INTERVISTA aSerge Latouche, teorico della decrescita: «Il Continente nero non copi l'Occidente, ma fondi il futuro sulla propria cultura»
«Gli aiuti decisi dal G8 servono, ma non bastano:bisogna prendere di petto
la questione delle licenze farmaceutiche e dare ai Paesi poveri l’accesso gratuito ai farmaci»
Da Bolzano Francesco Comina
Il noto economista e filosofo francese Serge Latouche sorseggia il vino, lo assapora con gusto. La sua teoria della decrescita ha molto a che fare con il vino: «Non dobbiamo assolutamente pensare che realizzare una società della decrescita significhi tornare indietro nel tempo, trascinare un'esistenza triste e ripiegata su se stessi. Essere sobri è bello, uscire dalla spirale del consumismo, della fretta e della produttività aumenta il nostro livello di felicità, ci permette di gustare la vita altrimenti sprecata alla ricerca di uno sviluppo triste e illusorio». Ieri pomeriggio Latouche, invitato dal Centro per la pace del comune di Bolzano, ha parlato nell'aula magna della libera università sul tema: «Chi ci salva dallo sviluppo? Dalla crescita disumana alla decrescita sociale».
Professor Latouche, per l'Africa il G8 si è impegnato a portare a quarantaquattro miliardi di euro i fondi per la lotta contro le malattie (Aids, tubercolosi, malaria). Lei che si è occupato molto di Africa, scrivendo anche il libro «L'altra Africa. Tra dono e mercato», cosa pensa del rapporto fra l'Occidente e il Continente nero?
«Sono molto sospettoso di questi aiuti finanziari. L'esperienza ci dice che le promesse di aiuto e di cooperazione dell'Occidente verso i Paesi poveri finiscono quasi sempre in un nulla di fatto. Più che decidere di stanziare soldi contro le malattie mortali africane (un fatto comunque positivo), bisogna prendere di petto la questione delle licenze farmaceutiche e consentire ai Paesi poveri dell'Africa di poter avere accesso gratuito ai farmaci. La battaglia contro la mortalità del Continente nero è prima di tutto una battaglia contro la logiche del business farmaceutico. Ma quando entriamo in questo campo si sollevano le contraddizioni intollerabili del sistema di potere che determina le politiche economiche dei più forti».
Vede un orizzonte di speranza per l'Africa?
«Lo vedo nel momento in cui l'Africa inizia a slegarsi dal vincolo con i Paesi ricchi, anche quando sono vincoli pensati per aiutare. In realtà non fanno altro che proporre sempre la stessa logica di sviluppo, che è la nostra. L'Africa deve invece pensare a forme autonome di sviluppo. Il Continente nero deve insistere nel recuperare la propria cultura e basare su questa il proprio futuro. Ho molta speranza che l'Africa si incammini su questa strada che indica un futuro di riscatto e di affermazione di criteri altri, criteri che saranno un arricchimento per il mondo intero. Ho speranza perché di questo vedo i germogli».
Gli economisti di tutto il mondo guardano con interesse e con un po' di inquietudine a quanto sta accadendo in Cina, dove si prevede una pressione fortissima sull'economia globale.
«Il futuro sarà ciò che la Cina deciderà perché nessuno sarà in grado di contrapporsi. Che cosa si potrà fare davanti ad una pressione di un miliardo e trecento milioni di persone? Le prospettive sono terribili. La migrazione dalla campagna alla città è già in atto e si prevede che fra una trentina di anni ci saranno quattrocento milioni di nuovi poveri, in gran parte contadini senza più la terra. I benefici della globalizzazione andranno a vantaggio di una minoranza, gli effetti devastanti invece si scaricheranno su grandi moltitudini».
Le non sopporta che al termine sostenibilità si aggiunga quello dello sviluppo. Come mai?
«Perché è un ossimoro. Lo sviluppo non è mai sostenibile e la sostenibilità non può aggrapparsi al termine sviluppo. Sono i tecnocrati dell'Occidente che manipolano perfino i concetti ambientali per adeguare i loro programmi folli di sviluppo ai loro scopi. Ma non si dà uno sviluppo sostenibile. La sostenibilità ambientale si attua attraverso la decrescita».
Lei è ottimista o pessimista? Davanti agli scenari che delinea c'è una via d'uscita?
«Io sono ottimista perché sono convinto che alla fine la saggezza avrà la meglio. Il mio è un ottimismo tragico che passa davanti all'immagine di una Terra devastata da moltissimi problemi provocat i dall'uomo. Eppure vedo con grande entusiasmo come molti giovani, molti gruppi, molte associazioni si stanno organizzando per resistere al sistema selvaggio dello sviluppo per lo sviluppo. Tutte queste persone si pongono il problema di come uscire dallo sviluppo. E allora nascono i comitati per una società più sobria, per un consumo critico, i gruppi di acquisto solidale, il commercio equo, quando è davvero equo. Insomma, c'è un dinamismo alla base che mi fa ben sperare».
Avvenire, 12/6/2007
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