A proposito della famosa querelle sulla preghiera di conversione degli ebrei nell'antico messale.
Di Rassegna Stampa (del 01/08/2007 @ 14:33:36, in Religione, linkato 1612 volte)
Città del Vaticano (Agenzia Fides) -don Nicola Bux Alcuni circoli ebraici ed alcuni organi di stampa hanno fatto rumore in occasione della promulgazione del Motu proprio di Benedetto XVI sulla Messa antica, paventando la reintroduzione della preghiera per gli Ebrei, quella da cui Papa Giovanni tolse l¹aggettivo Œperfidi¹. Forse pochi sanno che la orazione solenne per gli Ebrei del Venerdì Santo ha una corrispondente nella birkat ha-minim (benedizione contro gli eretici) della liturgia giudaica, che è la seguente: ³Che per gli apostati non ci sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il regno dell¹orgoglio; e periscano in un istante i nazareni (ndr. i giudeo-cristiani) e gli eretici: siano cancellati dal libro dei viventi e con i giusti non siano iscritti. Benedetto sei tu Yahweh che pieghi i superbi². Così recita la XII benedizione della liturgia sinagogale nella forma primitiva. Mentre in quella del Talmud babilonese più diffusa oggi: ³Per i calunniatori e gli eretici non vi sia speranza, e tutti in un istante periscano; tutti i Tuoi nemici prontamente siano distrutti, e Tu umiliali prontamente ai nostri giorni. Benedetto Tu, Signore, che spezzi i nemici e umili i superbi². Quanto all¹Orazione solenne del Venerdì Santo, la versione italiana del Messale Romano del 1962 dice: ³Preghiamo anche per gli Ebrei, affinché il Signore Dio nostro tolga il velo dai loro cuori, in modo che essi pure con noi riconoscano Gesù Cristo Signor Nostro. Preghiamo. O Dio onnipotente ed eterno, che non rigetti dalla tua misericordia neppure gli Ebrei, esaudisci le suppliche che ti rivolgiamo per questo popolo accecato, affinché ammetta che il Cristo è la luce della tua verità, ed esca così dalle tenebre². In quella del Messale Romano del 1970 è stata così modificata: ³Preghiamo per gli ebrei: il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell¹amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza². Preghiera in silenzio. ³Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta benigno la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione². Osservando comparativamente le formule, si nota che quella giudaica si serve delle invettive proprie di taluni salmi e testi profetici (per esempio il Salmo 58), non estranee nemmeno al Nuovo Testamento; quella cristiana dell¹antico Messale riecheggia l¹invito di San Paolo alla comunità cristiana, a pregare per tutti gli uomini (cfr. 1 Timoteo 2,1), quindi per i giudei, quando le rammenta l¹irrevocabilità dell¹elezione divina d¹Israele (cfr. Romani 11,29) ed il mistero della sua conversione alla fine dei tempi (cfr. Romani 11,25-26). Secondo De Clerk, questa preghiera potrebbe essere ³segno di grande antichità delle orationes sollemnes, oppure potrebbe risalire a un periodo in cui i giudei erano molto numerosi a Roma. Quanto all¹orazione del nuovo Messale, il tema è il popolo di Abramo, depositario delle Œirrevocabili¹ promesse divine e chiamato comunque ³alla pienezza della redenzione². Questa è stata sempre la coscienza della Chiesa che nell¹orazione domanda a Dio che si affretti la realizzazione di quella promessa. Dunque, non è il caso che i nostri Œfratelli maggiori¹ continuino a scandalizzarsi della preghiera che i cristiani innalzano a Dio per loro, quando dovrebbero agire a modificare la loro, visto che nella prima forma e anche in quella del Talmud babilonese, non è stata tolta la maledizione di Dio che non si concilia col suo amore universale. Un po¹ di storia. In realtà