(Nella foto, il ministro della pubblica istruzione Giuseppe Fioroni)
Il 45,8% dei docenti e il 71,4% dei genitori della scuola trentina non ha avvertito alcun cambiamento dopo la riforma che nel 2000 ha reso più autonomi gli istituti. Diversa la percezione dei dirigenti, il 71,6% dei quali giudica molto positiva la riforma.
E’ quanto emerge dalla ricerca condotta dal comitato provinciale di valutazione presieduto da Giorgio Alulli, commissionata dalla Giunta Dellai e presentata pubblicamente nei giorni scorsi.
E’ lecito chiedersi che valore abbia l’autonomia tanto decantata in questi anni se gli insegnanti e le famiglie, vale a dire i principali attori del sistema non se ne sono neppure accorti, o quasi.
Il fatto che gli unici ad apprezzare l’introduzione delle norme sull’autonomia siano stati i dirigenti (anche se non è così per il 30% degli ex presidi), è sintomatico di come questo strumento rivesta un’utilità essenzialmente burocratico-amministrativa e organizzativa interna.
L’autonomia scolastica non ha cioè avuto riflessi significativi sui processi di istruzione e formazione, né dal lato dell’offerta né dal punto di vista della domanda, lasciando indifferenti proprio le componenti più importanti del sistema educativo, perché erogano o sono destinatarie del servizio, per le quali “non è cambiato nulla”.
Il dato è curioso e un po’ paradossale se si considera che durante la sua recente visita a Trento, il ministro della pubblica istruzione Fioroni aveva enfatizzato proprio il tema dell’autonomia scolastica, attribuendo a questa prerogativa la capacità di qualificare i singoli istituti e di rendere dunque inopportune altre riforme in questo settore.
“Le scuole – aveva spiegato – sono autonome, in grado di decidere i loro obiettivi e di gestire al meglio le risorse ad esse affidate, senza bisogno di essere ulteriormente terremotate da nuove riforme, visto che negli ultimi anni ce ne sono state anche troppe”.
Il ragionamento del ministro appare doppiamente contraddittorio.
1. In primo luogo perché se fino ad oggi l’unico effetto, o quasi, delle riforme della scuola è stato quello di “terremotare” il sistema, allora è urgente intervenire con provvedimenti che riportino quantomeno la situazione alla normalità. Magari non occorrerà chiamarli “riforma” per non dare l’impressione di voler cambiare tutto, ma sicuramente qualche iniziativa importante dovrà essere promossa per evitare, stando alla sua metafora, che le crepe aperte da tutti questi terremoti non provochino il crollo dell’edificio. Perché se un ministro della pubblica istruzione annuncia all’inizio del suo mandato la volontà di non voler riformare (vale a dire migliorare, sviluppare o risanare) la scuola, autorizza a pensare che non disponga di una strategia politica propositiva da attuare.
2. La seconda contraddizione, riguarda l’autonomia sancita sei anni fa e introdotta anche nella nostra provincia dalla riforma nazionale. L’esito dell’indagine effettuata “sul campo” nel nostro territorio, dimostra che i risultati dell’autonomia scolastica sono davvero scarsi e deludenti rispetto alla rilevanza quasi rivoluzionaria di cui, da allora ad oggi, questa innovazione è stata sempre più caricata. Rilevanza ribadita nella sua visita a Trento dallo stesso ministro ma smentita due settimane dopo da una ricerca della stessa Provincia che l’ha ospitato.
Queste osservazioni dovrebbero indurre sia il governo di Roma che la Giunta provinciale ad interrogarsi seriamente sul reale “tasso di autonomia” delle scuole.
Perché se quella che finora è stata presentata e sbandierata come “autonomia scolastica” si riduce alla possibilità per i dirigenti di disporre di un margine peraltro ridotto di manovra in più nella gestione delle risorse degli istituti, forse è arrivato il momento di smetterla di giocare con le parole.
I politici dovrebbero piantarla di prendere in giro i docenti, gli studenti e le famiglie raccontando la favola dell’autonomia.
Perché vera autonomia vi sarà solo a due condizioni strettamente correlate:
a) quando gli istituti potranno selezionare e assumere gli insegnanti attraverso appositi concorsi, per qualificare e distinguere la propria offerta agli occhi dell’utenza;
b) e quando ai genitori e ai ragazzi la libertà di scegliere la scuola, da chiunque sia gestita, che ritengono più adeguata alle loro esigenze ed aspettative. Ma perché questo accada servirebbe una seria politica di riforma.
Gian Burrasca