tre figli (Gusmero, Rosmino, Pietro), e due figlie, (Giovanna e Marietta). E’ singolare notare che il figlio di Rosmino, Zaccaria, abbracciato lo stato ecclesiastico, diviene rettore della chiesa di S. Marco in Rovereto, carica che verrà affidata anche ad Antonio Rosmini per un anno ricevendo il 21 giugno 1834 il decreto di elezione e il 5 0ttobre 1834 la presa di possesso. Il fratello di Zaccaria, Cristoforo, dal 1555 al 1564 riceverà più volte l’incarico di provveditore della città di Rovereto. L’impegno civile e militare rendono noti i Rosmini, accrescendo la stima nei loro confronti. I Rosmini si evidenziarono sia per la loro convinta fede religiosa, come anche per il loro impegno civile e militare, tanto che Massimiliano II, il 28 ottobre 1574, concede ai fratelli Francesco, Pietro, Giorgio e Pamfilo Rosmini il diploma imperiale di nobiltà. I discendenti di Pamfilo, cento anni dopo, il 29 maggio 1672, riceveranno da Leopoldo II un nuovo, solenne e più esteso decreto di riconoscimento dei meriti e nobiltà acquisiti. Anche il nostro filosofo, Antonio Rosmini e il fratello Giuseppe, il 13 marzo 1830 verranno immatricolati “fra i nobili della provincia di Trento”. Nel 1714 nasce Gianantonio Rosmini, fratello di Nicolò Ferdinando, il cronista. Gianantonio studia per due anni nel collegio “San Luigi” tenuto dai padri gesuiti a Bologna; frequenta con profitto le facoltà di Filosofia e Giurisprudenza. Terminati gli studi, sposa Margherita dei Conti Bossi-Fedrigotti di Rovereto. Dalla loro unione nascono due figli, Ambrogio e Pier Modesto e due figlie, Teresa e Cecilia che rimasero in famiglia nubili. Con Gianantonio si aggiunge al cognome Rosmini quello di Serbati, in seguito all’acquisizione di un Fidecommesso istituito nel 1619 da Benedetto Serbati di Rovereto, che imponeva all’erede di conservare intatti i beni ereditati e in caso di estinzione del ramo maschile dovesse passare al più vecchio dei discendenti per via di donne della casa Serbati.
Il Fidecommesso era stato ereditato da Gerolamo Tartarotti, eminente storico critico di Rovereto e, alla sua morte, nel 1761, passa a Gianantonio, per via della madre Cecilia Orefici-Serbati. Il secondogenito di Gianantonio, Pier Modesto Rosmini, sposerà Giovanna dei Conti Formenti di Biacesa, presso Riva del Garda, dalla quale nasceranno Gioseffa Margherita nel 1794, Antonio nel 1797, e Giuseppe nel 1798. Data l’instabilità di Giuseppe, il padre deciderà di lasciare quattro sesti dell’eredità ad Antonio, e un sesto rispettivamente alla sorella G. Margherita e al fratello Giuseppe. Giuseppe si sposerà, ma non avrà progenie. Con Antonio, sacerdote, filosofo e fondatore dell’Istituto della Carità, si estinguerà la casata dei Rosmini-Serbati. Testi di consultazione: PAOLI F., Antonio Rosmini e la sua Prosopia (= Prosapia), Rovereto 1880; TODISCO S., I Rosmini e gli altri, Udine 1996; VALLE A., Gli antenati, la famiglia, la casa, la città, Brescia 1997. padre Mario Pangallo