la querelle cesserebbe se si inquadrasse nel rapporto tra liturgia cristiana e liturgia giudaica, da cui anche l¹orazione di lode e di intercessione ha la sua origine, come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica (1096). Infatti, il corrispondente giudaico dell¹Oratio fidelium - anche dell¹anafora secondo taluni studiosi come Adrien Nocent - è la preghiera Shemonèh Esréh (la Tefillah delle diciotto benedizioni). Com¹è noto, il cristianesimo delle origini, e quindi la liturgia, si è posto in rapporto di continuità e nel contempo di novità rispetto al giudaismo. I nazareni o cristiani avevano frequentato il Tempio (cfr. Atti 2,46), come pure le sinagoghe, finché, due decenni dopo la sua distruzione nel 70, i giudei non introdussero nella Tefillah la XII ³benedizione², appunto la birkat ha-minim (diventarono così diciannove ma il nome di Shemonèh Esréh non fu cambiato), ovvero una maledizione contro la setta considerata eretica, dei giudeo-cristiani (cfr. Atti 24,14) sia per tenerli lontani dalla sinagoga, sia per proclamare formalmente la rottura definitiva tra le due religioni. Accanto ai minim (dissidenti) si menzionavano i nozrim, i nazareni, cioè i seguaci di Gesù di Nazareth, perché ³spariscano all¹istante, cancellati dal libro della vita e non scritti con i giusti. Benedetto sei tu che umili i superbi² (cfr. G. De Rosa, Gesù di Nazareth e l¹Ebraismo di ieri e di oggi. Dal rifiuto all¹appropriazione esclusiva. ³La Civiltà Cattolica², 15 (2000), n 12). Nel medesimo periodo venne comminata infatti la scomunica contro i giudeo-cristiani, i quali pur pretendendo di rimanere dentro la sinagoga, la dividevano nella fede, proteggevano i ³gentili², soprattutto i romani, e distruggevano il principio dommatico della habdàlàh ossia la separazione tra circoncisi e non (cfr. H.Herts, Daily Prayer Book with commentary. Introductions and notes, New York 1971, p 142 s.). Così nel Medioevo la pensava Maimonide e ai nostri giorni il rabbino americano J.Petuchowski (cfr. S.Ben Chorin, Il giudaismo in preghiera. La liturgia della sinagoga, Cinisello B.1988, p 80). Tuttavia oggi non tutti gli ebrei nominano i nazareni e i dissidenti, ma si limitano ai calunniatori, i cattivi e i nemici. Quanto alle Orazioni solenni del Venerdì Santo e alla Orazione universale o dei fedeli nella Messa, si riallacciano alla tradizione apostolica di pregare per tutti: in particolare perché trascorrano una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità, quale ³cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della veritಠ(cfr. 1 Timoteo 2,1-3). Tracce di tale preghiera si ritrovano in Clemente di Roma, Policarpo di Smirne, Giustino, Tertulliano e Cipriano, che sottolineano la richiesta a Dio di giungere alla conoscenza della verità e alla salvezza eterna. Sarà Prospero d¹Aquitania (390-455), autore del celebre ³ut legem credendi lex statuat supplicandi² a riferirvisi con più evidenza. L¹autore non intendeva istituire un automatismo, quasi che dalla preghiera derivi la norma della fede, ma dire che diventa norma di fede quella preghiera connessa con la dottrina cattolica conclusa con la morte dell¹ultimo apostolo. In certo senso la liturgia deve esprimere la fede cattolica e apostolica, oltre che l¹unità e la santità della Chiesa. Tuttavia, la descrizione più antica delle orationes sollemnes è contenuta nei Capitula, un documento annesso alla lettera di Papa Celestino I ai Vescovi della Gallia, scritto tra il 435-442. In particolare nella preghiera pro Judaeis dice: ³ut Judaeis, ablato cordis velamine, lux veritatis appareat². La frase evidentemente richiama da un lato San Paolo (2 Cor. 3,12-16) e dall¹altro