Come è stato riportato da tutti gli organi di informazione nazionali, il capo della Polizia, Gianni De Gennaro, è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Genova nell'ambito dell'inchiesta sul G8 organizzato nel capoluogo ligure del 2001. Secondo fonti ufficiose, l'iscrizione sarebbe avvenuta per l'ipotesi di reato di istigazione alla falsa testimonianza in merito ai fatti riguardanti la fase di preparazione, svolgimento e conclusione delle operazioni di polizia condotte alla scuola Diaz il 21 luglio 2001. Con l’iscrizione di De Gennaro nel registro degli indagati, si è chiuso il cerchio, per ora, della rivincita dei movimenti no global e dei partiti dell’estrema sinistra a seguito dei fatti avvenuti in quella tragica estate del 2001: un cammino inesorabile, che ha avuto un primo “successo” nell’intitolazione lo scorso autunno, di un’aula del Senato a Carlo Giuliani, il manifestante ucciso durante gli scontri fra disobbedienti e forze dell’ordine. Non voglio entrare troppo nel merito della "questione De Gennaro”, i giochi politici di palazzo, visti dalla nostra periferia, o solo mediati dagli organi di informazione, non possono che risultare parziali, ma alcune considerazioni di fondo non si possono evitare. Innanzi tutto non possiamo non notare la tempistica dell’intervento di rimozione, perché di questo si tratta, attuato dal governo: a pochi giorni dalla vicenda legata al Generale Speciale, Comandante della Guardia di Finanza, un altro esponente di spicco delle forze dell’ordine viene esposto alla berlina mediatica. Il premier Romano Prodi ha detto testualmente: «È stato concordemente convenuto che De Gennaro sarà sostituito nel suo incarico al termine del suo settimo anno di mandato».
Peccato che, come ha ricordato, tra gli altri, l’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga, «Non esiste scadenza per il capo della Polizia se non quella prevista per il collocamento a riposo dei prefetti, che è stabilita a 67 anni, salvo l'anticipato collocamento a riposo deliberato dal Consiglio dei ministri e che equivale ad una destituzione». Un aspetto drammatico, poco sottolineato anche da molti osservatori nazionali, è che la “destituzione” è avvenuta con una rapidità e con una tempestività degni di una Repubblica della Banane, tanto è vero che nessuno ha pensato di nominare un immediato successore ai vertici della polizia di Stato, creando, di fatto, un vuoto in uno dei ruoli chiave della sicurezza nazionale, malumore all’interno di tutte le forze dell’ordine ed un certo sconcerto nelle persone più attente ai fatti della politica o della “para-politica”. Vi è un’ulteriore ragione che giustifica coloro che ritengono la “defenestrazione“ di De Gennaro come un regalo fatto all’estrema sinistra parlamentare, ed extra parlamentare, in un momento di grande difficoltà per l’esecutivo in carica: un governo serio, autorevole, avrebbe atteso le conclusioni dell'indagine prima di chiedere le dimissioni ad una figura istituzionale come De Gennaro, persona comunque sempre esposta in prima fila nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata e con una carriera conquistata sul campo, e non come altri boiardi di Stato per meriti legati all’anzianità, in cui spiccano, fra gli altri, gli undici anni ininterrotti di affiancamento del giudice Giovanni Falcone nella lotta alla mafia. Ricordo, inoltre, che Gianni de Gennaro fu nominato capo della polizia il 26 maggio 2000 dal Consiglio dei Ministri di un governo certamente non vicino all’attuale opposizione….
Comunque sia, le accuse rivolte a De Gennaro si riferiscono alle note vicende accadute alla scuola Diaz di Bolzaneto, Genova, il 21 luglio 2001, dove, secondo gli esponenti no global, la polizia si lasciò andare ad un pestaggio ingiustificato di manifestanti fermati durante quelle tragiche, assurde, demenziali, violentissime manifestazioni di protesta che accompagnarono il G8 genovese. Se le accuse mosse dalla procura di Genova all’ormai ex capo della Polizia di aver coperto e nascosto i fatti, si dimostrassero vere e provate, ne prenderemo atto, ma mi permetto di esprimere comunque solidarietà per tutti quegli esponenti delle forze dell’Ordine che all’epoca dei fatti furono bersaglio di attacchi violentissimi da parte degli esponenti dei centri sociali, dei black bloks per giorni e giorni. Non si vuole negare il diritto a manifestare a nessuno, ma mettere a ferro e fuoco una città, mettere in pericolo la vita di decine di agenti che stanno compiendo il loro dovere, non ha nulla a che fare con il diritto all’esternazione delle proprie idee. Nelle scorse settimane, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione delle Festa dell’Arma dei Carabinieri, ha consegnato medaglie alla memoria alle vedove, agli orfani e ai familiari di agenti caduti mentre compivano il loro dovere, ha consegnato attestati di benemerenza ad agenti particolarmente distintisi in azione; bei gesti, dovuti, ma è lo stesso Presidente che non volle ascoltare quei parlamentari, quei cittadini, che gli chiesero di non avallare la richiesta degli esponenti di Rifondazione Comunista, appoggiati da altri gruppi parlamentari di area, di intitolare un’aula del Senato a chi quegli agenti voleva colpire, a chi quelle istituzioni che oggi, per puro calcolo elettorale, lo onorano, voleva sovvertire, combattere in una lotta disperata e vuota. E’ certo comunque che l’Italia della legalità, delle persone perbene, degli uomini e delle donne che ancora tentano di educare i propri figli al rispetto della vita, propria e altrui, dei beni di tutti, della libertà fatta di regole condivise, esce sconfitta da queste vicende. Vendetta è compiuta.