Il 27 maggio del 1994 è da annoverare come una data che segna un’epoca, ma che troppo velocemente è caduta nell’oblio, specialmente in Italia: Aleksandr Solzenicyn, premio Nobel della letteratura, torna in Russia venti anni dopo essere stato espulso dall’allora Unione Sovietica. Sono trascorsi soltanto pochi anni, ma sembra un secolo: l’implosione dell’URSS, la disgregazione dell’Impero sovietico, che sembrava inossidabile, però, invece di portare in Italia ad un’analisi critica degli errori e degli orrori del comunismo, sono avvenimenti oggi quasi del tutto cancellati dalla nostra memoria storica nazionale. Discutendone anche a scuola con dei giovani, ragazzi che affronteranno tra breve l’esame di Stato, si avverte che poco o nulla sanno di quell’epoca, quasi non v’è traccia nei loro libri di scuola di che cosa sia stata davvero l’Unione Sovietica ed il comunismo. E come potrebbero in un Paese come il nostro in cui le maggiori case editrici, scolastiche e non, sono in mano all’intellighentia di sinistra?
Mi viene in aiuto, a tal proposito, il lavoro di Eugenio Corti, “Il fumo nel tempio”, del 1991, nel quale con disincantato realismo egli descriveva le vicende legate alla divulgazione dell’opera di Solzenicyn, in particolare, ma che abbracciava con sapiente maestria tutte le questioni che trattavano il tema “comunismo”. Ci ricorda Corti come «Solzenicyn sia stato trattato con tolleranza dalla cultura laico-marxista egemone in Italia, fino a quando questa lo riteneva contrario al solo Stalin, e non al marxismo in sé stesso. Le sue opere vennero allora pubblicate da Mondadori, cioè dal principale editore italiano, ed essendo in sé molto valide, ebbero larga diffusione. Quando però si scoprì che Solzenicyn dimostra in modo inequivocabile che non solo lo stalinismo, ma ogni comunismo porta al gulag, e sostiene che oggi il principale dovere di ogni uomo è di adoperarsi a "vivere fuori della menzogna", l'atteggiamento della cultura egemone verso di lui si è capovolto. Così mentre il primo volume del suo Arcipelago gulag ha avuto in Italia una grande tiratura (si parla di 500.000 copie), il secondo è uscito quasi alla chetichella, e il terzo volume oggi, dopo anni, mentre è ormai diffuso da un pezzo nel resto del mondo, in Italia seguita a non venire pubblicato. Ragion per cui la successiva opera di Solzenicyn “Dialogo con il futuro” ha finito con l'essere da lui affidata alla minuscola Casa di Matriona, una cooperativa editrice di gente coraggiosa e cristiana, molto bersagliata dalla cultura egemone».
Oggi la situazione sembra leggermente cambiata, ma è innegabile che persista una vera e propria censura sulle idee e sulle notizie, che viene praticata in modo sistematico dalla cultura dominante filomarxista, che detiene direttamente il controllo, o si è infiltrata in modo determinante in quasi tutti i mass media; la reazione scomposta, talvolta violenta alle opere di Gianpaolo Pansa è solo la punta dell’iceberg. Per tornare a Solzenicyn, è innegabile che è stato lui a mostrare al mondo la menzogna ideologica del marxismo. E’ stato lui a stabilire incontestabilmente che gli enormi crimini del regime comunista non potevano essere ridotti a “culto della personalità”, agli eccessi di un tiranno folle come è stato dipinto Stalin post-mortem. In “Arcipelago Gulag”, Solzenicyn ha pagato tributo alla memoria dei milioni di cittadini, russi e non, che vi hanno trovato la morte. Ricordiamo anche i tanti italiani, comunisti, che hanno pagato con la vita il minimo tentativo di dissenso, o semplicemente perché Togliatti, “il Migliore”, aveva sospetti che fossero poco ortodossi nella fede rossa. “Arcipelago Gulag” è un ammonimento continuo, è la rappresentazione reale, documentata, concreta, sconvolgente dell’inferno dei gulag sovietici. L’inferno del comunismo sovietico con tutti i suoi infimi e disumani gironi di milioni di anime dannate. Sofferenze di decine di milioni di persone che non si possono misurare e che abbiamo il dovere di non far cadere nell’oblio, così come l’orrore dei parenti delle vittime del Gulag, quotidianamente costretti a convivere con il pericolo delle denunce forzate, del terrore continuo d’essere a loro volta arrestati, ingoiati per sempre nel vortice degli innumerevoli campi di quell’Arcipelago mostruoso. Ma è bene ribadire ulteriormente che l’eliminazione, prima sociale, poi morale e infine fisica degli avversari politici non è una degenerazione del comunismo sovietico sotto Stalin, come ancora oggi si sente ripetere dai guru della nostra sinistra, megafoni di un Paese che ha addirittura tre partiti comunisti, oggi al governo: il terrorismo come sistema, le esecuzioni di massa, i campi di lavoro forzato e di sterminio sono parte integrante dell’ideologia marxista. Già prima della Rivoluzione, Lenin aveva scritto di mirare, nelle dispute, non alla confutazione dell'avversario, ma alla sua eliminazione.
E Lenin aveva fatto tesoro del pensiero di Marx, di quello storicismo ateo che al posto di Dio, del Dio misericordioso dei cristiani, aveva sostituito la statolatria, il progresso storico, al punto da arrivare a sostenere che “la storia ci guiderà verso la giustizia senza l’aiuto di Dio” e le terribili conseguenze di un tale storicismo non sono altro che la riduzione in schiavitù dell’uomo sull’uomo. Alcune, crude cifre della “giustizia senza l’aiuto di Dio” dei gulag sovietici: secondo la maggior parte degli storici e degli studiosi della macchina repressiva dell’URSS, la cifra delle vittime dei gulag sovietici si aggirerebbe da un minimo di 35 ad un massimo di 45 milioni. E questo riguarda soltanto i campi entro i confini delle repubbliche sovietiche, perché il costo umano del comunismo nei paesi dell’Europa dell’Est, occupati dall’Armata Rossa e divenuti poi satelliti di Mosca, continua ad essere ancora oggi aggiornato attraverso nuove documentazioni e testimonianze, a fatica, in quanto sono ancora viventi, in alcuni casi ancora al potere, quegli stessi protagonisti che gli effetti della inumana ideologia supportarono o che, addirittura, servirono con dedizione. E’ davvero quasi incredibile pensare che fu solo nel 1986, ieri, storicamente parlando, che Gorbaciov, cominciò finalmente a smantellare i campi sparsi per i 12 fusi orari dell'Unione Sovietica. Gli studenti, i nostri giovani, hanno il diritto di conoscere anche questa pagina tragica di quel secolo disperato e folle, che fu il novecento dei totalitarismi e noi, indiretti testimoni di quei fatti, abbiamo il dovere morale, ancor prima che storico, di spiegare loro la verità dei fatti.