la orazione che, attraverso Leone Magno e i libri liturgici romani altomedievali noti come Ordines, giunge fino alla forma del Messale romano del 1962. Dunque le fonti liturgiche che ci tramandano le orationes sollemnes risalgono alle tradizioni gelasiana, gregoriana e gallicana codificate nei Sacramentari e negli Ordines romani. L¹Oratio pro conversione iudaeorum, la sesta delle orazioni solenni, nel Messale del 1970 è intitolata semplicemente ³pro iudaeis². L¹appellativo Œperfidi¹ è stato tolto, sebbene significasse semplicemente Œincreduli¹, in certo senso meglio del minim, i dissidenti della birkat giudaica. Per l¹analisi e la traduzione dell¹espressione, approvata già nel 1948 dalla Congregazione dei Riti, rimandiamo agli studi esistenti; ma già nel 1936 il grande esegeta protestante diventato cattolico Eric Peterson, aveva pubblicato uno studio in cui mostrava che l¹epiteto voleva dire fedifrago, in quanto i giudei avevano stretto un patto con Jaweh al quale erano venuti meno. Tale significato, applicato anche ai pagani, si trova in alcune opere di Cipriano e di Ambrogio. Sant¹Agostino rifacendosi alla giustizia della fede in San Paolo, la traduce con ingiustizia e mancanza di fede. Sulla stessa linea anche Gelasio e Gregorio Magno. A questo punto si può dedurre che la Oratio pro iudaeis appare in certo senso speculare alla birkat ha-minim giudaica, la maledizione contro gli eretici; quasi una Œrisposta¹, poiché il dato liturgico non è mai astratto, ed entrambe risalgono allo stesso periodo, come abbiamo visto. Alla scomunica comminata ai giudeo-cristiani e all¹accusa di ³eresia² da parte dei giudei - forse durante il sinodo di Jabne tra 90 e 100 d.C., - che volevano in tal modo sancire la rottura definitiva del Giudaismo ufficiale con i cristiani, questi avrebbero Œrisposto¹ con l¹inserzione della ³preghiera per i giudei². Al di là di ogni polemica, è ³ragionevole ritenere che la storia di entrambe le preghiere, il cui contenuto era certamente noto sia ad ebrei che a cristiani alla fine del I secolo, si sia intrecciata, dando così forma al testo liturgico così come ci è pervenuto, salvo, ovviamente, le inevitabili modifiche che, generalmente, i testi liturgici subiscono nel corso dei secoli² (Annamaria Abrusci, Storia ed evoluzione delle Orazioni solenni. Il caso della preghiera Pro Iudaeis, tesi di magistero presso l¹ISSR di Bari, anno 2000-2001, p 111-112, pro manuscripto). Ciò dimostra ancora una volta l¹influsso della liturgia ebraica e giudaica in specie su quella cristiana. La preghiera non può essere modificata in contraddizione con la dottrina cattolica e apostolica. Volentieri, dunque, oggi pregheremo anche con le nuove formule del Messale Romano di Paolo VI dove si supplica il Signore che ³il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione². La Chiesa prega per la conversione di tutti gli uomini ³Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza e non facciamo come Mosé che poneva un velo sul suo volto, perché i figli di Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero. Ma le loro menti furono accecate; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, alla lettura dell¹Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; ma quando ci sarà la conversione al Signore, quel velo sarà tolto² (2 Corinzi, 3, 12-16). Questo testo paolino è notoriamente la fonte dell¹orazione per gli ebrei fino al Messale del 1962. Oggi non pochi cattolici hanno timore della conversione e così pure gli ebrei, i quali vorrebbero che la Chiesa cattolica non sia se stessa, almeno nei loro confronti. Ora la conversione è l¹essenza del Vangelo di Gesù, e ha designato il cammino verso di Lui di popoli e nazioni (cfr. gli studi di E. Peterson sull¹interpretazione di Romani 9-11 e il significato della conversione). Facendo la verità nella carità e nel rispetto della libertà, la Chiesa ha come priorità l¹annuncio del Vangelo che è la verità piena e definitiva sull¹uomo e alla quale l¹uomo è chiamato a convertirsi. E¹ Cristo che ha dichiarato: ³Il tempo è compiutoŠconvertitevi e credete al vangelo² (Marco 1,15), non Œdialogate e mettetevi d¹accordo¹. San Pietro ha descritto la conversione come un percorso irreversibile: dalla parola dei profeti, lampada che brilla in luogo oscuro fino allo spuntare della stella del mattino (cf. 2 Pietro 1,19); i Magi avevano cercato la verità al seguito della stella, finché trovarono la luce vera (cfr. Matteo 2,2); san Paolo, dopo essere andato a tastoni come in un luogo buio (cf. Atti 17,27) fino ad essere investito da Cristo verità incarnata e convertirsi a Lui. La Chiesa, come ha detto il Concilio, è sacramento anche in rapporto alle religioni, cioè non solo segno ma strumento di salvezza per tutti. Si comprende così che il cristianesimo è una religione universale che fa conoscere il vero Dio d¹Israele (cfr. Giovanni Paolo II, ³Varcare la soglia della speranza², Milano 1994, p.112). Il tema della salvezza in Gesù Cristo necessaria per ogni uomo è stato riaffermato nella Dichiarazione Dominus Iesus. Il dialogo con gli ebrei nasce dalla ³coscienza del dono di salvezza unico e universale offerto dal Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito² (n. 13). Proprio mostrando in Cristo il compimento del Giudaismo, la Chiesa è passata ad affrontare il mondo pagano ³che aspirava alla salvezza attraverso una pluralità di dèi salvatori² (ivi). Il dialogo è parte integrante della coscienza missionaria della Chiesa; fondato sulla consapevolezza della pari dignità di tutti gli uomini, a qualsiasi religione appartengano, e nello stesso tempo sul primato di Gesù Cristo e della sua dottrina ³in confronto con i fondatori delle altre religioni² (Dominus Iesus, n. 22 ). La Chiesa propone il regno di Dio come signoria universale di Gesù Cristo (cfr J.Ratzinger -Benedetto XVI, ³Gesù di Nazaret², Città del Vaticano 2007, cap III); Benedetto XVI cita nel suo libro l¹erudito rabbino Jacob Neusner che in un saggio del 1993 aveva evidenziato tutta la differenza tra la Torah e Gesù. Se e quando tutti gli uomini entreranno nella Nuova Alleanza della Chiesa, compresi gli ebrei, è questione da lasciare allo Spirito Santo (cfr. VarcareŠ, p. 112). La preghiera per gli ebrei esprime la convinzione che l¹incontro e il dialogo è ³un tentativo che sta completamente nelle mani di Dio²(Gesù di Nazaret, p 248), con un messaggio: ³Allora non abbandoneranno la loro obbedienza - (alla Torah che permette di vedere Dio ³di spalle², Ivi, p 310-311), - ma essa verrà da fonti più profonde e perciò sarà più grande, più sincera e pura, ma soprattutto anche più umile²(Ivi, p 249). Così si capiscono di più le richieste di perdono e il gesto di Giovanni Paolo II al Œmuro del pianto¹ e ancora prima l¹intervento del Cardinale Joseph Ratzinger alla Conferenza internazionale ebraico-cristiana di Gerusalemme nel 1994, dove svolse la tesi della riconciliazione, essenza di due fedi, ricordando che il sangue versato da Cristo non grida vendetta ma appunto riconciliazione. Nessuna intenzione da parte cattolica, dunque, di incentivare l¹antigiudaismo - e speriamo da parte ebraica nemmeno l¹anticristianesimo - ma conoscenza e rispetto reciproco, anche delle espressioni della propria fede, pregando gli uni per gli altri. http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=13684&lan=ita